La Presidente del Consiglio (Corriere online del 25 gennaio) afferma che non è stato il Governo italiano a liberare Almasri. Innanzitutto una premessa necessaria. Uno Stato è sovrano nel decidere se aderire o meno a un accordo internazionale, accettando se del caso la giurisdizione di una corte internazionale. Tuttavia, una volta presa (liberamente) la decisione, lo Stato assume l’obbligo di rispettare (in buona fede) i patti sottoscritti: pacta sunt servanda, recita l’antica massima, coniata proprio a casa nostra e poi diventata uno dei princìpi fondamentali del diritto internazionale. E lo Stato resta giuridicamente obbligato a rispettare i patti fintantoché non decida eventualmente di ritirarsi, sempre che l’accordo in questione lo consenta.
Occupiamoci ora della grave e sconcertante vicenda di Almasri, accusato di crimini contro l’umanità e crimini di guerra (non di furto con destrezza …). Negli ultimi giorni diverse ricostruzioni (fra cui Giovanni Bianconi sul Corriere e Marina Castellaneta su Il Manifesto) hanno chiarito la dinamica degli eventi, per quanto possibile. Ridotta all’essenziale, il 18 gennaio la Corte penale internazionale (la Camera predibattimentale della Corte, non il Procuratore) spiccava un mandato di cattura (il giorno dopo essere stata informata della presenza dell’accusato in Europa), con contestuale informativa all’Ambasciata italiana in Olanda. Almasri veniva arrestato a Torino l’indomani, emergeva poi una irregolarità procedurale ma sanabile, la Procura generale presso la Corte d’appello di Roma interpellava infatti il Ministro della Giustizia che invece di attivarsi per chiedere di procedere, non rispondeva.
Alla Corte d’appello non restava di conseguenza altra scelta che scarcerarlo. Almasri veniva quindi espulso e (letteralmente) riaccompagnato in Libia (insieme alle sue guardie del corpo armate) da un aereo di Stato. Il Ministro dell’Interno, come la Presidente del Consiglio, ha affermato la necessità di espellere un soggetto pericoloso, mentre il Ministro degli Esteri ha dichiarato che “(s)iamo un Paese sovrano e facciamo la nostra politica. (…) non è che chi governa all’Aja è la bocca della verità, si possono avere anche visioni diverse” (RaiNews.it).
Quali valutazioni vanno fatte? L’arresto di Almasri non è stato “consigliato” alle autorità italiane, è stato invece richiesto con un mandato di cattura inserito nella rete Interpol da parte di una Corte, quella penale internazionale, con cui l’Italia è obbligata a cooperare in virtù dello Statuto (adottato – amara ironia della sorte – proprio a Roma).
Decidendo di riaccompagnare Almasri in Libia, anziché fare tutto il necessario per consegnarlo all’Aia, e per di più senza nessuna consultazione con la Corte (in violazione dello Statuto), l’Italia non ha rispettato gli impegni assunti con la ratifica dello stesso. Le autorità italiane non avevano alcun margine di discrezionalità riguardo al se sanare o meno una (supposta) irritualità perfettamente sanabile o se espellerlo anziché consegnarlo all’Aia. Almasri non andava espulso, andava senz’altro consegnato alla Corte penale internazionale perché così funziona la cooperazione giudiziaria quando viene spiccato un mandato di cattura internazionale, in un caso in cui non sussisteva alcun motivo giuridico ostativo insuperabile. E poiché vi è un chiaro obbligo di cooperare con la Corte, lo Stato non ha alcuna libertà di fare come gli pare. Se desidera fare come gli pare la strada è quella di ritirarsi dall’accordo internazionale, come sottolineato anche da Ferruccio de Bortoli.
Altrimenti lo Stato “disinvolto”, che antepone i propri particolari interessi agli obblighi derivanti un sistema giudiziario internazionale a cui ha volontariamente scelto di aderire, finisce col violare gli impegni sottoscritti, situazione di cui il nostro Governo sembra sottovalutare le gravi conseguenze: scredita il nostro Paese nel campo della giustizia penale internazionale (e non solo), non fa onore allo Stato che ospitò la conferenza che portò all’adozione dello Statuto della Corte e infine, se non soprattutto, assesta un duro colpo all’effettività di quest’ultima in un momento storico in cui indebolirla con decisioni del genere è assai poco opportuno e saggio. Andrebbe peraltro menzionato anche lo smarrimento delle vittime dei gravissimi crimini di cui Almasri è accusato, ma questa è stata presumibilmente l’ultima delle preoccupazioni del Governo, ammesso e non concesso che lo sia stata.
Quando si vìola il diritto internazionale c’è sempre un prezzo da pagare, in questo caso – per cominciare – in termini di perdita di reputazione e di ferita al sistema della giustizia penale: il conto non arriva subito, non sarà la Corte penale internazionale a farcelo pagare, che non ha mezzi coercitivi e che per svolgere il proprio mandato conta sugli Stati (perlomeno su quelli fedeli agli impegni liberamente sottoscritti …), ma il conto (che si ripercuote anche sulla collettività, perché alla fine ci perdiamo tutti) prima o poi arriva.
Antonio Bultrini, professore associato di diritto internazionale nell’Università di Firenze
28 gennaio 2025
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