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Giovanni Galli contro la legge sul fine vita






Dopo Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, la proposta di legge radicale sul fine vita è in discussione anche in Toscana. Tra il 10 e l’11 febbraio il Consiglio regionale dovrebbe discutere il testo. In caso di approvazione, la Toscana sarebbe la prima regione in Italia a legiferare sul tema. Di seguito pubblichiamo l’intervento in aula del consigliere leghista Giovanni Galli, ex portiere della Nazionale (campione del mondo nel 1982), Milan e Fiorentina.

La sinistra Toscana non vuole dare una risposta istituzionale ad un tema estremamente delicato come il fine vita, ma vuole intestarsi una battaglia ideologica libertaria, cioè strutturata sull’idea che ogni individuo possa e debba rispondere solo a se stesso, in una logica meramente egoistica o meglio nichilista. Insomma la Toscana vuole diventare una terra senza Dio.

Si potrebbero scrivere molte considerazioni circa la proposta di legge in esame in Consiglio regionale in merito al fine vita, a partire dalla potenziale incostituzionalità della normativa. Ma ciò che riteniamo opportuno evidenziare è che, sulla base della normativa vigente, è già possibile per una persona affetta da una patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti capace di prendere decisioni libere e consapevoli, di poter richiedere sia la sospensione dei trattamenti sanitari sia le terapie palliative allo scopo di alleviare le sofferenze ed arrivare con dignità alla morte.


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Terapie palliative

Non sfuggirà che già la legge 219/2017 riconosce, ad ogni persona capace di intendere e volere, il diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, ancorché necessario alla propria sopravvivenza, comprendendo espressamente nella relativa nozione anche i trattamenti di idratazione e nutrizione artificiale: diritto inquadrato nel contesto della relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico. Integrando quindi le previsioni della legge 38/2010 – disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore – la legge 219 prevede che la richiesta di sospensione dei trattamenti sanitari possa essere associata alla richiesta di terapie palliative allo scopo di alleviare le sofferenze del paziente. Ma non solo: la norma stabilisce anche che il medico possa, con il consenso del paziente, ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore.

I vari ricorsi e le varie sentenze parlano chiaro, cioè la differenza tra il percorso attualmente previsto per accompagnare il paziente, che si trova in particolare condizioni sanitarie, alla morte si differenzia rispetto alle proposte avanzate in materia di suicidio assistito su di un elemento strutturale che è “il tempo”. In pratica coloro che difendono e promuovono il suicidio assistito argomentano che scartano la soluzione dell’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale, con contestuale sottoposizione a sedazione profonda, proprio perché quest’ultima non assicurerebbe una morte rapida. Si parla quindi di morire dormendo in un paio di giorni rispetto a somministrarsi qualcosa per morire subito.


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Una battaglia ideologica

Davanti a questa considerazione, maturata anche dalla lettura degli emendamenti prodotti dal Pd in correzione della proposta di legge di iniziativa popolare promossa dall’associazione Luca Coscioni, si vuole con forza sottolineare sia la natura procedimentale della norma sia il carattere praticamente tecnico della stessa proprio perché già oggi è possibile, in particolari situazioni gravissime ed irreversibili, morire nel rispetto della dignità umana e dei legami familiari che conseguono.

Abbiamo letto molte considerazioni in merito al suicidio assistito, e molte delle quali si strutturano sul constatare la Costituzione il faro guida sia per quanto concerne il principio di libertà sia per quanto concerne il concetto di difesa della vita. Proprio per questo motivo è incomprensibile come alcune forze politiche si siano attivate per trasformare un tema etico così importante in una battaglia ideologica, che non serve né ai malati né al sistema sanitario.

C’è di fatto in corso una trasformazione identitaria delle forze politiche di sinistra, che ergono a modello valoriale il relativismo e l’individualismo: dalla fluidità del genere, al suicidio assistito per intendersi. Temi che, banalizzando il principio di libertà costituzionale, che è inviolabile ma non è assoluta in quanto presuppone una relazione con gli altri e quindi una armonizzazione con gli altri per il bene comune, rischia di disintegrare un modello sociale solidaristico per invece costruire modelli nichilistici, egoistici e quindi escludenti.

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