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Vendita immobile

Carta di credito con fido

Procedura celere

salvo il credito dell’ex proprietario


Orientamenti giurisprudenziali

Conformi:

Cass. Civ., Sez. II, 20/03/2024, n. 7443

Cass. Civ., Sez. I, 22/12/2005, n. 28479

Cass. Civ., SS.UU., 07/07/2004, n. 12505

Cass. Civ., Sez. I, 12/04/2001, n. 5494

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

Cass. Civ., Sez. II, 29/05/1998, n. 5322

Cass. Civ., Sez. I, 04/04/1973 n. 934

Difformi

Non si rinvengono precedenti difformi

La vicenda

Il Tribunale di Cagliari ha rigettato l’opposizione allo stato passivo proposta dalla Società Alfa che aveva chiesto l’ammissione in prededuzione per la somma di Euro 1.466.400,00 (oltre interessi di mora ex d.lgs. 231/2002), corrispondente -secondo la valorizzazione risultante da una relazione giurata prodotta dalla Società Alfa in sede di osservazioni allo stato passivo- al valore delle unità immobiliari che la Società Beta in bonis si era impegnata a edificare e trasferirle entro trentasei mesi, in forza del contratto di “permuta di bene presente con bene futuro”che la Società Alfa aveva già integralmente adempiuto, trasferendo in proprietà alla Società Beta in bonis un immobile (fabbricato adibito a scuola) dietro il pagamento di un conguaglio di Euro 193.600,00 corrisposto e quietanzato al rogito.

A causa della intervenuta dichiarazione di fallimento della Società Beta, il reciproco trasferimento immobiliare non è stato effettuato.

Avverso il rigetto della domanda in sede di verifica dei crediti (motivato dal Giudice Delegato con il rilievo che “il titolo prodotto non prevede il pagamento della somma”), la Società Alfa ha proposto opposizione ex art. 98L.Fall., che il Tribunale di Cagliari ha appunto rigettato, osservando che “trattandosi di contratto di permuta e non di vendita, in assenza di specifiche pattuizioni sulla conversione dell’obbligo di realizzare i beni futuri in obbligo di pagarne il controvalore (con effetti novativi), quella conversione non era possibile, senza che ricorressero i presupposti ex art. 1424 c.c. per la conversione del negozio nullo, in quanto il contratto, validamente stipulato, non era affetto da alcuna nullità”.

Avverso tale decisione, la Società Alfa ha proposto ricorso per cassazione, formulando tre motivi, con i quali sono stati censurati i decreti di rigetto del Tribunale e del Giudice Delegato, innanzitutto sotto il profilo della violazione o falsa applicazione degli artt. 96L.Fall. e 111 Cost. per motivazione apparente. Il secondo mezzo di impugnazione denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 59L.Fall., essendo stato omesso da parte del Tribunale di Cagliari il presupposto della domanda ovverosia il fallimento della società obbligata all’edificazione. Con il terzo motivo, la Società Alfa ha insistito nella natura prededuttiva del suo credito, “poiché, non trattandosi di un rapporto pendente, il curatore non avrebbe potuto sciogliersi e vi sarebbe subentrato ex lege”, anche in considerazione del fatto che la Società Alfa non ha mai chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento.

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La pronuncia

Le doglianze mosse ai decreti dei giudici sardi consentono alla Corte di Cassazione di affrontare due macroargomenti, il primo relativo alla motivazione dei provvedimenti impugnati, mentre il secondo argomento riguarda l’inquadramento del contratto di “permuta di bene presente con bene futuro” con riferimento al riconoscimento del credito dell’ex proprietario dell’area ceduta, nello stato passivo del costruttore.

La Corte di Cassazione ha rigettato il primo motivo, non ritenendo “apparente” la motivazione addotta dai giudici sardi, e ciò ha fatto sia con riferimento al decreto di rigetto dell’opposizione allo stato passivo, che con riferimento alla decisione assunta dal giudice delegato.

