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Grande è il disorientamento sotto il cielo


Da un po’ di tempo, quando si parla di politica, provo strane sensazioni; un disagio esistenziale profondo, la sensazione di essere fuori posto.

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L’elezione del Presidente degli Stati Uniti è evidentemente un fatto molto importante e chiunque sia interessato agli scenario geopolitici e geoeconomici deve fare necessariamente grande attenzione alla politica americana. Ma da qualche anno a questa parte questo evento è diventato in Italia una questione nazionale molto più popolare di quanto non lo fosse in passato. Questo perché la politica nazionale non smuove più grandi interessi: solo chiacchiere vuote che assomigliano più al pettegolezzo, che non a una capacità di analisi seria.

Tutto ciò ha una storia nota: da molto tempo il nostro Paese ha delegato ogni visione politica di breve o di lungo respiro, e perfino ogni decisione sulla gestione del quotidiano dei suoi cittadini, a un’istituzione falsamente democratica come l’Unione Europea, n ente pensato e realizzato in funzione di interessi transatlantici come strumento di disciplinamento politico e sociale.

Chi decide, nei fatti, è un blocco di potere angloamericano che ha come capofila il governo degli Stati Uniti d’America e le oligarchie a esso collegate. La politica italiana come quella di tutti i paesi dell’Unione, a prescindere dagli schieramenti, opera entro spazi di decisione assai ridotti, sul piano interno ma ancora di più sul piano esterno.

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Dalla politica industriale a quella sanitaria, passando per la politica estera e quella energetica: tutte le macro-decisioni e gli indirizzi strategici che più ci dovrebbero riguardare sono prese altrove: è il primato del vincolo esterno euro-atlantista con da una parte la tecnocrazia europea, dall’altra il mix di neoprog e neocon con a capo Biden a cui è seguito il nuovo corso repubblicano, alla cui corte già c’è una fila folta di voltagabbana con la lingua a penzoloni.

Questo mio disagio purtroppo non si esaurisce nella consapevolezza di vivere in una colonia, ma si acuisce prosegue con una sensazione di azzeramento di un patrimonio di esperienze e riferimenti, tale da rendere molto difficoltoso ricavare una mappa attraverso cui decifrare e valutare i cambiamenti con cui ripetutamente ci confrontiamo. In altre parole, oltra a una condizione di cittadino deprivato della speranza di poter incidere sui processi politici, mi confronto con la perdita di quegli orientamenti che hanno guidato il mio giudizio fino a ieri. Mi trovo quindi spiazzato, spesso incapace non solo di esprimere una valutazione, ma anche solo di capire cosa stia accadendo.

Accade così questo. Da una parte c’è in me quasi un moto spontaneo di simpatia per la parte politica ora vincente in America, perché era divenuto insopportabile il sistema di potere guerrafondaio neodem per come esso si è andato consolidando negli ultimi anni tra Europa e Usa, asservito com’era agli interessi neoliberisti e in quanto promotore delle peggiori politiche regressive sul piano sociale, democratico e dei rapporti internazionali, a suon di emergenzialismo e manicheismo. Dall’altra ci sono sospetto e diffidenza per il nuovo corso trumpiano e continuo a sentire fortemente estraneo l’immaginario e i modelli sociali e culturali che ieri come oggi dominano il sistema statunitense, centrato su denaro, competizione sfrenata e bullismo nelle relazioni internazionali. Inoltre, Trump sul piano interno non può essere certamente considerato paladino dei diritti dei lavoratori e fautore di una decisa svolta keynesiana pro Welfare: tutt’altro.

Insomma, ho strane sensazioni e grandi difficoltà a orientarmi e a trarre conclusioni definitive. Soprattutto prevale in me una sensazione di impotenza collettiva e individuale, trovandomi a vivere in una zona del mondo sempre più periferica e ininfluente.

Rivendicare la necessità di nuovi parametri attraverso cui guardare la politica, sentirsi ai margini e in assenza di visioni di grande respiro; in tutto questo provare sentimenti ambivalenti rispetto a esperienze lontane e dai contorni difficili da delimitare, che alimentano inquietudine, ma anche qualche minima aspettativa positiva; ritrovarmi cioè a parlare di Trump come se fosse quasi il mio Presidente con il mix di sensazioni contrastanti di cui scrivevo: tutto ciò mi stordisce e mi disorienta.

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