Il centro studi di Cassa Depositi e Prestiti ha di recente pubblicato un rapporto sul sistema moda in Italia. Nel sistema moda sono compresi i settori del tessile, abbigliamento, calzature e accessori e tutte le attività che compongono la filiera, dalle materie prime alle macchine e attrezzature, alle attività a valle associate alla vendita e alla distribuzione. Sulla base dei calcoli di Cassa Depositi e Prestiti la filiera della moda vale circa 75 miliardi di valore aggiunto, quasi due volte il PIL delle Marche.
È un valore che corrisponde al 5,1% del PIL italiano e al 5,8% degli occupati. Si tratta di una delle filiere di maggiore rilevanza del nostro paese e dalla quale dipende una parte considerevole della capacità di penetrazione dei nostri prodotti sui mercati esteri. La moda è sicuramente fra i settori maggiormente rappresentativi del Made in Italy. La filiera della moda ha un peso ancora più rilevante nelle Marche in particolare per la specializzazione nella produzione calzaturiera. Se l’importanza del sistema moda per l’economia italiana e regionale è un dato incontrovertibile non altrettanto lo è l’interpretazione e il giudizio sulla situazione e sulle prospettive della filiera. Secondo alcuni il sistema moda va difeso e valorizzato in quanto principale espressione dell’eccellenza creativa e manifatturiera italiana.
L’Italia è il primo produttore al mondo di alta moda e gran parte dei fornitori dei grandi gruppi internazionali si trova nel nostro paese. Il successo della moda Made in Italy si fonda, infatti, sulla qualità dei materiali e delle lavorazioni oltre che sulla notorietà dei marchi e sul talento dei designer. Secondo altri il peso dei settori della moda sul PIL e sull’occupazione è eccessivo poiché si tratta di settori a bassa tecnologia. Inoltre, le imprese operanti nel nostro paese sono eccessivamente attestate sulle attività di trasformazione piuttosto che in quelle a monte e a valle della filiera. Fra gli economisti industriali è noto il modello della smiling curve; si tratta di una rappresentazione delle filiere manifatturiere in funzione del valore aggiunto generato. I valori più alti si ottengono per le fasi a monte (ricerca e sviluppo, ideazione e progettazione) e a valle (marketing e distribuzione) mentre quelli centrali della trasformazione risultano a più basso valore aggiunto; da ciò la curva a forma di sorriso.
Questo modello è utile nell’interpretare le tendenze della specializzazione a livello internazionale e la distribuzione delle attività all’interno delle catene globali del valore. I paesi avanzati, ad alto reddito pro-capite, tendono a specializzarsi nelle fasi a monte e a valle della filiera, che sviluppano un valore aggiunto più elevato e consentono più elevate remunerazioni del lavoro. Al contrario, le attività di trasformazione tendono ad essere spostate verso paesi a più basso reddito pro-capite e con più basse retribuzioni del lavoro.
In effetti, sulla base delle elaborazioni di Cassa Depositi e Prestiti, le attività di trasformazione all’interno della filiera della moda valgono poco più di un terzo del valore aggiunto totale mentre il rimanente va alle attività a monte e a valle ed in particolare a quelle associate al controllo dei marchi e della distribuzione. L’Italia, in sostanza, sembra essere dalla parte sbagliata della specializzazione lungo la filiera con un eccesso di presenza nelle fasi della trasformazione e una scarsa capacità di controllo delle fasi a monte e a valle. Questa situazione è andata accentuandosi negli ultimi decenni per effetto delle numerose acquisizioni di marchi italiani da parte dei grandi gruppi internazionali del lusso. A spiegare questa situazione concorre il principale elemento di debolezza strutturale del nostro paese, che nel caso della moda è ancora più accentuo: l’eccessiva frammentazione del sistema delle imprese e la scarsa presenza di player di rilevanza globale. Di qui il dilemma in termini di politica industriale: se continuare a sostenere la filiera della moda per come è attualmente configurata, sapendo di contribuire a produrre valore aggiunto per altri paesi, oppure puntare con decisione a cambiare il nostro modello di specializzazione.
Docente di Economia Applicata all’Università Politecnica delle Marche
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