I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 31 gennaio 2025.
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 31 gennaio 2025.
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LUCA ZAIA
Che fosse bravo lo si sapeva, ma che fosse anche capace di allamare la sua solidissima base di consenso questo ci era un po’ sfuggito. E non perché sia una novità, ma perché la bravura di Luca Zaia è sempre stata un’altra.
Quella di far capire che lui al suo posto ci sta esattamente perché è la persona più qualificata a starci, non perché sia la persona che per starci e rimanerci urla di più.
Il format del governismo è molto più difficile di quanto non si creda a livello epidermico, e quello della Lega salviniana è un format anche più difficile. Lo è perché il presupposto forzoso resta sempre quello: si sta al comando perché saldo al comando ci sta il Capitano. Con Zaia e con il Veneto non è più così da tempo, e adesso che le elezioni Regionali sono in calendario stretto la discrasia è ancora più evidente.
I due Luca, tutti ottimali
Tanto evidente che Zaia ha detto la sua sugli elementi ostativi al suo terzo mandato da governatore. Una cosa che in realtà a Salvini fa comodo, perché gli toglie un antagonista inside proprio nel momento in cui il suo agonismo è ridotto al lumicino.
Ma Zaia è due cose: o uno che sa guardare lontano oppure uno che veramente ci tiene, a governare i suoi corregionali. Ed in entrambi i casi ne esce con un magnetismo rafforzato. “Il blocco al terzo mandato è un’anomalia tutta nostra e che riguarda un centinaio di sindaci e alcuni governatori, compreso il sottoscritto. La motivazione è: così si evita che si creino dei centri di potere”.
Poi il discrimine benaltrista, calato secco a mo’ di mannaia. “Cosa che però non vale per esempio per deputati, senatori e ministri e tanti altri incarichi istituzionali. Trovo assurdo e inaccettabile che si utilizzi questa motivazione dei centri di potere, ma ancora peggio che tali osservazioni arrivino da gente che è 30 anni che sta in Parlamento”.
Chi è felice per la candidatura
E ancora, quel focus di franchezza che a Zaia non dà mai l’orpello del cesarismo di risulta, quanto piuttosto del funzionalismo a cui i primi a credere sono i suoi, i veneti. “La mia non candidatura farà felice un sacco di persone, ma i cittadini veneti si sono già espressi in maniera inequivocabile”.
E a chiosa: “I veneti devono essere gli attori protagonisti della prossima legislatura, è impensabile che arrivi qui uno e dica ‘sono io il candidato’. Ho sempre avuto un approccio da amministratore delegato e per prima cosa vengono il Veneto e i veneti, poi la Lega che è il mio partito e io sono sempre stato un uomo di squadra”.
Come a dire Salvini stai sereno, almeno per adesso. E con precedenti illustri in altra bottega.
Proconsole pop.
LUIGI LI GOTTI
Uscire dalla logica della polarizzazione a tutti i costi e provare a rimettere le analisi politiche su un binario di merito implica sul caso di specie un preambolo. Necessario. Quello per cui c’è un’Italia senziente che non sta né con la “povera” Giorgia Meloni fatta oggetto di un’offensiva ripiccosa e bieca di certi tipi di toghe né con gli altri. Cioè con quelli che, avendo trovato un varco (bello grosso, a dire il vero) nell’azione politica di questo Governo, ci si buttano “a cofanella”, tanto per far schizzare robaccia addosso a Meloni medesima.
Da questo punto di vista quindi la figura dell’avvocato Luigi Li Gotti è blindata. Ieri a Coffee Break su La7 lo ha detto a chiare lettere: “Perché il mio Paese deve essere così barbaro? Noi non siamo così”. Lo è perché anche al netto di un suo eventuale “animus necandi” (in senso politico, s’intende) quel che lui ha deciso e fatto sul caso Almasri è cristallino. E non corrisponde quasi in nulla a come ce l’ha “cantata” la premier sui social.
Una premier che ha i suoi obblighi di consenso, ma che non dovrebbe esagerare nell’attuarli e soprattutto senza quel “dilettantismo” messo all’indice perfino da Ettore Rosato, che sulla faccenda ed assieme a Carlo Calenda non ha chiesto teste spiccate dal busto.
