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L’economia europea nella guerra dei dazi


È probabile che l’amministrazione Trump imponga dazi anche sulle esportazioni europee negli Usa. Nello scenario peggiore la Bce potrebbe trovarsi a fronteggiare contemporaneamente il rallentamento dell’attività economica e il rialzo dell’inflazione.

Possibili effetti dei dazi Usa

L’accelerazione indotta dall’amministrazione Trump alla cosiddetta “guerra dei dazi” sembra potersi estendere anche alla zona euro. A prima vista, dazi statunitensi sulle esportazioni dell’Eurozona agirebbero come uno shock dal lato dell’offerta, aumentando il prezzo post-dazio delle esportazioni europee e causando possibili interruzioni nelle catene di produzione. In realtà, un aumento dei dazi influenza direttamente la domanda di esportazioni e le catene di approvvigionamento.

Nel 2023, gli Stati Uniti hanno rappresentato circa il 15 per cento delle esportazioni dell’Eurozona, per un valore vicino a 450 miliardi di dollari in beni e servizi. Settori chiave come l’automobilistico, i macchinari e il farmaceutico sono particolarmente vulnerabili, con le esportazioni di automobili che da sole ammontano a 60 miliardi di dollari all’anno. Il settore dei macchinari rappresenta circa 120 miliardi di dollari di esportazioni, mentre il farmaceutico contribuisce con ulteriori 80 miliardi di dollari. Dazi del 10 per cento su tutte le esportazioni dell’Eurozona verso gli Stati Uniti potrebbero ridurne il volume totale del 20 per cento, con una perdita annua di 90 miliardi di dollari, pari a circa l’1,27 per cento del totale dell’export dell’Eurozona a livello globale.

A ciò seguirebbero effetti sulle catene di approvvigionamento, con conseguenti perdite occupazionali, specialmente nelle regioni più dipendenti dal commercio internazionale, a cominciare dall’Italia. Le stime suggeriscono che il numero totale di posti di lavoro persi nei settori più colpiti (automobilistico, farmaceutico, macchinari) potrebbe superare le 250mila unità. Le stime più recenti enfatizzano poi i possibili effetti sugli investimenti. Un aumento del 10 per cento dei dazi potrebbe ridurre gli investimenti settoriali nell’Eurozona dell’1,5-2,5 per cento nel primo anno, con impatti sproporzionati nei settori più orientati alle esportazioni, come la produzione di macchinari e l’automobile.

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Cosa succede al tasso di cambio?

La contrazione di esportazioni e investimenti avrebbe una ricaduta sul Pil europeo. Il risultato finale dipende però dallo scenario che si assume riguardo alla risposta del cambio euro-dollaro. A tasso di cambio invariato, l’Eurozona subirebbe l’intero impatto della riduzione della domanda di esportazioni. In tal caso, il Pil dell’area potrebbe ridursi di circa 45 miliardi di dollari all’anno, pari allo 0,3 per cento del totale.

In realtà, movimenti del tasso di cambio possono neutralizzare in parte gli effetti dei dazi. La loro introduzione porterebbe certamente a un apprezzamento ulteriore del dollaro rispetto all’euro. Negli Usa, l’aumento dei prezzi dei beni importati spingerebbe al rialzo la domanda di lavoro nei settori domestici, perché i consumatori americani sostituirebbero beni importati con beni locali. Ciò spingerebbe al rialzo l’inflazione interna. Che a sua volta produrrebbe un aumento dei tassi di interesse americani, generando un apprezzamento del dollaro. Un relativo indebolimento dell’euro del 5 per cento potrebbe compensare il 30-50 per cento dell’aumento dei prezzi indotto dai dazi, attenuando la contrazione delle esportazioni a 45-60 miliardi di dollari. In tal caso, la riduzione del Pil varierebbe tra 22,5 e 30 miliardi di dollari, ovvero tra lo 0,15 e lo 0,2 per cento del Pil dell’Eurozona. Un effetto sostanzialmente piccolo.

