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Obbligo BIM, a rischio la scadenza del 2025: resistenze e divario digitale frenano il cambiamento | Articoli


Obbligo BIM dal 2025: tra rinvii e resistenze, una transizione ancora incerta

Il 1° gennaio 2025 si avvicina rapidamente, segnando una scadenza cruciale per l’obbligo di utilizzo del Building Information Modeling (BIM) negli appalti pubblici. Eppure, mentre il nuovo Codice degli Appalti (D.Lgs. 36/2023) stabilisce un quadro legislativo più maturo e orientato al risultato, i segnali degli ultimi mesi suggeriscono che la transizione non sarà così lineare. Tra dubbi, proposte di rinvii e divari digitali ancora profondi, la strada sembra più lunga e tortuosa del previsto.

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Il nuovo Codice degli Appalti (D.Lgs. 36/2023)

Il nuovo anno ormai alle porte dovrebbe rivelarsi cruciale riguardo l’obbligatorietà dell’adozione del BIM negli appalti pubblici, rappresentando un punto di svolta ma anche un banco di prova per l’intero settore delle costruzioni, chiamato a dimostrare di aver colto appieno il potenziale di una trasformazione digitale attesa da anni. Ma l’unico obbligo certo, al momento, è proprio l’utilizzo del condizionale per parlare di tale argomento. Andiamo con ordine.

Rispetto al precedente Codice (D.Lgs. 50/2016) e al DM 560/2017, il nuovo Codice degli Appalti ha una natura autoesecutiva. Questa caratteristica deriva dall’inclusione, insieme ai 5 libri principali, di 36 allegati che rendono gli articoli direttamente eseguibili, senza la necessità di ulteriori decreti attuativi. In particolare, per quanto riguarda il BIM, l’Articolo 43, dedicato ai “Metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni”, si avvale del suo allegato diretto I.9.

La struttura del nuovo Codice pone una forte enfasi sulla digitalizzazione. Il Libro I, intitolato “Dei principi, della digitalizzazione, della programmazione, della progettazione“, sottolinea l’importanza strategica della trasformazione digitale nel settore pubblico. Un articolo innovativo riguarda l’uso di procedure automatizzate nel ciclo di vita dei contratti pubblici, indicando che le stazioni appaltanti devono, ove possibile, automatizzare le proprie attività utilizzando soluzioni tecnologiche, tra cui l’intelligenza artificiale e le tecnologie di registri distribuiti.

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Tra i principi generali del Codice è stato introdotto il “principio del risultato”, che impone di garantire, dall’affidamento all’esecuzione, il raggiungimento degli obiettivi con la massima tempestività e il miglior rapporto qualità-prezzo. La relazione di accompagnamento del Codice evidenzia come l’adozione del BIM sia fondamentale per ridurre la complessità dei procedimenti e comprimere i tempi di realizzazione, migliorando l’efficienza e l’efficacia nella progettazione, realizzazione e gestione delle opere e dei servizi correlati.

Questa prospettiva chiarisce che il BIM non può essere ridotto a una semplice modellazione tridimensionale gestita da un ristretto gruppo di esperti. Al contrario rappresenta una componente centrale e strategica dei processi. Considerare il BIM o la digitalizzazione come strumenti riservati a pochi specialisti, limitati alla redazione di documenti tecnici, rischia di compromettere l’intero impianto legislativo e di minare l’efficacia del principio del risultato, trasformando il BIM in un mero adempimento formale anziché in un mezzo per innovare e ottimizzare i processi.

Fino qui sembrava finita definitivamente l’epoca dei dubbi con un apparato legislativo completamente rivisto con la digitalizzazione al centro. Era arrivato il momento, anche per i più scettici, di rimboccarsi le maniche e lavorare nella visione del nuovo codice, ma questi ultimi mesi del 2024 ci testimoniamo come il cammino sia ancora lungo.

