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Con la Cassa di Orvieto Fucino diventa holding di banche dei territori


Dottor Francesco Maiolini, qual è il senso industriale dell’acquisto di Cassa Orvieto da parte di Banca del Fucino di cui lei è l’ad e l’artefice del suo successo: solo quello di consolidare la leadership nel Centro Italia?
«Non vogliamo piantare bandierine o inseguire primati. Semplicemente, riteniamo che esista in Centro Italia un importante spazio di mercato per un gruppo in grado di essere polo aggregante di banche di prossimità, mantenendone l’autonoma identità di banche di territorio. Si tratta di uno spazio oggettivo, creato dal forte processo di concentrazione che ha investito il nostro Paese negli ultimi due decenni». 

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Cosa intende dire? 
«Tra il 1995 e il 2023 le banche in Italia si sono ridotte del 57%. E gli sportelli dal 2008, in soli 15 anni, si sono più o meno dimezzati. A questo si è accompagnata dopo la crisi del 2008 una costante riduzione del credito all’economia, salvo una ripresa nel 2020 e negli anni successivi (dovuta alle garanzie pubbliche) che però si è interrotta già nel 2023. Ovviamente si tratta di un processo che ha molte cause, ma questo andamento ha a che fare anche con la rarefazione bancaria». 
Ma questo è un problema nazionale. Dov’è la specificità del Centro Italia? 
«Il periodo 2000-2024 ha visto un crescente squilibrio tra il sistema bancario del Centro Italia, in forte contrazione, e quello del Nord Italia, dove oggi hanno sede le principali banche italiane e anche gran parte delle banche di minori dimensioni. Delle 12 significant institutions italiane, 10 hanno infatti sede al Nord e soltanto 2 (Mps e Iccrea Banca) hanno sede in regioni del Centro Italia. Tra le banche più piccole (less significant institutions), escludendo gli intermediari specializzati, abbiamo oggi in tutto 14 istituti con sede nel Centro Italia: nessun intermediario ha sede in Abruzzo, 1 in Umbria, 2 nelle Marche, 5 in Toscana e 6 nel Lazio». 
Che conclusioni trae? 
«Che il processo di consolidamento del settore avvenuto negli ultimi due decenni ha depauperato il Centro Italia di gran parte degli istituti bancari di rilevanza nazionale che in precedenza vi avevano sede. Se consideriamo che all’interno di questo ambito territoriale si trova Roma, emerge con evidenza la specificità della situazione italiana nel confronto europeo: l’Italia è in effetti l’unico tra i maggiori Paesi europei in cui nessuna delle maggiori banche commerciali nazionali ha sede nella capitale». 
Quello che vale per il numero di istituti vale anche per il numero di sportelli bancari? 
«Sì. Il processo di contrazione del numero di istituti con sede nelle regioni del Centro Italia è andato di pari passo con la riduzione degli sportelli: nel 2023 erano oltre il 42% in meno che nel 2009». 
Quindi la vostra operazione sulla Cassa di Risparmio di Orvieto è anche una risposta a questa situazione. Pensa di dover aggiornare il modello organizzativo della Fucino a seguito dell’acquisizione?
«Banca del Fucino ha già due controllate (una banca e una società finanziaria) per le quali svolge funzione di holding, gestendo alcune attività di controllo e di direzione centrale esternalizzate. L’ingresso nel gruppo della Cassa di Risparmio di Orvieto – una volta completato il percorso autorizzativo – permetterà di svolgere a livello di holding le attività di governance e controllo, di arricchire l’offerta della Cassa con ulteriori servizi finanziari (Health & Pharma, finanziamenti per le energie rinnovabili, finanza speciale d’impresa, e altro), consentendo alla struttura commerciale della Cassa di dispiegare meglio la sua azione sul territorio». 
Avete dichiarato che manterrete l’autonomia del marchio. A quale modello organizzativo pensate e come declinerete la holding? Pensate anche a una sua quotazione?
«Il modello a cui pensiamo è quello di banca universale con specializzazioni distintive. In termini strutturali, si tratta di una holding intesa come hub di banche di prossimità che mantengono la loro identità, il loro marchio e la loro autonoma presenza sul territorio. In questo modo siamo in grado di valorizzare i punti di forza della banca di prossimità, superando i suoi tradizionali punti di debolezza (portafoglio prodotti limitato, insufficiente capacità di investimento in innovazione tecnologica, ecc.). Crediamo che questo modello sia in grado di rispondere alla domanda di credito e di servizi finanziari per le imprese in modo efficace e che sia quindi in grado di creare importante valore per gli azionisti. In questo senso vediamo con favore la prospettiva della quotazione, perché riteniamo che essa possa costituire un ulteriore volano per la crescita del Gruppo». 
Per quale motivo ritenete superiore il modello di banca universale? Negli ultimi anni molte banche hanno deciso di intraprendere la strada della banca specializzata. 
«Quello bancario è un ecosistema in cui c’è posto per molte soluzioni organizzative. La strada della banca specializzata è stata incentivata dalle politiche monetarie, che per diversi anni hanno stabilito tassi d’interesse negativi in termini reali. Questi tassi hanno compresso il margine d’interesse e quindi reso non redditizio il mestiere tradizionale delle banche, spingendo per contro alla ricerca di ricavi da commissione, spesso concentrati su un business particolare. Ma la monospecializzazione comporta un rischio strategico e di concentrazione, e quindi in termini di stabilità. Credo che da questo punto di vista, in condizioni normali di politica monetaria, il modello della banca universale resti preferibile». 
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