Per la prima volta “l’inauguration Day” – che segna ufficialmente l’inizio della presidenza degli Stati Uniti d’America – si è trasformato in un tema di politica interna ed è stato utilizzato con una certa abilità anche per mettere in mostra alcune “gelosie” all’interno della maggioranza di governo, in particolare tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini. O almeno così è stata raccontata da una certa stampa per mesi. Del resto il segretario della Lega – rinunciando a ogni cautela istituzionale – si era apertamente esposto in favore di The Donald in tutta la campagna elettorale, dalle primarie repubblicane al 5 novembre. Eppure alla fine il feeling tra Trump e Meloni è sbocciato sin da subito, probabilmente anche grazie al ruolo giocato da Elon Musk. D’altronde la politica estera di successo – come la storia ci insegna – è spesso il frutto di intensi rapporti personali, una carta che la presidente del Consiglio ha saputo giocare nell’immediatezza e meglio di Salvini.
Asse USA-Italia
La posizione di Giorgia la pone in una posizione di vantaggio, cosi come il rapporto tra conservatori europei (Fratelli d’Italia) e repubblicani ha aiutato a rendere più saldo l’asse della nuova politica di rapporti tra gli Stati Uniti e l’Italia. Meloni ha saputo leggere subito l’opportunità che le si spalancava all’orizzonte e l’ha colta, dimostrando ancora una volta che la capacità di essere tempestivi è decisiva, soprattutto nelle fasi di cambiamento come quella in cui viviamo. La debolezza degli altri paesi europei e la diffidenza della nuova Casa Bianca verso alcuni partner hanno ulteriormente agevolato l’operazione diplomatica della presidente del Consiglio. Che ha incassato il riconoscimento ufficiale agli occhi del mondo, non solo attraverso le parole di The Donald più volte ribadite alla stampa e con l’arrivo a Mar-a-lago per il caso Cecilia Sala, ma soprattutto con l’invito all’insediamento (unico primo ministro europeo).
Solo rapporti bilaterali
Alla cerimonia non è stata invitata la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Elemento che chiarifica – qualora vi fossero dubbi – che la nuova amministrazione Usa non riconosce l’Unione europea come interlocutore, ma fisserà ogni passo su rapporti bilaterali con i singoli Stati, disegnando però già una gerarchia in cui per la prima volta l’Italia si trova in cima. Da questo punto di vista, Meloni ha avuto più lungimiranza e tatto anche dei suoi alleati, mantenendo il distacco istituzionale necessario dalla campagna elettorale: ha mantenuto i rapporti tra il suo partito e i repubblicani e si è saputa fiondare subito nel vuoto lasciato dagli altri “partner” dell’alleanza atlantica. Anche Forza Italia – almeno cosi è sembrato – si era fatta conquistare dalla visione mediatica (totalmente infondata) che, nell’interesse italiano ed europeo, la vittoria di Kamala Harris sarebbe stata più auspicabile.
Cautela e calcolo
Meloni non ci ha mai creduto: ha scisso l’interesse italiano da quello “europeo”, si è tenuta pronta ad entrambe le opzioni, sperando probabilmente che alla fine vincesse il tycoon. E la sorte le ha sorriso ancora una volta. Cautela e calcolo sono state armi importanti che la presidente del Consiglio ha saputo sfruttare, capendo prima di tutti che la vittoria di Trump avrebbe cambiato i paradigmi e dunque gli equilibri internazionali. Così l’Italia potrà inserirsi e concordare con l’alleato le sfere d’influenza e gli spazi lasciati vuoti dal disimpegno statunitense.
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