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l’alto Piemonte sotto il fascismo – Query Online


Giandujotto scettico N° 180 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo

A ottobre 2024 è uscito un libro molto interessante. Lo ha scritto Paolo Cortesi, che ha scritto più volte anche per Query Online. Si tratta di Medium & gerarchi (Manzoni Editore). Discute con ricchezza di documentazione i rapporti che gli spiritisti, gli occultisti, i teosofi e altri gruppi appartenenti all’universo del pensiero esoterico intrattennero con il regime fascista. 

Questi rapporti furono intensi, contraddittori, altalenanti. Soprattutto, in molti casi, videro un’attenzione occhiuta da parte della dittatura nei confronti di quegli ambienti eterodossi che, d’altro canto, in molte occasioni provarono a cercarne la tolleranza, se non addirittura i favori e l’approvazione. Venne poi, spesso, la censura e una più o meno aperta repressione, specie quando si trattò di adeguare gli statuti delle associazioni all’oscenità della legislazione antisemita. Ci furono poi anche vicende di più difficile interpretazione come quella, che lo stesso Cortesi ci ha raccontato su Query Online, del curioso ricevimento da parte di Mussolini, nel 1937, dei dirigenti dell’AMORC americano, movimento occultistico di derivazione teosofica. Di norma, chi in Italia si occupava di esoterismo organizzato veniva da ambienti sociali e culturali di buona levatura; anche per questo, poteva interloquire con le autorità della dittatura, anche con quelle di vertice – e, di converso, subirne le ire. 

Invece, sulla base dell’evidenza documentaria, il fascismo fu molto tollerante verso le espressioni popolari, spontanee, disorganizzate dell’occultismo e dello spiritismo. Erano considerate innocue: la nostra indagine sulle fonti del tempo ci pare mostrare che, soprattutto in provincia, oltre che con le adunate in uniforme, ci si divertisse anche con i fantasmi, le infestazioni delle case e con altre storie “misteriose”, senza che la cosa preoccupasse troppo podestà, Reali Carabinieri, le camicie nere della Milizia e i capi locali del partito. 

Vi racconteremo ora che cosa accadde in un’area ristrettissima d’Italia, la sponda piemontese del Lago Maggiore, e in alcune località non troppo distanti fra il 1931 e il 1942. Undici lunghi anni, nel corso del quale il Lago Maggiore ebbe modo di diventare una succursale del Loch Ness scozzese grazie a improbabili mostri locali (ne avevamo scritto qui), ma in cui fiorirono anche storie di fantasmi e infestazioni spiritiche che si risolsero, in molti casi, a bastonate.

Inizi l’invasione

Non è un modo di dire, il titolo di questo capitolo. Perché il “decennio dei misteri” che investirono la sponda piemontese del Lago Maggiore e le zone circonvicine, cominciò con una storia clamorosa della quale, purtroppo, sappiamo ben poco. Fu il segnale d’avvio di una vera e propria invasione da parte di fantasmi e babau vari. A raccontarla in breve, il 31 gennaio del 1931, il settimanale L’Unione, che usciva a Verbania.

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Traffiume, una frazione di Cannobio, era in subbuglio. Stando ai racconti che circolavano, sembrava che un fantasma geloso – una categoria di spiriti molto diffusa, come vedremo – cercasse in tutti i modi d’impedire che due fidanzati s’incontrassero. Non è spiegato in dettaglio che cosa capitava ai due, ma la cosa più interessante forse è un’altra. In poco tempo la storia dei fidanzati disturbati dal fantasma si diffuse: in paese, molti sostenevano che, di notte, una presenza misteriosa li afferrava per le braccia o per le gambe. Forse era vero, e gli spiriti stavano invadendo Traffiume, concludeva il cronista, ma lui preferiva credere a “un’allucinazione, o, meglio, il capriccio di qualche imbroglione che voglia divertirsi alle spalle degli ingenui”.

Ecco quindi emergere subito un’impressione relativa al “mistero” sotto il fascismo, intorno al Lago Maggiore: quella dello scherzo – ma, spesso, lo scherzo che si paga a caro prezzo, cioè, con le botte. In tutto questo, la cosa che colpisce è che quasi mai ci sia notizia di interventi da parte delle autorità. Gli episodi si ripetevano con notevole frequenza, ma senza che, per quanto ne sappiamo, il Regime considerasse la cosa una ragione di inquietudine. Le cose, come vedremo più volte, erano “sistemate” dai privati cittadini.

