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Pfas nelle acque italiane: la mappa e i rischi per la salute


Le sigle sono da scioglilingua: Pfas e Pfoa. Si tratta di sostanze poli e per-fluoroalchiliche note anche come “inquinanti eterni”. Utilizzate in numerosi processi industriali e prodotti di largo consumo, si accumulano nell’ambiente e le ricerche le hanno collegati a importanti rischi per la salute. Ecco perchè l’indagine di Greenpeace che ha mappato la presenza di queste sostanze nelle acque italiane merita un approfondimento.

“I risultati riportati da Greenpeace sulle concentrazioni di Pfas nelle acque potabili italiane nei mesi di settembre e ottobre 2024 hanno dimostrato per la prima volta che queste sostanze chimiche sono molto diffuse nel territorio, anche se a concentrazioni molto variabili”, dice a Fortune Italia Carlo Foresta, endocrinologo e androlog presidente della Fondazione Foresta ETS, che da anni indaga sugli effetti degli interferenti endocrini su salute e fertilità.

Acque contaminate

Ma cosa hanno scoperto i ricercatori di Greenpeace coinvolti nel progetto ‘Acque senza Veleni’?  In estrema sintesi, in 206 campioni su 260 analizzati è stata trovata almeno una delle 58 sostanze Pfas monitorate: il 79% dei campioni di acqua potabile risulta contaminato. I dati appaiono più critici nelle Regioni del Nord Italia, con Liguria, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto in testa alla classifica, mentre la situazione migliore si registra in Abruzzo, Sicilia e Puglia.

La mappa

Per realizzare la prima mappa nazionale indipendente della contaminazione da Pfas nell’acqua potabile, Greenpeace ha raccolto 260 campioni in 235 comuni appartenenti a tutte le Regioni e Province autonome italiane. La quasi totalità dei campioni è stata prelevata presso fontane pubbliche e, una volta raccolti, questi campioni sono stati trasportati presso un laboratorio indipendente e accreditato per la quantificazione di 58 molecole appartenenti all’ampio gruppo dei Pfas.

Pfas nelle acque italiane. Courtesy Greenpeace

Per ogni provincia, i campionamenti hanno interessato tutti i comuni capoluogo e almeno un altro comune Risultato? Nei dettagli la ‘classifica’ delle contaminazioni appare guidata da Liguria (8/8), Trentino Alto Adige (4/4), Valle d’Aosta (2/2), Veneto (19/20), Emilia Romagna (18/19), Calabria (12/13), Piemonte (26/29), Sardegna (11/13), Marche (10/12) e Toscana (25/31). Le Regioni in cui si riscontrano meno campioni contaminati sono invece nell’ordine Abruzzo (3/8), l’unica regione con meno della metà dei campioni positivi alla presenza di Pfas, seguita da Sicilia (9/17) e Puglia (7/13).

Considerando il parametro di legge “Somma di Pfas”, ovvero la somma di 24 molecole il cui valore, a partire dal gennaio 2026, non dovrà superare 100 nanogrammi per litro, le città con le concentrazioni più elevate sono risultate ArezzoMilano (Via Padova) e Perugia, seguite da Arzignano (VI), Comacchio (FE), Olbia (SS), Reggio EmiliaFerraraVicenzaTortona (AL), Bussoleno (TO), PadovaMonzaSan Bonifacio (VR), Ceccano (FR) e Rapallo (GE).

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La situazione più critica è comunque quella di Milano dove anche un secondo prelievo, effettuato in Via delle Forze Armate, ha fatto registrare concentrazioni elevate, ben più alte rispetto a Perugia, e pari a 58,6 nanogrammi litro. Un terzo prelievo effettuato nel capoluogo lombardo a Villa Litta in zona Affori ha invece fatto registrare una contaminazione di 17,5 nanogrammi litro. Pur essendo un valore ben più basso rispetto agli altri due campioni prelevati in città, nella classifica nazionale quest’ultimo risulterebbe il 36esimo punto più contaminato in Italia rispetto al parametro “Somma di Pfas”.

Limiti e regole

“Il 41% dei campioni che abbiamo analizzato in Italia supera ad esempio i limiti vigenti in Danimarca sui Pfas nell’acqua, mentre il 22% supera le soglie introdotte negli Stati Uniti”, dicono da Greenpeace, ricordando che oggi la presenza dei Pfas non è regolamentata nelle acque potabili nazionali e, solo tra un anno, a inizio 2026, entrerà in vigore in Italia la direttiva europea 2020/2184 che prevede un valore limite relativamente alla presenza complessiva di 24 Pfas pari a 100 nanogrammi per litro. Inoltre il cancerogeno Pfoa è risultato il Pfas più diffuso nelle acque potabili della penisola.

“Il dibattito sulle concentrazioni di queste sostanze che possono ritenersi sicure per la salute è ancora molto acceso – ricorda il professor Foresta insieme al professor Andrea Di Niso dell’Università di Padova – basti pensare che in Europa le concentrazioni accettate come sicure sono ritenute essere inferiori a 500 nanogrammi/litro per la somma di tutti i Pfas, mentre altri Paesi come in Danimarca e negli Stati Uniti sono stati adottati limiti molto più drastici per avvicinarsi idealmente al limite zero”.

Cosa sappiamo sui rischi

“Le ricerche scientifiche relative alle conseguenze di queste sostanze sulla salute hanno dimostrato che soggetti particolarmente esposti ai Pfas, come nel caso dell’area rossa del Veneto, manifestano patologie associate a questi inquinanti molto più frequenti rispetto alla popolazione non inquinata”, sottolineano gli scienziati.

Ma di che malattie parliamo? “Ad esempio i tumori del rene e del testicolo, infertilità, poliabortività, osteoporosi, rischio cardiovascolare, alterazioni neuronali, ecc. Tuttavia, la letteratura scientifica internazionale ha dimostrato come già bassi livelli di Pfas, rilevabili in popolazioni residenti anche in zone non inquinate, siano sufficienti a indurre le manifestazioni cliniche sopracitate. È verosimile pertanto che non si possa ad oggi dare una valutazione ben definita dell’entità dell’esposizione ai Pfas e del relativo rischio per la salute. Sicuramente le indicazioni normative dovrebbero mirare ad azzerare l’uso di queste sostanze, anche se ad oggi l’ampia diffusione nei più disparati prodotti di uso quotidiano e l’applicazione delle stesse in ambito industriale rende veramente difficile – concludono – il raggiungimento di questo obiettivo”.



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