Secondo gli Ermellini, infatti, il vizio di motivazione apparente non è rinvenibile nel caso di specie, in quanto “la motivazione, per quanto errata, esiste ed è superiore alla soglia del c.d. minimo costituzionale sindacabile in sede di legittimità (Cass. Civ. Sez. U, 8053/2014; cfr. Cass. Civ. 9017/2018, Cass. Civ. 26199/2021, Cass. Civ. 33961/2022, Cass. Civ. 956/2023, Cass. Civ. 4784/2023)”.

Con particolare riferimento, poi, alla motivazione del provvedimento del giudice delegato, pur non ritenendo la Corte di affrontare in quella sede la relativa discussione, ha comunque statuito che “l’art. 96, comma 1, l.fall. richiede una ‘succinta motivazione’ la quale può essere operata anche ‘per relationem’ alle ragioni esposte dal curatore fallimentare nel progetto di cui all’art. 95l.fall. (Cass. Civ. 24794/2018, Cass. Civ. 16706/2020)”.

Ne consegue che i provvedimenti censurati dalla Società Alfa sotto il profilo processuale sono stati ritenuti validi e non viziati.

Passando, poi, ad analizzare il secondo motivo, la Corte di Cassazione ha ritenuto fondata la censura sollevata dalla Società Alfa, motivando tale conclusione in considerazione dell’ “errato inquadramento giuridico della vicenda negoziale” da parte del Tribunale di Cagliari.

Secondo la Suprema Corte, infatti, il contratto intercorso tra la Società Alfa e la Società Beta è un contratto di “permuta di bene presente con bene futuro”, in quanto sono sussumibili in tale fattispecie giuridica tutti quei contratti “che hanno ad oggetto il trasferimento di un immobile (ad es. area fabbricabile) in cambio del trasferimento di altro immobile (ad es. parti dell’edificio da costruire a cura e mezzi del cessionario), sicché l’effetto traslativo ex art. 1472 c.c. (applicabile ai sensi dell’art. 1555 c.c.) si verifica quando la cosa viene ad esistenza, momento che si identifica nella conclusione del processo edificatorio nelle sue componenti essenziali, ossia nella realizzazione delle strutture fondamentali (Cass. Civ. 13398/2024, Cass. Civ. 24172/2013)”.

Sulla scorta di tale qualificazione giuridica, la Suprema Corte ha escluso l’applicazione dell’art. 72, comma 1, L.Fall. (oggi art. 172, comma 1, CCII), “pacificamente configurabile solo quando le prestazioni del sinallagma siano ancora ineseguite o non compiutamente eseguite da entrambe le parti (cfr. Cass. Civ. Sez. U, 12505/2004), mentre nel caso in esame è pacifico che l’odierna ricorrente aveva adempiuto la propria obbligaizone”.

Ricaduta diretta in sede concorsuale, di tale inquadramento giuridico del contratto intercorso tra la Società Alfa e la Società Beta, è l’applicazione dell’art. 59L.Fall., “poiché la ricorrente vantava il diritto ad una prestazione di ‘facere’ (trasferimento immobile), non coercibile, e dunque un credito ‘non pecuniario’, ammesso al concorso in base al suo valore alla data del fallimento”.

Date queste premesse, la Suprema Corte ha concluso per l’inammissibilità del terzo motivo di censura, che fonda la rivendicata natura prededucibile del credito della Società Alfa sull’esistenza di un credito di “massa”, piuttosto che di un credito concorsuale, come invece accertato dagli Ermellini.

Il Tribunale di Cagliari ha quindi errato nell’aver rigettato l’opposizione ex art. 98L.Fall. promossa dalla Società Alfa e conseguentemente la Suprema Corte ha cassato il decreto impugnato con rinvio al giudice del merito, in diversa composizione, per la determinazione del valore del credito “non pecuniario” sulla base delle allegazioni delle parti.

