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Gli editori: nuove norme sui mezzi d’informazione. L’apertura del governo


diAntonella Baccaro e Paola Pica

Le proposte di Cairo, Confalonieri e Riffeser

«La massima conquista raggiunta dai gruppi editoriali in Europa? Il copyright. Per il resto, le grandi tech si son prese tutto e non pagano le tasse». A dirlo è il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, rompendo il ghiaccio in un’affollata sala Koch del Senato dove, a 20 anni dalla legge Gasparri, si ragiona della sua riforma e sui media nell’era digitale. «A me piace competere, ma non con le mani dietro la schiena», dice Urbano Cairo editore de La7 e di Rcs, il gruppo del Corriere della Sera, notando come «la web tax nata per tassare i giganti di Internet in realtà abbia colpito noi. Se poi questo cambierà, benissimo…».

Al tavolo aperto dalla vicepresidente del Senato, Licia Ronzulli, e introdotto dallo stesso senatore azzurro Maurizio Gasparri («li perdono tutti i detrattori di una legge che invece anticipava il futuro») siedono le istituzioni e le imprese. Promette il sottosegretario all’editoria Alberto Barachini (FI): «Non possiamo non rivedere le norme sulla web tax. Dobbiamo escludere dal pagamento gli editori e il mondo dell’informazione». Quanto alla raccolta pubblicitaria, «va aggiornato il criterio di concentrazione per difendere il sistema nazionale da una potenziale oligarchia digitale e internazionale».




















































Finanziamo agevolati e contributi

per le imprese

Va dritto al punto il vicepresidente della Fieg, Francesco Dini, con delega ai quotidiani: «O si interviene o il sistema va ulteriormente a impoverirsi. Non ci sono state per ora chiusure significative di aziende, ma conosciamo bene i dati e possiamo assicurare che siamo molto vicini a un punto di rottura».
E il presidente degli editori Andrea Monti Riffeser chiede «una legge di sistema di cinque anni per avviare una transizione tra carta e digitale e dare gli strumenti di lavoro a editori e giornalisti. Sono cose che si possono fare ma ci vuole la volontà politica di tutti i partiti della maggioranza. Chiediamo al governo che ci sia unanimità».

 Il leader della Fieg raccoglie poi una proposta avanzata da Cairo e chiede di rivedere i limiti di tiratura Agcom del 20% sulla concentrazione dei giornali. «Una volta c’era solo la carta stampata, oggi ci sono i siti: se un gruppo editoriale arriva al 30-35%, non muore mica la democrazia».
Ma all’indomani dalla battaglia sul canone Rai, che ha spaccato la maggioranza, non si poteva evitare di parlarne. Anche se Gasparri ironizza: «Il canone? È un tema di ieri. Ora parliamo di futuro». Ma l’amministratore delegato della Rai, Giampaolo Rossi, puntualizza: «Il tema non è canone sì o no, ma la certezza delle risorse pubbliche che vanno garantite». 

Rossi precisa che il canone confluisce anche nel Fondo per l’Editoria e il pluralismo, in questo modo alla Rai ne resta l’83%, a fronte del 95% incassato dai broadcaster europei. «Tendo a pensare — aveva osservato poco prima Cairo — che canone a 90 euro o canone a 70 euro con finanziamento aggiuntivo dello Stato non siano un grande problema. Anche in Francia o in Spagna lo Stato finanzia la tv pubblica. Il vero tema è che la Rai conta anche su un 24% di ricavi da pubblicità. Se ne ha così tanta, allora anche La7 potrebbe avere una piccola parte di canone. Perché Augias quando è su Rai è servizio pubblio e quando è su La7 no?». Quanto al Fondo, il presidente di Rcs osserva come dei 140 milioni agli editori ne arrivino circa 60 «in un Paese che ha speso 140 miliardi per il Superbonus».
 
Confalonieri si sofferma sul tema delle fake news: «Non mi piace la disintermediazione — attacca —. Un professionista deve metterci la firma, anche in tribunale. Noi abbiamo dei valori. I contenuti del nostro Paese devono essere tutelati». E Barachini si spinge oltre, proponendo di rendere obbligatorio che chi fa informazione su Internet fornisca i dati della propria carta d’identità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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