E infatti, pochi mesi dopo il primo episodio, ecco che presso il cimitero di Trobaso, frazione di Verbania, una sera un adolescente si trova davanti una visione agghiacciante: “una alta figura avvolta in un grande lenzuolo con due braccia lunghissime ed una faccia da scheletro”. Senza scomporsi, il giovane prova ad afferrarlo, ma il fantasma gli sfugge spiccando un balzo oltre il muro di cinta del camposanto. “Uno stupido scherzo”, per La Gazzetta del Lago del 20 gennaio 1932, che al fantasma, si fa capire, sarebbe potuto costare piuttosto salato, se il giovane fosse riuscito ad acchiappare lo “spirito”. 

Ci sono invece due episodio maggiori che, per la loro rilevanza, tratteremo in due prossimi Giandujotto. Il primo riguarda una storia interessante di poltergeist che ebbe per teatro il paese di San Bernardino d’Intra, a due passi da Trobaso, dove poco tempo prima si era manifestato il fantasma con la faccia da scheletro. È anche l’unico caso in cui, come vi racconteremo, sappiamo di un intervento della forza pubblica. Il secondo è una vicenda ancora più curiosa, perché riguarda le visioni che nel 1940 ebbe una donna di Verbania; per le loro caratteristiche insolite rispetto a questa sequela di spiriti burloni, merita anche questa un ragionamento a parte.

Intanto, però, la guerra dei fantasmi del Lago Maggiore aveva assunto proporzioni più vaste.

Così, il 24 ottobre del 1936, La Gazzetta del Lago scriveva che, da qualche sera, il ventottenne Luigi Coballi, abitante nel paesino di Cranna, di ritorno da casa della fidanzata, a metà strada incontrava un “fantasma” che gli rivolgeva gesti minacciosi. Questo genere di “apparizioni” era spesso interpretato come tentativi da parte di rivali in amore di spaventare qualcuno, inducendolo ad allontanarsi da una ragazza. Altrettanto spesso, come in questa occasione, il fantasma era costretto a scappare urlando, inseguito dalle bastonate della vittima mancata.

Ma i fantasmi potevano avere anche altre motivazioni. Sei mesi dopo questa storia, il 18 aprile del 1937, la stessa testata riferiva che a Possaccio, frazione di Verbania, un 42enne che voleva spaventare operai e operaie che, finito il turno di lavoro, uscivano da un cotonificio, si era appostato dietro il muretto del cimitero, emettendo ogni tipo di grido e nascondendosi dietro un lenzuolo bianco, che agitava. Dopo qualche sera, raggiunto da tre giovani, fu circondato “e bastonato di santa ragione”.

In nessun caso, per quanto ne sappiamo, le forze dell’ordine intervennero per sanzionare bastonati e bastonatori.

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Gerundio, paesano coraggioso

Non sappiamo se Gerundio sia mai esistito e, soprattutto, se la storia raccontata il 2 dicembre del 1936 da La Gazzetta del Lago fosse un’invenzione giornalistica nel senso stretto del termine. Lo diciamo perché, nella prima parte, la storia ricorda una leggenda metropolitana classica. La vicenda sarebbe questa: nell’osteria di un posto non meglio precisato, ma presumibilmente ad Omegna, Gerundio accetta la sfida dei suoi amici, che gli chiedono di andare al cimitero, di notte. Qui deve affrontare la paura dei morti prelevando una manciata della ghiaietta, una ghiaietta tipica, che si trova intorno alle sepolture del cimitero della cittadina. Lui accetta, e, dopo un po’, ritorna – bianco come un cencio, ma con la ghiaia fra le dita. 

In questa prima parte, come dicevamo, l’articolo ricorda una leggenda metropolitana classica, quella della sfida al cimitero, cioè, quella in cui un uomo accetta di passare la notte al camposanto, ma viene poi ritrovato morto di paura – un lembo dell’abito gli si è agganciato qualcosa, e lui crede che un morto lo stia trattenendo – anche se, nel caso di Gerundio, non ci sono ganci scambiati per morti a tirarlo indietro. Avevamo raccontato una storia di questo genere sulle pagine del sito del CeRaVOLC, Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee.

