Le medie imprese del Mezzogiorno godono di buona salute. Aumentano fatturato ed export, diversamente dalle aziende del Centro e del Nord dove si registrano segni negativi. È il dato principale che emerge dal rapporto «La competitività delle medie imprese del Mezzogiorno tra percezione dei rischi e strategie di innovazione», realizzato dall’Area Studi di Mediobanca, dal Centro Studi Tagliacarne e da Unioncamere, presentato ieri a Bari.
Insomma, le medie imprese tirano ma c’è un problema, come sottolineato dal presidente di Unioncamere Andrea Prete: sono poche. Infatti, complessivamente sono 431, ciascuna con una forza lavoro compresa fra 50 e 499 unità e un volume di vendite tra i 17 e i 370 milioni di euro. Poche, anche se dal 1996 al 2022 sono passate da 213 a 431. Le imprese che hanno avuto un incremento maggiore in questo arco di tempo sono state quelle campane (+114) seguite dalle pugliesi (+46) e siciliane (+27). Complessivamente oggi la Campania conta su 172 medie imprese, la Puglia 84, l’Abruzzo 68 e la Sicilia 51. Seguono la Basilicata (20) la Sardegna (19) la Calabria (15) e il Molise (7). Per quanto riguarda le specializzazioni settoriali nella media impresa del Sud a farla da padrone è il settore alimentare e bevande (43,7%), segue il meccanico (22%) e il chimico e farmaceutico (12,8%). Il fatturato più consistente, i dati si riferiscono al 2022, è quello della Campania con oltre 9 miliardi di euro, segue la Puglia con quasi 4 miliardi, al terzo posto l’Abruzzo che sfiora i 3 miliardi e la Sicilia con 2 miliardi e mezzo circa. Complessivamente le medie imprese del Sud hanno fatturato 22,9 miliardi.
L’export ha toccato i 6,9 miliardi (la Campania 2,7 miliardi, l’Abruzzo poco più di 1 miliardo e la Puglia 917.338 milioni di euro). Nel 2023 il loro fatturato è aumentato del 2,7%, contro un calo del 3,6% di quelle del Centro-Nord, mentre l’export è salito del 4,4%, a fronte di una diminuzione del 2,1% delle altre. Anche per l’anno in corso le medie imprese del Sud prevedono di raggiungere un incremento intorno al 2% del proprio giro d’affari e delle esportazioni, in contrapposizione ad un calo atteso da quelle del resto d’Italia rispettivamente dell’1,5% e del 4%. I dipendenti delle medie imprese meridionali sono 51.758 (18.742 in Campania e 11.831 in Puglia). Una difficoltà lamentata dall’80% delle imprese a proposito delle risorse umane, è quella di reperire profili professionali adeguati e nei prossimi tre anni il 3% delle imprese mira ad assumere lavoratori stranieri, sia per l’indisponibilità degli italiani che per la mancanza di giovani. Bassa la presenza femminile che arriva al 12,4% della forza lavoro.
L’INNOVAZIONE
Ottima la performance delle medie imprese del Sud negli investimenti in tecnologie 4.0: è una strada intrapresa dall’87,3% rispetto all’82,1% di quelle del Centro-Nord. Il principale investimento è quello rivolto alla digitalizzazione dei processi e nei prossimi tre anni il 41,3% inizierà a utilizzare l’intelligenza artificiale. Quanto al Pnrr, una impresa su due crede che non porterà vantaggi competitivi a causa dell’eccessivo iter burocratico e per la difficoltà nell’eseguire i progetti. La fotografia fornita dal rapporto, insomma, è nel complesso molto soddisfacente, in controtendenza alla tradizionale immagine di un Mezzogiorno attardato. «Questo avviene perché le medie imprese sono l’esito finale di un processo di sviluppo economico molto lungo spiega l’economista Gianfranco Viesti – Quando i sistemi produttivi si sviluppano e crescono al loro interno si affermano le imprese medie. C’è un interessante al Sud: il fenomeno è molto a macchia di leopardo, ed è molto concentrato nell’Abruzzo costiero, nell’area napoletana e nella Puglia, esclusa Foggia. Pertanto, nell’insieme rimangono molto poche, un po’ più del 10% del totale italiano. Quindi dipende da come si guardano le cose: sono poche, ma negli ultimi 20 anni sono cresciute a velocità maggiore rispetto alla media italiana. Un bicchiere mezzo pieno comunque se si guarda a come è andata l’economia in questi ultimi 20 anni. Le medie imprese sono simili a quelle del resto del Paese, ma sono diverse perché sono un po’ di più concentrate sul mercato interno. Se si pensa a cosa è stato il mercato interno italiano negli ultimi 15 anni con la caduta dei consumi, è un motivo per vedere il bicchiere mezzo pieno. E poi c’è il gap infrastrutturale del Sud, che dà un 10% di produttività inferiore: è lo scarto che viene fuori da trasporti, banda larga e da tutti i servizi di cui sappiamo bene», aggiunge. Aspetti, questi ultimi, sottolineati anche dalla presidente della Camera di commercio di Bari, Luciana Di Bisceglie: «Ci sono una serie di gap che le imprese hanno bisogno che vengano colmate, in primis quello delle infrastrutture, poi la capacità di accedere molto più facilmente al credito e affrontare i costi logistici che per le imprese del Sud sono più importanti rispetto ad altre aree del Paese».
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