“Molto rumore per nulla”: questo avranno pensato i napoletani al termine del mercato di gennaio. E c’entra veramente poco il famoso dramma shakespeariano. In ogni caso, se il titolo stesso suggerisce un’esagerazione per un evento trascurabile o peggio ancora inconsistente, usare la medesima iperbole a commento dell’arrivo di Okafor non è affatto una forzatura. Perché il Napoli, prendendolo in prestito oneroso dal Milan, versando nell’immediato 1.5 milioni nelle casse del Diavolo (e fissando anche l’eventuale diritto di riscatto a 23 milioni di euro), ha ingenerato un grosso equivoco nei suoi tifosi, nonché negli addetti ai lavori. Impensabile, infatti, che la proprietà consideri lo svizzero un profilo in grado di rinforzare la capolista, nell’ottica di competere fino alla fine per lo scudetto.
Sicuramente, invece, l’attaccante è destinato a coprire dal punto di vista numerico uno slot nel reparto offensivo, orfano della partenza di Kvaratskhelia. Perciò, con Neres orami promosso in pianta stabile nell’undici di partenza, era necessario intervenire per supportare quantitativamente l’organico, offrendo a Conte un profilo spendibile nelle rotazioni. Insomma, nessuno si lasci trarre in inganno: il georgiano era già stato sostituito, affidando a Neres un maggior minutaggio, cioè quello che in origine aveva il numero 77, volato poi al PSG. Sostanzialmente, il brasiliano scala di una posizione nelle preferenze dello staff tecnico, mentre Okafor allunga la panchina. Certamente l’ex rossonero non sposta gli equilibri tra (presunti) titolari e seconde linee.
Strane similitudini col passato
Magari avrà prevalso l’idea che il Napoli non avesse bisogno di intervenire pesantemente sul mercato. Del resto, quella invernale è nota pure come sessione “di riparazione”. Forse nella sede della Filmauro avranno pensato che non c’è nulla da rimettere a posto in una squadra in testa alla classifica. O peggio, talmente malfunzionante da richiede un intervento massiccio per eliminare guasti temporanei e difetti strutturali. Così, tornano subito in mente le dichiarazioni roboanti rilasciate da De Laurentiis nella medesima situazione, qualche anno fa. Ai microfoni di Sky Sport il presidente disse testualmente: “Mercato spento? Siamo primi, non c’è nulla da riparare”. Allora si sprecano le similitudini tra queste settimane e la stagione 2017/18, quando col Napoli saldamente al comando, a gennaio la società partenopea portò in dote a Sarri il solo Machach (sic…) per puntellare la rosa. E tutti conoscono il triste epilogo di quel campionato.
Eppure l’aggiunta di Okafor potrebbe garantire agli azzurri valide alternative là davanti. Effettivamente, rispetto a Kvara e Neres, sembra meno un esterno puro. Ovvero, il classico spirito libero che usa il dribbling in maniera audace e sfrontata. In sostanza, offensive players naturalmente orientati a isolarsi in situazione di uno contro uno, per stressare l’avversario diretto grazie a finte ubriacanti, sterzate assassine e stop-and-go difficilmente leggibili in anticipo. Evidente, quindi, l’idea di offrire a Conte uno scenario tattico diverso. In quest’ottica, lo svizzero dà soluzioni controcorrente, perché non forza mai la giocata. Anzi, pare abbia un’indole decisamente associativa, tale da consentirgli di associarsi maggiormente con i compagni.
Intuizione o ripiego?
In definitiva, l’intuizione del diesse Manna, che l’ha voluto a ogni costo, dopo i vani tentativi di persuadere Adeyemi, Garnacho o Saint–Maximin permettono di arricchire il bagaglio professionale di Okafor con l’ennesima tappa del proprio vissuto calcistico. Sperando che si riveda il giocatore a tratti devastante, come ai tempi del Red Bull Salisburgo. Chissà che all’ombra del Vesuvio non si facciano bastare quello visto nella sua prima annata in Serie A, due stagioni orsono. Agli ordini di Pioli, schierato indifferentemente esterno, sia a destra che a sinistra, oppure punta va a segno 6 volte in 27 presenze. Quest’anno, al contrario, è finito ai margini.
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