Poi però la storia prosegue. Delusi, gli amici cercano una rivincita verso Gerundio. Gli chiedono perciò di recarsi presso una torre diroccata, a circa cinquecento metri dal paese, sulla montagna, che ha fama di essere popolata dai fantasmi. Lui accetta, e se ne va fischiettando fino alla costruzione, per niente preoccupato, tanto più che c’è una bella Luna. Dice a voce alta che, probabilmente, i fantasmi hanno freddo, e che per quella sera non si faranno vedere.

Ma ha appena finito l’ultima parola, che due figure gigantesche bianco vestite, avanzano sul sentiero. Gerundio, suo malgrado, sente un brivido corrergli giù per la schiena. Ma lo smarrimento dura un attimo. Il giovane, ritrovato il suo sangue freddo raccoglie un bastone da una catasta di legna e attende a piè fermo… l’offensiva dei fantasmi. I quali gli arrivano addosso cercando di circondarlo. Un altro sarebbe morto di terrore. Gerundio, invece, fa lavorare il randello così… bene che un fantasma non può fare a meno di strillare per il dolore. – Strano – pensa Gerundio, i fantasmi si vedono ma non si toccano. Questo urla persino. Qui gatta ci cova… Ad ogni modo Gerundio continua a “legnare” costringendo i due fantasmi ad una fuga ignominiosa.

Ritornato all’osteria il giovane riesce a chiarire il mistero; i due fantasmi erano due dei suoi amici che, per spaventarlo, avevano combinato quello scherzo di cattivo gusto. Scherzo che è costato loro un sacco di legnate e lo scherno dei compaesani. 

Scherzo finito malissimo, dunque, in cui l’ennesima azione fantasmatica non è per niente censurata dal potere costituito. Anzi, sembrano dire i toni scanzonati dell’articolo: il manganello dei cittadini è pronto anche contro i fantasmi, anche se sono in due, e il Gerundio armato di manganello è soltanto uno.

Fantasmi gelosi, fantasmi alticci, fantasmi fidanzati

Agosto 1940. L’Italia è in guerra da un paio di mesi. La situazione del paese nel complesso appare tranquilla. La Francia si è arresa il 24 giugno, gli inglesi sono nella loro isola, costretti a subire le prime incursioni aeree tedesche davvero pesanti sulle città. In Africa del Nord, un’effimera avanzata italiana oltre il confine libico-egiziano dà l’illusione che anche in quello scacchiere gli inglesi siano alle corde. 

Anche per quello, si può intraprendere uno degli sport preferiti dagli italiani fra gli anni ‘70 dell’Ottocento e la Seconda Guerra Mondiale: vestirsi da fantasma per provare a spaventare la gente – spesso, però, finendo suonati. Uno scenario che si ripeterà anche nella zona che oggi c’interessa. Il 28 agosto del 1940, La Gazzetta del Lago racconta l’avventura di Giovanni Anchetti, un operaio trentaduenne di un paesino dell’Alto Cusio: da qualche sera, rientrando come sempre dal lavoro in uno stabilimento di Omegna, a poca distanza da casa sua s’imbatte in un fantasma che, prima di dileguarsi, lo segue per un centinaio di metri.

Non è però tipo ben disposto verso i fantasmi: la sera di venerdì 23 decide di reagire. Quando il fantasma sbuca da un cespuglio, gli sferra due calci nel deretano. Lo spettro emette un grido di dolore, poi scappa via, inseguito per una cinquantina di metri e colpito ancora a calci. Prima che possa scappare anche stavolta, Anchetti gli salta addosso e gli strappa di dosso un velo bianco che lo ricopriva. Riconosce così un tizio che l’anno precedente era stato suo rivale in amore…

Una dinamica già vista, questa del fantasma che agisce per gelosia, o per altri motivi di rancore personale: lo avevamo incontrato nell’ottobre del 1936, nel paesino di Cranna. Le dinamiche di tutta questa violenza fantasmatica tuttavia rimangono per certi versi un mistero. Sembra bastasse poco per essere scambiati per uno spirito – o, forse, per uno spirito che cercava guai dai bravi cittadini. Ecco cosa accadde nella stessa zona del fantasma geloso la primavera successiva, quella del 1941. 