Caratteristiche della motivazione apparente

Secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, vi è vizio di apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. Civ. n. 9105/2017; conf. Cass, n. 20921/2019), restando il sindacato di legittimità sulla motivazione circoscritto alla sola verifica della violazione del cd. minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass. Civ. S.U. n. 8053/2014, Cass. Civ. n. 23940/2017, Cass. Civ. n. 16595/2019).

Con riferimento, poi, alla motivazione per relationem, la giurisprudenza ha precisato che “questa Corte ha ripetutamente affermato che detta motivazione è valida a condizione che i contenuti mutuati siano fatti oggetto di autonoma valutazione critica e le ragioni della decisione risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Cass. Civ., Sez. U., 4/6/2008 n. 14814)” (così, Cass. Civ., Sez. Trib., 25/10/2024, n. 27665).

Rispetto alla portata dell’art. 96, comma 1, L.Fall. (oggi art. 204, comma 1, CCII), oggetto di esame, seppur incidentalmente, da parte della Suprema Corte, è noto che viene ammessa la motivazione per relationem del decreto con il quale il giudice delegato al fallimento rigetta la domanda di insinuazione proposta da un creditore, “anche se siano state espresse in forma dubitativa, in quanto detto richiamo permette al creditore di esercitare la propria difesa in sede di opposizione allo stato passivo, previa valutazione della fondatezza e correttezza del decreto di rigetto della domanda di insinuazione” (così Cass. Civ., Sez. I, 11/12/2003, n.18935; conf. Cass. Civ., Sez. VI, 09/10/2018, n. 24794).

Nel caso di specie, si legge nell’ordinanza in commento, che il Giudice Delegato ha motivato l’esclusione del credito della Società Alfa “con il rilievo che ‘il titolo prodotto non prevede il pagamento della somma’”, per poi la Corte medesima rispondere al rilievo sollevato dalla Società Alfa, non accogliendolo, che la “succinta motivazione” prevista dall’art. 96, comma 1, L.Fall. può essere operata anche “per relationem” alle ragioni esposte dal curatore fallimentare nel progetto di stato passivo.

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Non avendo a disposizione gli atti della fase di verifica dei crediti, non è possibile esaminare più approfinditamente la statuizione incidentale della Suprema Corte sul punto, ma si può immaginare che il Giudice Delegato abbia assunto il proprio provvedimento di rigetto, anche richiamando le osservazioni formulate dal curatore nel progetto di stato passivo, successivamente riprese (ci sembra di capire) dal Tribunale nel decreto di rigetto dell’opposizione ex art. 98L.Fall.

La natura del contratto di permuta di bene presente con bene futuro

Con la pronuncia qui in esame, la Suprema Corte censura la decisione del Tribunale di Cagliari, per aver errato l’inquadramento giuridico della vicenda negoziale.

Ricordiamo che, secondo i giudici sardi, il contratto di “permuta di bene presente con bene futuro” stipulato tra la Società Alfa e la Società Beta, è un “contratto di permuta e non di vendita, in assenza di specifiche pattuizioni sulla conversione dell’obbligo di realizzare i beni futuri in obbligo di pagarne il controlvalore (con effetti novativi)”, sicché la relativa conversione avrebbe potuto avvenire solo ai sensi dell’art. 1424 c.c., ritenuto non applicabile, trattandosi di contratto validamente stipulato.

L’art. 1552 c.c. definisce la permuta come il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà, o di altri diritti, da un contraente a un altro, ma rinviando con l’art. 1555 c.c. alla disciplina della vendita, risolve in senso positivo il problema della applicabilità dell’art. 1472 c.c., implicitamente ritenendo lecita e possibile una permuta di cosa presente con una cosa futura.

A ciò si aggiunga che l’art. 1348 c.c. stabilisce che la prestazione di cose future può essere dedotta in contratto, salvo particolari divieti della legge. Anche sotto questo ulteriore profilo, quindi, è confermata la possibilità di includere cose future come oggetto di un contratto di permuta.

