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Legalità e riscatto sociale, gli Scout del Goriza 3 dai detenuti pugliesi: «Unire mondi lontani» • Il Goriziano


Ci scrive il clan del gruppo scout Gorizia 3 raccontandoci la propria esperienza estiva del Capitolo, un approfondimento di attualità che, per il 2024, è stato scelto nel tema delle ‘Carceri’. L’esperienza in Puglia ci è raccontata direttamente dai ragazzi stessi. (I.B.)

In carcere abbiamo conosciuto la libertà. Buffa come frase, eppure – quando siamo tornati all’aria aperta – abbiamo avuto la percezione di essere rimasti dietro quelle sbarre molto a lungo. Prima di raccontarvi questa esperienza, vogliamo presentarci: siamo il clan del gruppo scout del Gorizia 3 e siamo dei ragazzi dall’età compresa tra i 16 e i 21 anni. Nel clan, oltre alle solite attività, si vive anche il Capitolo, che consiste nell’approfondimento di un tema di attualità che il clan stesso reputa interessante. Una volta deciso l’argomento da trattare, il resto dell’anno ci si impegna ad approfondire. Quest’anno abbiamo deciso di affrontare il tema delle carceri, in particolare della rieducazione. Ci siamo informati personalmente e tramite le testimonianze di chi lavora a contatto con i detenuti.

Ma non ci bastava: abbiamo deciso di avvicinarci a chi nel carcere non ci lavora ma ci vive, abbiamo deciso di entrarci addirittura, come semplici visitatori, ovviamente.
Ci siamo messi in gioco e siamo scesi fino in Puglia, abbiamo conosciuto realtà che si mettono a disposizione di chi nella propria vita ha commesso un reato.  Una di queste è Noi e Voi, un’associazione che offre esperienze lavorative per i carcerati in semilibertà, con cui abbiamo avuto una bellissima – anche se troppo corta – conversazione: potrà forse stupire, ma tutti loro muoiono dalla voglia di condividere, di parlare del carcere e di sapere cosa succede nelle vite di chi non c’è stato.

Qui abbiamo conosciuto lo stato effimero dell’articolo 21: anche per uno sgarro del compagno di cella ci si può veder preclusi quest’opportunità. Abbiamo conosciuto i problemi che portano a commettere crimini, nella maggior parte dei casi, problemi economici. Abbiamo conosciuto persone che hanno compreso di aver fatto errori a cui vorrebbero tanto riparare e che si rendono conto di portare ora e per sempre il marchio delle loro azioni. Abbiamo conosciuto uomini spaventati, che temono di non farcela là fuori, ma che vogliono ancor meno tornare “dentro”. Abbiamo visto volti riconoscenti per quelle persone che si spendono, molte volte, se non sempre, non retribuite, per dar loro la possibilità di uscire e tornare nel mondo.

“Noi e Voi” non è l’unica associazione attiva sul territorio. Anche “Semi di Vita” è votata alla reintegrazione degli ex detenuti, e propone lavoro agricolo su un territorio confiscato alla mafia, la Sacra Corona Unita, che non ha accettato di perderlo e da cui l’associazione ha subito atti di ritorsione. Ciononostante, i volontari non si arrendono. Con determinazione, continuano a lavorare per recuperare quanto perso e per portare avanti il loro importante messaggio di legalità e riscatto sociale. «Siamo ancora qui, non ci fermeranno» afferma il presidente dell’associazione, che sta cercando di raccogliere fondi per acquistare nuovi terreni e continuare la loro missione. Il sostegno della comunità e delle istituzioni sarà fondamentale per permettere a questa iniziativa di riprendersi e continuare a fornire ai detenuti una seconda possibilità. Un messaggio di speranza e resilienza che, anche di fronte alle difficoltà, rimane più forte di qualsiasi minaccia.

L’ultima attività riguardante il capitolo che abbiamo fatto in Puglia è stata l’attività nel carcere minorile di Bari. Ad accoglierci nella struttura è stato il direttore del carcere, che ci ha condotti nell’auditorium dove ha tenuto un discorso sul funzionamento del carcere e dei problemi che lo attanagliano, finalizzato a prepararci all’incontro con gli altri ragazzi, nostri coetanei ma dalla vita sensibilmente diversa. «Eravamo intimoriti, ma la loro accoglienza ci ha sorpreso» è il pensiero col quale tutti siamo usciti. Durante il dialogo, abbiamo scoperto storie di vita segnate da difficoltà, ma anche da desideri di riscatto e normalità.

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Il momento più significativo è stato il pranzo condiviso, occasione per abbattere barriere e trovare punti di contatto. Alla fine, chi vive il carcere sono ragazzi come noi, sono adulti come voi. L’esperienza si è conclusa, ma l’impatto emotivo e umano resta vivo: gli incontri ci hanno insegnato empatia e comprensione, dimostrando come il dialogo possa unire mondi apparentemente lontani. Noi abbiamo posto molte domande ma un detenuto ci ha colto alla sprovvista quando ci ha chiesto: «Voi avete paura di noi?» Noi abbiamo disperso i nostri pregiudizi e voi?

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