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Il mio nido di Roccaraso invaso dai fan di TikTok


A noi che abitiamo sulle terre alte non piace mostrarci al mondo, ci teniamo le nostre bellezze segrete e nascoste, e se qualcuno arriva da fuori, spesso per caso o perché ha già consumato i luoghi più esposti, ci piace che resti incantato. Fino all’estate scorsa me la sono sempre presa con noi abruzzesi, per questa ritrosia. Mi sembrava ingiusto che fuori di qua tanti non sapessero, non vedessero una volta nella vita l’altopiano spaesato di Campo Imperatore, il prezioso ciclo di affreschi medioevali nell’Oratorio di San Pellegrino a Bominaco.

Possibile, mi chiedevo, che non riusciamo a credere in un turismo sostenibile, verde e lento? Me la prendevo con il nostro atavico sottrarci, quel ripiegarci su noi stessi che è incapacità a commerciare con l’esterno impastata con la protezione di ciò che da sempre ci appartiene e definisce in quanto comunità. Mi affannavo a spiegare, trovandomi all’estero per lavoro, dov’è l’Abruzzo, questo sconosciuto: all’altezza di Roma, ma sull’altro mare, l’Adriatico.

Qualcuno qui mi diceva: guarda che è meglio così, ma io: no, siamo troppo chiusi, non va bene. E citavo l’episodio dei miei amici torinesi che dopo aver visitato l’Oratorio, appunto, erano inciampati in un piccolo ristorante con una insegna mezza scolorita. Soli nella sala riscaldata dal camino, avevano mangiato formaggi e salumi della casa, sagne e ceci, quelli piccoli e saporiti del campo lì vicino. Al momento del caffè avevano chiesto al gestore perché non si facesse un po’ di pubblicità. E lui, spaventato: siete matti, dopo arrivano con i pullman.

E i pullman sono arrivati, ce li ha mandati TikTok. Domenica scorsa hanno scaricato oltre diecimila persone in più sulla neve a Roccaraso. Però prima, ricordiamocela ogni tanto, era stata la pandemia a farci scoprire. Quando gli assembramenti erano vietati e comunque mettevano paura, l’Abruzzo interno era diventato una meta possibile, nel suo isolamento.

Poi, certo, il passaparola corre sui social ed è inquietante che riesca a orientare i flussi turistici con tanta facilità. L’estate scorsa a Campo Imperatore si sono autoconvocati i motociclisti e hanno bivaccato nella prateria, con la musica al massimo, come fosse un luna park. In un’area protetta, unica e delicata nel suo equilibrio, abitata da uccelli e piante rare. È stato allora che mi sono allarmata e ho cambiato idea. Ho dato un po’ ragione a chi mi diceva, quando in pochi venivano a camminare sull’altopiano: è meglio così.

Che turismo è quello dei motoraduni o delle gite in pullman di un solo giorno? Di certo non porta ricchezza al territorio, ma distruzione sì. Domenica a Roccaraso erano muniti anche di mappatella, compresa nei trenta euro del pacchetto venduto dalle agenzie. In molti non hanno comprato neanche un panino. Hanno lasciato soltanto distese di rifiuti, gas di scarico nell’aria, immenso calpestio. Hanno defecato sotto il cielo. Roccaraso non era preparata per l’overtourism. Nessun posto lo è davvero.

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Ma adesso sappiamo che è possibile anche qui, dove ci credevamo immuni. E dove comunque si è costruito e cementificato, dove si sono allungate e moltiplicate piste da sci che forse questo ambiente meraviglioso e fragile non poteva sostenere. Con orgoglio si elencano i numeri: 130 chilometri di piste, 32 impianti di risalita, che si avvicinano ai grandi comprensori del nord. E più piste fai, più costruisci, perché certo devono sciare ma anche dormire, mangiare, spendere. E pazienza se i parcheggi sono insufficienti, se s’intasa la statale 17.

Noi siamo tutte queste contraddizioni messe insieme: di qua il ristoratore che non si fa scovare, di là una montagna che scimmiotta Sestriere. E questa piena di turismo dalla Campania che ora si vuole imputare solo all’irresponsabilità di una tiktoker è stata negli anni largamente incentivata dai finanziamenti regionali ai ritiri pre-campionato del Napoli calcio a Castel di Sangro, per esempio. Non siamo così puri, accanto a investimenti di qualità nel comparto turistico, altri sono finalizzati solo al profitto, senza tanti riguardi. La realtà è sempre più complessa di come ce la vogliamo raccontare.

Non vorrei essere disfattista. Vorrei credere in una crescita virtuosa, che preservi le nostre montagne. Ma non so se siamo capaci di trovare quel sottile equilibrio tra sviluppo e difesa della natura. È una strada stretta. Non mi arriva una visione o un progetto ampio per il futuro di questa terra. Se c’è crescita, come certificano i recenti dati sul PIL, risulta spesso disordinata.

E non vedo abbastanza prevenzione, né vigilanza. D’estate ho paura degli incendi, le tracce nere di quelli passati ancora sfregiano il paesaggio. I carabinieri forestali sono pochi per l’estensione del territorio, i Vigili del Fuoco anche.

Adesso, un po’ scioccati, abbiamo un’occasione per intervenire sugli accessi. I sindaci, da sempre i più vicini alle fragilità dei luoghi, cominciano a muoversi in questa direzione. È un po’ triste pensare che la libertà di andare in montagna debba essere limitata. Ma abbiamo dato prova di non saperla usare bene, la libertà.



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