Cosa non torna nel video
Partiamo dal merito, innanzitutto: Meloni ha parlato di “avviso di garanzia” rivolgendosi al “suo popolo” e coscientemente ha giocato sull’equivoco. Lei ha evocato un atto di craxiana memoria, il 366 ex Cpp per capirci, ma Li Gotti l’ha smentita.
“Non è un avviso di garanzia. Io ho presentato una denuncia nominativa, come cittadino, in cui ipotizzavo due fattispecie di reato, era scontato per legge che la Procura facesse l’iscrizione nella notizia di reato”.
E ancora: “Io non so se è stata emessa anche un’informazione di garanzia, credo che sia stata fatta un’iscrizione a seguito di una denuncia nominativa presentata e per forza ci deve essere un’iscrizione“. Quello in pratica era con altissima probabilità (ah, far vedere bene senza sventolare!) un atto solo formale. Atto che il “fallimentare” Procuratore Lo Voi (che è di Magistratura Indipendente, corrente togata di destra) non poteva né doveva neanche leggere, ma solo trasmettere al Tribunale dei Ministri per un eventuale merito ed alla parte in causa.
“Forse ci sono reati”
Li Gotti, indicato come difensore di mafiosi (come se il principio delle garanzie a tutti fosse carta straccia) ed ignorato come parte civile nel processo per l’omicidio di Calabresi, ha spiegato una cosa. Che “a me non interessa se sto favorendo o meno la Meloni”.
La sua è un’opinione schietta: “So che probabilmente sono stati commessi dei reati, che un boia è stato restituito alla Libia, per continuare a fare ciò che ha fatto sinora, e grazie al governo italiano, non alla magistratura. Il Governo sapeva, tanto è vero che il decreto di espulsione è stato fatto sulla base della conoscenza degli atti della Corte Penale Internazionale“.
Attenzione al particolare: Li Gotti è particolarmente ferrato sul tema perché, da parlamentare, lui fu il relatore del Ddl sfociato nella Legge 237/2012. Cioè esattamente la legge sull’adeguamento allo Statuto della Corte penale internazionale. In pratica con essa il nostro ordinamento deve parametrarsi alle previsioni dello Statuto della Corte penale internazionale.
Mostri e taxi per altre mostruosità
Poi l’avvocato ha enunciato il dato crudo ed inoppugnabile: Almasri è un mostro. “Noi siamo un Paese civile, non possiamo convivere con la barbarie, non è accettabile, per dignità”. Quindi “per me era insopportabile che venissero dette una serie di menzogne, che un boia venisse restituito alla Libia con un aereo di Stato per continuare a fare quel che faceva: torture, violenze sessuali, omicidi”.
Forse il vero nocciolo della questione è proprio questo: si può restituire un mostro alle sue mostruosità ed incazzarsi pure se quell’atto innesca le carte bollate di un cittadino?
Tanto per chiarire.
SABRINA PULVIRENTI
È ancora al suo posto. E sta ancora lavorando presentandosi in ufficio tutte le mattine, girando reparti ed ospedali fino a sera. Sabrina Pulvirenti non ha le valigie pronte sul letto. Ha invece sul comodino due pezzi di carta: uno dice che ha centrato una lunga serie di obiettivi sanitari che le erano stati affidati nel momento in cui il Governatore del Lazio Francesco Rocca l’ha nominata Commissario della Asl di Frosinone. L’altro dice che un terzo dei sindaci della provincia di Frosinone è soddisfatto del suo operato.
Sulla base di quei due fogli sarà complesso dirle che deve andare via da Frosinone perché non è stata all’altezza del compito. Soprattutto dopo l’esperienza vissuta con la manager Isabella Mastrobuono messa alla porta con troppa fretta dalla Regione e per questo risarcita in maniera sostanziosamente adeguata.
La parte politica che più scalpitava per un avvicendamento, i Fratelli d’Italia, ha ricevuto nei giorni scorsi la sua soddisfazione. Il suo alfiere Mauro Palmieri di Torrice ha ricevuto i galloni da Direttore Generale: ma in Abruzzo, nell’ambito di un’operazione tutta interna a FdI. Continuare a reclamare anche la casella di Frosinone rischia di determinare uno squilibrio.
