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Fermo e provincia in emergenza abitativa? Risponde Santarelli (PD)


Intervista a Mattia Santarelli, membro della segreteria regionale del Partito Democratico

Qual è la situazione delle Marche e del Fermano in tema abitativo. Siamo di fronte ad un “emergenza”?

Se intendiamo che la “situazione casa” è critica e i costi ci schiacciano, certamente si. Gli studenti fanno fatica a pagare -e le loro famiglie con essi- un alloggio e studiare, i giovani non riescono ad accedere a un mutuo, le famiglie (a fermo oltre 200 quelle in grave difficoltà abitativa) spendono più della metà dei loro stipendi per spese legate alla casa (tasse, bollette). Ma bisogna compiere uno sforzo di onestà intellettuale. Il problema abitativo non è affatto soltanto economico, e la politica se lo ricorda raramente.

Per fare il tavolo ci vuole il legno, diceva la canzone, ma per fare una casa non bastano quattro mura. Il problema è più ampio, e la realtà sta aldilà dei dati. Prendiamo ad esempio gli anziani che -sebbene vivano di meno la precarietà abitativa di tipo economico- devono fare i conti con il mostro della solitudine. La casa è un problema di tutti noi, fermani, marchigiani, italiani. Non soltanto di chi è “povero” e in “estrema difficoltà”. Anche chi “sta meglio” può forse dire di star davvero bene oggi?

La nostra città non sembrerebbe avere le stesse dinamiche di centri più grandi, questo ci favorisce?

No. Fermo e le Marche soffrono il problema abitativo come -e forse più di- ogni altro luogo in Italia. La ragione credo stia in primis nella naturale conformazione morfologica del nostro territorio. “Un’ora per andare dai monti al mare”: è la nostra unicità, ma ciò significa anche unire, in pochi chilometri quadrati, il problema del terremoto e dello spopolamento delle aree interne con quello dei prezzi impazziti per la turistificazione del litorale.

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E poi il problema generale del costo alloggi universitari, che Fermo vive con i fuorisede “in entrata” certamente, ma soprattutto -molti di più- in uscita. Ma non basta. Il degrado urbano, che è anche un tema sociale enorme per alcuni quartieri di Fermo, non è forse parte della stessa emergenza abitativa? Anche qui, se pensiamo che il problema abitativo sia soltanto quello dello studente o della persona che aspetta l’alloggio popolare, accettiamo di essere ciechi davanti a un problema molto più grande.

Pochi giorni fa l’ex sindaco di Fermo Saturnino Di Ruscio ha elogiato il lavoro dell’ERAP in tema di investimenti sull’abitare. Cosa ne pensa?

L’ERAP è un ente solido e fondamentale per il nostro tessuto sociale, senza il quale migliaia di persone e famiglie sarebbero in difficoltà. In questo senso, continuare a investire e lavorare per assegnare il prima possibile le case a chi ne ha diritto credo sia imprescindibile. L’ERAP esiste per fare questo, altrimenti non ha senso.

Credo piuttosto che sia il momento, date anche le vicine regionali, per provare a immaginarci qualcosa di più. Siamo in emergenza abitativa. Serve una riforma del sistema in modo da renderlo pronto a migliorare la situazione, non solo a “metterci una pezza”.

Quali potrebbero essere le soluzioni alternative a quelle già proposte?

Tutto dipende da come vogliamo far funzionare lo strumento delle case popolari. Di Ruscio dice che l’ERAP funziona bene da ammortizzatore sociale perché, nonostante diverse morosità, non ha proceduto allo sfratto. Usando una metafora, direi che oggi ERAP esiste per “mettere una pezza” a condizioni di marginalità, ma finisce per essere un “parcheggio sociale”, che spera prima o poi divendere quella casa all’inquilino e non pensarci più. Si entra “poveri”, e di fatto si rimane così. Non voglio ovviamente sminuire l’importanza di “non sfrattare” e di “aspettare chi non ce la fa”, tutt’altro. Però il modello “case popolari” attuale finisce per non giovare concretamente a nessuno. Di certo non al tessuto sociale, né tantomeno a quello produttivo.

Proviamo ad immaginarne uno diverso. Non un “parcheggio” di fragilità sociale, ma un “ponte” verso la piena stabilità. Non un modello che assegna case con il fine di liberarsene -delle case e degli inquilini-, ma uno che assegna solo temporaneamente un alloggio, associandovi accesso diretto a servizi per l’impiego, agevolazioni per lo studio, sostegno psicologico, e servizi integrati per la persona, con l’obiettivo di accompagnarla verso la serenità, facendola uscire dall’isolamento e dall’incertezza che derivano dalla marginalità. Un ponte, su cui camminare temporaneamente per attraversare la difficoltà e lasciarsela alle spalle, non un parcheggio tristemente esclusivo.

Cosa significa oggi “diritto alla casa”, e perché è importante parlarne?

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Significa diritto a vivere, e non soltanto a sopravvivere. Con il Covid ci siamo resi conto che una casa può essere tante cose, da ufficio, a ristorante, a banco di scuola. Ma può anche finire per diventare anche una gabbia. Garantire un contesto abitativo sereno significa dare ad una persona la possibilità di crescere, realizzarsi, lavorare, avere una famiglia, avere una vita sociale, essere felice. Senza una casa, e senza una casa dignitosa, non esistiamo, non esiste un presente, e non esiste un futuro.



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