Ciò premesso, la Suprema Corte ha censurato la decisione del Tribunale, ritenendo che, nel caso di specie, non si è di fronte ad un contratto di permuta.

Al riguardo, risulta che “Dalla costante giurisprudenza di legittimità emerge il principio generale secondo cui il contratto avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di un’area edificabile in cambio di un fabbricato o di alcune sue parti da costruire sulla stessa superficie a cura e con i mezzi del cessionario può integrare sia un contratto di permuta di un bene esistente con un bene futuro, sia un contratto misto costituito con gli elementi della vendita e dell’appalto, configurandosi il primo se il sinallagma negoziale consiste nel trasferimento reciproco della proprietà attuale e della cosa futura e l’obbligo di erigere l’edificio sia restato su un piano accessorio e strumentale, e ravvisandosi invece il secondo quando la costruzione del fabbricato abbia assunto rilievo teleologicamente essenziale nella volontà delle parti e l’alienazione dell’area abbia costituito solo il mezzo per conseguire l’obbiettivo primario. In applicazione di tale criterio, è stato affermato che si ha permuta di cosa presente con cosa futura quando il proprietario di suolo edificatorio lo cede a un imprenditore in cambio di appartamenti del fabbricato che su di esso sarà edificato (realizzandosi l’effetto del trasferimento immediato della proprietà dell’area e restando differito l’acquisto della proprietà degli appartamenti al momento del venire in essere dell’edificio, senza bisogno di alcuna altra manifestazione di volontà) (così, Cass. Civ. n. 11234 del 2016)” (enfasi aggiunta; così Cass. Civ., Sez. II, 20/03/2024, n. 7443; conf. Cass. Civ., Sez. I, 22/12/2005, n. 28479, Cass. Civ. Sez. I, 12/04/2001, n. 5494; Cass. Civ. Sez. II, 29/05/1998, n. 5322).

Dalla sintetica ricostruzione in fatto operata dalla Corte, risulta che il contratto tra la Società Alfa e la Società Beta si deve inquadrare nella fattispecie del contratto di “permuta di bene presente con bene futuro”, avendo la Società Alfa trasferito in proprietà alla Società Beta un immobile che la Società Beta si era impegnata a riqualificare e a restituire alla Società Alfa (in tutto o in parte, non è dato sapere) nella forma di unità immobiliari entro un determinato termine.

Merita un accenno la ratio dell’operazione economica in parola (ben illustrata da Caccavale, Problemi specifici della permuta di cosa presente con cosa futura alla luce del D.Lgs. 112/2005, in Tutela dell’acquirente degli immobili da costruire: applicazione del D.Lgs. 122/2005 e prospettive, in I Quaderni della Fondanzione Italiana per il Notariato, Milano, 2005, pag. 57 e ss.), che si sostanzia nell’interesse di un soggetto, che normalmente agisce in qualità di privato, pieno proprietario di un immobile, indipendentemente dal fatto che si tratti di un’area edificabile oppure di un fabbricato già esistente destinato ad essere integralmente ristrutturato, e di un altro soggetto, che normalmente agisce nell’esercizio di attività d’impresa, interessato ad acquistare la piena proprietà dell’immobile nello stato in cui attualmente si trova e a trasferire all’attuale proprietario, a titolo di corrispettivo, una o più delle unità immobiliari che verranno costruite a seguito dell’intervento edilizio che verrà da esso stesso acquirente realizzato.

Questa tipologia di operazione vede nella prassi tre figure distinte.