Il che dovrebbe far ritenere chiusa la vicenda. Ma non è così. Non ancora. le prossime ventiquattrore saranno determinanti. E più ancora sarà determinante il Risiko delle ultime quattro nomine rimaste da fare. Sulle quali Francesco Rocca ha le idee chiare. Sarà lui a decidere, in autonomia e sulla base dei risultati sanitari: non di quelli politici. Che sia immune agli effetti delle giacche tirate da un lato o dall’altro l’ha dimostrato nella trattativa per il rimpasto nella Giunta regionale.
L’unico a sapere dall’inizio come sarebbe andata a finire era lui: l’uomo che prima di entrare in Regione Lazio discuteva con tagliagole ed assassini di mezzo mondo per spostare i tiri dell’artiglieria e consentirgli di piazzare tende ed ospedali per assistere i profughi. Difficile si lasci condizionare da un mal di pancia politico. La tattica è attendere. È quello che sta facendo Sabrina Pulvirenti. Oltretutto andando ogni mattina nel suo ufficio a lavorare.
FLOP
GLI AVENTINIANI
Se lo scopo era quello di evocare, in semplice format emotivo, quanto accadde a giugno del 1924 e dopo l’uccisione di Giacomo Matteotti, le opposizioni del governo Meloni decisamente non ci hanno preso. E non solo per l’improponibilità di ogni tipo di equiparazione (elemento ovviamente colto al di là di ogni iperbole) ma per un fatto tecnico e morale. Quello per cui l’astensione dai lavori parlamentari in una monarchia è un problema, in una democrazia parlamentare è una macchietta.
Macchietta che però può fare danni gravissimi alla stessa e mettere i fautori dell’iniziativa nella condizione di chi, per difendere l’Istituto, lo azzoppa. Il dato è che fino al 4 febbraio le Camere sono in stand by. Lo hanno proclamato gli esponenti parlamentari di Pd, M5S, Avs e Italia Viva.
“Venga a riferire”
La loro richiesta, pena “l’Aventino”, è che Giorgia Meloni venga a riferire sul caso Almasri. Su quello e sulle conseguenze giudiziarie e politiche hanno investito la premier, i ministri Nordio e Piantedosi ed il Sottosegretario con delega sulle “barbe finte” Mantovano. Calma e gesso e ragioniamo: nel nome della democrazia e della sua specifica “nuce” parlamentare le opposizioni guidate da Schlein, Conte, Bonelli, Fratoianni e Renzi chiedono che sia proprio il Parlamento il luogo della chiarezza.
Ci sta ed il segnale è buono, nel senso che così si è voluta dare una patente “politica” e meno giurisprudenziale alla vicenda delle informazioni di garanzia girate dal Procuratore Lo Voi al Tribunale dei Ministri. Seconda chiave di lettura, importantissima: le opposizioni sostengono che non vi è alcuna offensiva della magistratura (o non tale da impedire alla premier di venire a riferire, secondo Renzi) contro il Governo.
Tutto fermo fino al 4 febbraio
E che in sostanza i detentori del potere giudiziario vanno rispettati, così come, per esteso, va rispettata la loro mission. Che è rigorosamente procedurale. Bene, in procedura però, ed anche al netto della situazione particolare degli indagati che sono (non ancora, e non lo saranno mai) sub iudice del TbM, lo stato dell’arte di un’indagine “viva” non può essere fatto oggetto di discussione perché questo, nella logica delle domande-risposte, coinciderebbe con una divulgazione.
Ad essere precisi divulgazione di segreti d’ufficio che tali resterebbero, in Procedura. Questo ed in punto di Diritto almeno fino al 416 Cpp, all’eventuale rinvio a giudizio dietro stanza del requirente cioè.
Quando il requirente esercita di fatto l’azione penale.
Sacralità “yo-yo”
Che significa? Che non si può invocare la sacralità dell’azione delle toghe da un lato ed invocare che essa venga violata dall’altro, per il solo scopo di mettere Giorgia Meloni davanti ad un mezzo plotone di esecuzione politico. Meloni, dal canto suo, dovrebbe rivedere linguaggio e format, visto che a questo punto mettere il Segreto di Stato avrebbe sanato tutta la faccenda.