Il 4 aprile, Stampa Sera raccontava che un certo Saverio Pierlocchi, dopo aver alzato il gomito a Omegna, rientrava verso il suo paese. Accaldato, si era spogliato quasi del tutto, rimanendo in camicia bianca e mutande. Curiosa la considerazione del quotidiano: facile, quindi, scambiarlo per un fantasma

A noi oggi la cosa sembrerà strana: stando alla cronaca, nel vedere “una figura bianca”, quattro viandanti che, incrociatolo, dirigevano a Pettenasco, lo avrebbero “scambiato per un’anima dell’al di là”, e, tanto per cambiare, lo avrebbero preso a legnate. Resisi conto dell’equivoco, avrebbero chiesto scusa alla vittima, allontanandosi ridendo! Si noti un particolare: avvertiti, i Carabinieri si sarebbero rifiutati d’intervenire, ritenendo la faccenda uno scherzo innocuo.

E non è tutto: alla fine di luglio dello stesso 1941, sempre nei pressi di Omegna, certo C. V., un giovane che voleva chiudere il suo rapporto con la fidanzata, descritta dalla stampa come “non certo bella, ma neanche brutta”, fissò un appuntamento serale chiarificatore, al quale però si recò con un grande lenzuolo in testa: sperava, non si capisce come, che la presenza di un fantasma inducesse la ragazza a mollarlo. Comunque sia, vistolo, quella girò i tacchi fuggendo a più non posso. Epilogo consueto: il fantasma s’imbattè in quattro giovani che rientravano dall’osteria e che, vistolo ricoperto di bianco, lo malmenarono, tra le risate generali, comprese quelle di un funzionario del comune (La Gazzetta del Lago, 30 luglio 1941).

Ora, è plausibile, come abbiamo raccontato per la grande ondata degli avvistamenti di fantasmi nel vicino Canton Ticino verificatasi negli anni della Seconda Guerra Mondiale, che il buio dell’oscuramento antiaereo contribuisse a creare un clima adeguato alle burle e ad alimentare gli equivoci. Però, per conto nostro, la cosa non è sufficiente a spiegare la fioritura di tutti questi fantasmi di provincia. Si trattava di un fenomeno di massa, in cui questo soprannaturale a buon mercato era disponibile, per quel che sappiamo, senza che gli inconvenienti che causava suscitassero allarme sociale. 

L’ultima vicenda che conosciamo, prima che la situazione politica e militare precipitasse, è del gennaio del 1942, e ha una conclusione triste. Nella sua edizione del 27-28, Stampa Sera scriveva che da alcuni giorni gli abitanti di un caseggiato di Gurrone, un piccolo centro che domina la Valle Cannobina, a ovest di Cannobio, sentivano un lugubre lamento dall’origine inspiegabile. Esclusa la presenza di un ammalato grave, ormai si pensava agli spiriti, o delle altre “diavolerie”. Quando ormai la paura si era diffusa, ecco, inaspettata, la soluzione: una casalinga, salita in soffitta, in una cassa aveva sentito un corpo caldo e molle, e, insieme, “il lugubre lamento”. Forse un animale mostruoso? Era corsa a dare l’allarme. Alcuni animosi, tornati di sopra, avevano svelato il mistero: in quella cassa si era nascosta una faina, gravida, che si lamentava. Conclusione adeguata allo spirito dei tempi: “ucciso l’animale, il caseggiato poté così rientrare nella sua tranquilla operosità”. 

Ma questa normalità da fantasmi era ormai alla fine. La guerra stava per arrivare in casa, e, con quella, la fine di un mondo. Per quanto ne sappiamo, questa frequentazione assidua di spiriti e mostri, almeno sulle pagine della stampa locale, dopo quegli anni, non sarà mai più paragonabile per intensità e per toni utilizzati nel raccontarla a quella del periodo 1931-1942.

Immagine in evidenza: da Pixabay – foto di Hey-Judas

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