 

Lo stato dell’arte e il correttivo 2024

E circa due mesi prima del 1° gennaio 2025, ecco “il coniglio dal cilindro”: ad ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via preliminare, lo schema di decreto legislativo recante “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36”. Ovviamente il testo è soggetto a ulteriori fasi procedurali ed è quindi suscettibile di modifiche.

Tra le modifiche più discusse vi è la volontà di spostare la soglia per l’obbligo del BIM (Building Information Modeling), con l’aumento del tetto da 1 milione a 2 milioni di euro, andando così ad escludere una grande fetta delle stazioni appaltanti italiane dal suo utilizzo immediato.

Questa decisione in parte non sorprende, considerando la necessità di evitare un rallentamento delle procedure per le stazioni appaltanti meno attrezzate, motivazione che tra l’altro è tra quelle esplicitate proprio dalla relazione illustrativa del correttivo (“evitare che le stazioni appaltanti più piccole si trovino di fronte a un blocco delle procedure a causa delle carenze tecniche e di personale interne”).

 

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Un ritardo annunciato: una storia decennale

L’obbligo del BIM non nasce oggi, ma è stato introdotto formalmente nel 2017 con il Decreto Baratono. Già nel 2014, l’Europa aveva espresso l’intenzione di promuovere l’adozione di metodi digitali nella gestione degli appalti pubblici.

Sono quindi passati oltre dieci anni da quando si è iniziato a discutere di questi temi nell’ambito dei lavori pubblici, eppure molte stazioni appaltanti non sono ancora pronte.

Inoltre, è bene ricordare che potremmo essere di fronte alla seconda proroga: una vi era stata già nel 2021, con il DM 312 che andava a modificare il DM 560 portando l’obbligo BIM previsto dal 2025 per tutte le opere di importo a base di gara inferiore a 1 milione di euro a importo a base di gara pari o superiore a 1 milione di euro.

 

Il dibattito in corso e il rinvio

Questo ritardo è un chiaro segno di fallimento da parte di tutti gli attori coinvolti, Stato incluso, nel non aver fatto comprendere l’effettivo “investimento certo” di cui parla il nuovo Codice degli Appalti.

In un recente confronto con una stazione appaltante, ho assistito alla volontà di un Responsabile Unico di Progetto (RUP) di provare ad abbassare l’importo dei lavori di quel poco che bastasse per evitare di ricadere nell’obbligo del BIM.

Questa e altre esperienze mi portano a dire che vi è un evidente segnale di resistenza al cambiamento, spesso immotivato, di fronte all’opportunità di affrontare una sfida che possa in realtà portare miglioramenti alle stesse stazioni appaltanti.

Indubbiamente, imporre l’obbligo del BIM dal 1° gennaio, con molte stazioni appaltanti ancora in difficoltà, potrebbe alimentare speculazioni a vantaggio di pochi e generare inutili corse a una formazione superficiale o a certificazioni formali. Dall’altro lato, un ulteriore rinvio rischia di generare un rilassamento, affossando le premesse del Codice stesso e di quanti invece in questi anni ci hanno creduto.

Nonostante la pubblicazione del correttivo in queste settimane, la discussione non si è ancora conclusa e il dibattito è acceso. L’ANCI, in rappresentanza dei comuni italiani, ha rilanciato proponendo di innalzare la soglia a 4 milioni di euro.

Quello che è sicuro, a pochi giorni dal 1° gennaio e con una discussione ancora aperta, è la totale mancanza di certezze che va, dunque, a creare una confusione ancora maggiore rispetto al passato. Ad oggi, il divario sulla maturità digitale tra grandi e piccole stazioni appaltanti è notevole.

Se questo gap non viene gestito tempestivamente è destinato ad aumentare, soprattutto considerando che in molte situazioni non viene nemmeno applicato il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD). Le stazioni appaltanti più strutturate e lungimiranti hanno investito negli anni in formazione e attrezzature, adeguandosi progressivamente alle nuove normative. A questo punto pare evidente che le tanto agognate proroghe stiano per arrivare.

Ma a chi farà bene tutto questo?

..Continua la lettura anche nel PDF.



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