Ad ogni modo ed al di là del merito, non si possono bloccare i lavori parlamentari proprio quando si invoca la sacralità del Parlamento. Non lo si può fare perché è sbagliato e contraddittorio, oltre che paralizzante per quello che è il vero motore di una democrazia come la nostra.
Specie quando affiorano più forti i palpiti di un sovranismo debordante a cui non serve certo l’upgrade d una questione di tigna.
Salta l’elezione per la Consulta
Perché così è un ossimoro in letteratura ed una contraddizione in lessico spicciolo. Soprattutto se si tiene conto del fatto che, ad esempio e grazie agli “aventiniani” è già saltata la cruciale riunione del Parlamento in seduta comune per l’elezione dei giudici costituzionali. Cioè una cosa sui cui fino a 6 giorni fa le urla indignate erano udibili fino in Moldavia, da quanto erano alte. Cosa che con quella Giustizia amministrata su cui oggi tutti duellano ha molto a che vedere.
Il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani l’ha messa più “papale” di tutti: “Rimandiamo di qualche giorno, poi deciderà il governo chi interverrà e quando. Al momento, Nordio e Piantedosi ‘non vengono a riferire sul caso Almasri’ perché sono stati raggiunti da questa informazione di garanzia, e stanno valutando se sia opportuno. Questo vale a maggior ragione per la presidente del Consiglio”.
Anche se “tattiche” ed ammantate di logorio, queste scelte sono coperte da una rotta giurisprudenziale blindata, e le opposizioni dovrebbero saperlo, che in politica c’è l’argine delle regole. Che vale per tutti.
Non serviva proprio.
MATTEO SALVINI
A poco più di due mesi dall’entrata di vigore della riforma che ha voluto proviamo a fare il punto, questo dopo un periodo notoriamente convulso per gli spostamenti su ruota. Il sempreverde ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini da tempo difende a spada tratta la sua riforma del Codice della strada e lo fa alla salviniana maniera. Non senza qualche scarrocciata di forma, come il suo “vergogna” sul caso Meloni-Almasri.
Come fa Salvini? Minimizzando gli aspetti sdruccioli della stessa. E spiegando che non sono poi così tante le multe su cui è intervenuto di upgrade. Non è vero e Pagella Politica lo aveva già “messo in guardia” dall’andare di spot.
Solo due tipologie?
Ma lui, il Capitano, non ha desistito, ed ha ribadito con l’arrivo del 2025 che sono aumentate solo le multe “per chi ruba un posto ai disabili” e “per chi parcheggia a un incrocio”. Ecco, semplicemente non è vero e sono molte di più le sanzioni aumentate. Salvini cita solo la multa “da 80 euro chi parcheggia senza permesso il motorino o la moto nei posti riservati alle persone invalide”.
Poi quella “da 165 euro chi parcheggia un’auto”. Ecco, dopo la riforma queste due sanzioni passano a 165 euro e a 330 euro. Per la sosta vicino a un incrocio le multe salgono “da 25 a 87 euro e da 42 a 165 euro”. Così come per situazioni analoghe “sulle corsie dei mezzi pubblici, in galleria, sui dossi o in una posizione che copre i semafori e i cartelli stradali”.
Perché il ministro non la dice tutta
Ma il problema è quantitativo non solo sugli importi, bensì anche sulle tipologie. Sono multati “di più” anche coloro che usano il cellulare alla guida: da 165 a 250 euro. E poi l’eccesso di velocità.
“Chi supera i limiti di velocità con un eccesso tra i 10 e i 40 chilometri orari è già punito con una multa da 173 euro. Ma con il nuovo Codice della strada, se questa violazione è commessa all’interno di un centro abitato, e per almeno due volte in un anno, la multa sale a 220 euro e si rischia di perdere la patente per almeno 15 giorni”.
Quindi ed al di là del merito (che resta abbastanza discutibile per questo format draconiano e per il caso della patente ritirata per chi risultasse positivo a droghe ma non al momento) Salvini ha fatto come sempre Salvini. Cioè ha detto una mezza baggianata e poi ha provato a negarla. Stemperandola.
Parla sempre a metà, la sua.
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