La prima è quella appunto della c.d. permuta di cosa presente con bene futuro. La seconda figura è data dalla stipulazione di due negozi giuridici autonomi, seppur tra loro collegati, di vendita dell’immobile presente dall’originario proprietario al costruttore e di retrovendita dei beni futuri da quest’ultimo all’originario proprietario. La terza e ultima figura si caratterizza per la stipulazione di un contratto preliminare di “permuta di cosapresente con cosa futura” contenente una specifica clausola, attivabile normalmente da parte di ciascuna delle parti entro un termine prestabilito prima del primo contratto definitivo avente ad oggetto l’alienazione dell’immobile presente, portante facoltà di novare la permuta, agli effetti degli artt. 1230 e ss. c.c., in due distinti negozi giuridici di vendita, oppure di vendita di cosa presente e di preliminare di retrovendita di cosa futura.

Per completezza, occorre segnalare che la giurisprudenza ha ammesso la trascrizione del contratto di “permuta di bene presente con bene futuro”, rendendolo quindi opponibile ai terzi, allorquando il bene verrà a esistenza (cfr. Cass. Civ., sez. II, 23/07/2019, n.19824, Cass. Civ., 10/03/1997 n. 2126 e Cass. Civ. 21/07/2009 n. 16921).

L’applicabilità dell’art. 59 L.Fall. al contratto di “permuta di bene presente con bene futuro”

Diversamente dal Tribunale di Cagliari, che aveva concluso per l’inesistenza di un credito della Società Alfa nei confronti del Fallimento della Società Beta, la Suprema Corte, dopo aver correttamente qualificato il contratto tra la Società Alfa e la Società Beta come “permuta di bene presente con bene futuro”, ha concluso per l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 72, comma 1, L.Fall., “pacificamente configurabile solo quando le prestazioni del sinallagma siano ancora ineseguite o non compiutamente eseguite da entrambe le parti (cfr. Cass. Civ. Sez. U, 12505/2004)”.

E ciò ha fatto in considerazione del condivisibile ragionamento secondo il quale, in queste fattispecie, “rimane sospeso l’acquisto della proprietà della cosa futura”, mentre era pacifico che la Società Alfa aveva adempiuto integralmente la propria obbligazione, trasferendo l’immobile alla Società Beta.

Di qui, l’applicabilità dell’art. 59L.Fall., secondo il quale i crediti non scaduti aventi ad oggetto prestazioni diverse dal denaro (nel caso di specie un facere, cioè la vendita degli immobili) “concorrono secondo il loro valore alla data della dichiarazione di fallimento”.

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In sintesi, quindi, la chiave del ragionamento della Suprema Corte: l’ex proprietario che ha stipulato un contratto di “permuta di un bene presente con bene futuro”, in caso di fallimento del costruttore, vanta un credito concorsuale, non pecuniario, scaturente dall’impossibilità di dare seguito all’effetto traslativo posticipato della proprietà della cosa futura.

Conclusioni

Con l’ordinanza in commento la Corte di Cassazione ha cassato il decreto del Tribunale di Cagliari, pur giudicandolo adegutamente motivato, per errata qualificazione giuridica del contratto intercorso tra la Società Alfa e la Società Beta in bonis, avendolo ritenuto un contratto di permuta tout-court.

Ne consegue che il riferimento operato dal Tribunale di Cagliari alla mancanza nel contratto di permuta di “specifiche pattuzioni sulla conversione dell’obbligo di realizzare i beni futuri in obbligo di pagarne il controvalore (con effetti novativi)”, è completamente avulso dall’oggetto del contratto di “permuta di bene presente con bene futuro”.

La pronuncia è condivisibile, in quanto fa discendere dall’effetto traslativo posticipato del bene futuro la conseguenza che, in caso di fallimento del soggetto che avrebbe dovuto procurare l’acquisto predetto, il creditore di tale prestazione di “facere” (trasferimento dell’immobile), non coercibile, e dunque di un credito “non pecuniario”, ha il diritto di essere ammesso al passivo in base al valore del predetto credito alla data del fallimento, da determinare in base alle allegazioni delle parti.

Riferimenti normativi:

Art. 1472 c.c.

Art. 1555 c.c.

Art. 59L.Fall. (oggi, art. 158, comma 1, CCII)

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