I dazi americani avrebbero ricadute anche sull’inflazione europea e sulla condotta della politica monetaria della Banca centrale. Gli effetti sull’inflazione nell’Eurozona dipendono dal rallentamento dell’attività economica. A tasso di cambio invariato, il calo delle esportazioni porterebbe a una riduzione della produzione, con pressioni deflazionistiche. Le stime suggeriscono che un calo del 10 per cento della domanda di esportazioni potrebbe ridurre l’inflazione nei prezzi dei beni domestici di 0,1-0,2 punti percentuali nei settori più esposti. Con un probabile deprezzamento dell’euro, parte dell’aumento dei prezzi indotto dai dazi verrebbe compensato, diminuendo la necessità per le imprese di abbassare i prezzi. Un deprezzamento del 5 per cento potrebbe attenuare l’effetto deflazionistico a soli 0,05-0,1 punti percentuali.

L’impatto sui prezzi al consumo nell’Eurozona sarebbe minimo, poiché i dazi colpiscono principalmente i prezzi alla produzione e i mercati di esportazione. Tuttavia, in questo caso, il deprezzamento dell’euro potrebbe aumentare leggermente il prezzo dei beni importati (sia finali che intermedi), con un possibile effetto inflazionistico di 0,05-0,1 punti percentuali.

La risposta della Bce

La risposta della politica monetaria della Bce a un possibile incremento dei dazi deve tenere conto di due fattori. Innanzitutto, il probabile rallentamento dell’attività economica legato alla contrazione della domanda di esportazioni. Secondo, l’indice di inflazione più appropriato a cui rispondere. Di fronte al rallentamento dell’attività economica, la Bce dovrebbe attuare una politica monetaria più espansiva, perciò accelerando la discesa dei tassi già in atto da diversi mesi.

L’indice di inflazione sui cui calibrare la risposta della Bce avrebbe però una certa importanza. Tipicamente, la Banca centrale europea cerca di tenere stabile l’inflazione nei prezzi al consumo. L’indice include anche la dinamica dei prezzi dei beni importati, che aumenterebbero a causa del deprezzamento dell’euro. Ciò porterebbe la Bce ad aumentare i tassi di interesse, o comunque a essere meno espansiva di quanto necessario per sostenere l’attività economica. In altri termini, la Bce dovrebbe concentrarsi su un indice di inflazione ristretto ai beni domestici, così da non ostacolare il deprezzamento del cambio, permettendo alla domanda di esportazioni di contrarsi solo in minima parte. Solo in questo modo, la Bce riuscirebbe a sostenere adeguatamente l’attività economica dell’Eurozona.

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Lo scenario di guerra commerciale

Lo scenario delineato finora non tiene conto di un probabile esito che dazi unilaterali imposti dagli Usa produrrebbero: una risposta simmetrica da parte delle economie europee, con una conseguente guerra commerciale. In tal caso, l’Eurozona risponderebbe innalzando dazi sulle importazioni dagli Usa, il che produrrebbe un aumento dei prezzi dei beni importati, a scapito dei consumatori europei. In questo scenario, gli effetti inflazionistici sull’indice generale dei prezzi al consumo sarebbero molto più consistenti. Una guerra commerciale muterebbe la natura dello shock a cui sarebbe sottoposta l’economia europea. Da uno shock di domanda – nel caso di dazi asimmetrici imposti dagli Usa – a uno shock stagflazionistico – nel caso di guerra commerciale. Cioè la Bce fronteggerebbe un contemporaneo rallentamento dell’attività economica e un rialzo generalizzato dell’inflazione. Un dilemma molto costoso, soprattutto nella situazione attuale, in cui la Bce cerca di mantenere stabile il sentiero di allentamento della politica monetaria.

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Tommaso Monacelli

Tommaso Monacelli è professore ordinario di Economia all’Università Bocconi di Milano, e Fellow di IGIER Bocconi e del CEPR di Londra. Ha ottenuto il Ph.D. in Economia presso la New York University, ed è stato in precedenza assistant professor a Boston College e professore associato all’Università Bocconi. E’ associate editor di riviste scientifiche internazionali, tra cui il Journal of the European Economic Association, il Journal of Money Credit and Banking, e la European Economic Review. E’ stato adjunct professor presso la Columbia University, visiting professor presso la Central European University, e research consultant per Bce, Ocse, IMF, e Riksbank. I suoi interessi di ricerca riguardano la teoria e politica monetaria e la macroeconoma internazionale.



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