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SINDACATI/ Quella ricerca di tutele per i lavoratori che non guarda al passato


I sindacati hanno un’organizzazione basata sulla categoria produttiva del settore dove sono occupati i lavoratori che rappresentano. È il sindacato di categoria che contratta e firma il contratto nazionale che regola salario, diritti e tutele per i lavoratori delle imprese rappresentate dall’organizzazione che sottoscrive il contratto e anche per le imprese che, senza essere associate, decidono di fare riferimento al contratto di categoria per i propri dipendenti. Così abbiamo il sindacato dei metalmeccanici, quello dei chimici, degli insegnanti o del commercio e così via. I contratti delle categorie più importanti fanno da riferimento per gli altri. Questa struttura delle rappresentanze sindacali è comune ai sindacati più rappresentativi, Cgil Cisl e Uil, al di là delle differenze di impostazione culturale e sindacale.



Però oggi il rifarsi a una categoria di lavoratori suddividendoli per settore produttivo sappiamo che non copre più la totalità del mondo del lavoro. Gli stessi sindacati di categoria, riuniti nel sindacato confederale, si interrogano sul cambiamento in atto. È mutato il senso del lavoro. È cambiato il lavoro per l’impatto delle trasformazioni tecnologiche, ma è cambiato anche il rapporto che i lavoratori hanno con il lavoro. La richiesta di forme di organizzazione del lavoro che permettano una maggiore conciliazione con i tempi di vita e con gli interessi delle persone stanno a pari delle richieste di maggiore salario nelle ragioni che inducono a cambiare posto di lavoro.



La centralità del lavoro era legata a una sua organizzazione che portava a un’identificazione collettiva. La fase attuale di rapporti più individualizzati sul luogo di lavoro e nella sua organizzazione porta a vedere come centrale la persona. È un cambiamento di prospettiva che riguarda tutti i lavoratori e le loro organizzazioni di rappresentanza. Vi sono peraltro già dei sindacati che sono organizzati a partire dai cambiamenti in atto e che danno rappresentanza alle nuove forme del lavoro.

È il caso della Felsa Cisl, Federazione lavoratori somministrati autonomi atipici, che ha pubblicato in questi giorni le tesi per il quarto Congresso nazionale. Come indica il nome della federazione, non si danno qui rappresentanza lavoratori di una categoria produttiva, ma di diverse tipologie contrattuali. Quelle che normalmente sono considerate forme di lavoro precario o di serie B. Cerchiamo di capire quanti sono questi lavoratori e come si collocano nel mercato del lavoro italiano.

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Gli occupati con contratto di lavoro subordinato sono per lo più concentrati nei servizi e nell’industria, rispettivamente per il 50,8% e per il 22,8%. Seguono gli occupati nel commercio, alberghi e ristorazione per il 18,1%. Agricoltura e costruzioni sono a fondo classifica con il 2,5% e il 5,8%. Con la crescita dell’occupazione degli ultimi mesi siamo arrivati a 24,1 milioni di lavoratori, di cui 3,2 milioni occupati nella Pubblica amministrazione.

A chi si rivolge allora un sindacato così “trasversale”? Sono poco più di 5 milioni i lavoratori autonomi e 1,5 milioni quelli parasubordinati. Entro queste due classificazioni vi sono molti lavoratori difficilmente considerabili non subordinati al di là della forma contrattuale. Ricadono qui tutte le partite Iva che hanno un solo committente o che comunque svolgono attività coordinate dalle imprese. Vi sono quelle professioni di servizio, dalle tagesmutter ai ricercatori, per cui si sono adattate forme contrattuali parasubordinate per dare tutele altrimenti lasciate a zone grigie o nere del mercato del lavoro. Rientrano in queste categorie i lavoratori delle piattaforme che gestiscono il lavoro tramite algoritmi. Sono forme innovative di organizzazione del lavoro e nuove professioni non riconducibili a forme contrattuali rigide.

Vi è poi la grande categoria dei lavoratori somministrati, che sono certamente subordinati, ma che cambiano contratto di riferimento a seconda dell’industria dove sono in missione. Ogni anno sono circa un milione di persone che hanno un contratto di lavoro in somministrazione. Statisticamente ogni mese vi sono 500 mila lavoratori in missione lavorativa con contratto di somministrazione. Di questi 150 mila sono assunti con contratto a tempo indeterminato da un’Agenzia per il lavoro e 350 mila con contratto a tempo determinato. La stragrande maggioranza (76%) sono operai e impiegati (18%). Si notano anche 3.000 dirigenti e 7.000 apprendisti, una categoria in forte crescita nell’ultimo anno.

Appare evidente dalla composizione dei lavoratori a cui fa riferimento questo sindacato che non si tratta di rappresentarli per fare avere una forma contrattuale diversa. Anzi, per la maggioranza di loro il problema della forma contrattuale non si pone e non c’è desiderio di uscire da forme contrattuali a forte autonomia. Si tratta quindi di trovare punti nuovi per costruire un sistema di tutele e servizi che promuova i lavoratori e li protegga nel loro stare sul mercato e non per il posto di lavoro.

Il salto di qualità è allora di arrivare a definire un nuovo umanesimo del lavoro capace di dare rappresentanza alla persona al lavoro riuscendo a cogliere il desiderio che anima i singoli lavoratori per sostenerli nelle transizioni che caratterizzano la loro vita lavorativa.

Il perno dell’iniziativa sindacale si muove allora intorno ai due ambiti bilaterali cui partecipano. Da un lato, il fondo per la formazione che deve assumere sempre più una funzione di sostegno per gli inserimenti lavorativi e anche per accrescere l’occupabilità delle persone. Altro fondo sempre più importante per il sistema dei lavori che qui sono rappresentati è quello che assicura servizi di welfare per dare sostegno nelle fasi di transizione lavorativa, per i servizi di sostegno alla famiglia, per la salute e la scuola.

La base dell’iniziativa sindacale è tesa allora a dare sicurezza ed equità dei trattamenti a partire dai salari e dall’accesso ai servizi di welfare di categoria.

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È una piattaforma sindacale ricca e che indica un metodo e un giudizio sul lavoro, che può essere indicativa per la crescita della coscienza che un nuovo senso del lavoro trova risposta non in ritorni al passato o forzando tutti in un unico contratto lavorativo, ma accettando le sfide dell’innovazione mantenendo la capacità di analisi per dare rappresentanza, tutele e diritti ai lavoratori di oggi e di domani.

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