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a Roma si discute su una nuova legge| Artribune


Lo scorso ottobre, in occasione della Festa del Cinema di Roma, un convegno dal titolo eloquente – La carica dei 101 – faceva il punto sulla situazione delle sale cinematografiche capitoline. Organizzata dall’Ordine degli Architetti di Roma, l’iniziativa si concentrava sulla dilagante chiusura dei cinema cittadini e sulla conseguente perdita (senza ritorno?) di un patrimonio storico e culturale collettivo. Un fenomeno non limitato alla Capitale, dovuto innanzitutto alla progressiva riduzione di pubblico e incassi, ma anche al mancato aggiornamento delle norme che regolano il mercato cinematografico a fronte di un sistema di concorrenza decisamente cambiato.
In questo quadro si inserisce la non trascurabile questione dell’abbandono del patrimonio edilizio costituito dalle sale cinematografiche, anch’esso caricato di valori culturali e storici veicolati da una destinazione d’uso d’interesse pubblico.

Come cambia la legge sulla rifunzionalizzazione dei cinema chiusi a Roma

Nel Lazio, la legge regionale vigente contenente “disposizioni per la rigenerazione urbana e per il recupero edilizio”, che all’articolo 6 regola anche la tutela e la rifunzionalizzazione degli immobili già destinati ad attività cinematografiche, risale al 2017. E stabilisce che, in caso di intervento di ristrutturazione o demolizione di cinema chiusi o dismessi, la proprietà debba destinare almeno il 70% della nuova attività a finalità culturali: solo il 30% degli spazi, dunque, potrà essere dedicato ad attività commerciali.
Nell’agosto 2024, però, una proposta di legge presentata in Giunta dall’Assessore all’Urbanistica Pasquale Ciacciarelli – che ora sembrerebbe sul punto di essere approvata dal Consiglio regionale – ha presentato una serie di modifiche sostanziali alla normativa, autorizzando il cambio di destinazione d’uso, senza vincoli di sorta, per le sale già chiuse da almeno sette anni (alla data del 31 dicembre 2023). Per quelle chiuse nell’ultimo anno, invece, dovranno trascorrere 10 anni prima di poter procedere. Inoltre, qualora fosse mantenuta la funzione originaria per almeno il 30% della superficie, alla proprietà sarebbe riconosciuto un aumento fino al 15% della volumetria per realizzare interventi di ristrutturazione e fino al 30% per la demolizione e la ricostruzione.

Come si risolve il problema dei cinema chiusi? 

Una prospettiva che ha provocato l’alzata di scudi di molti attori e registi italiani, firmatari – insieme a numerosi operatori del settore cinematografico – di un appello urgente “per la tutela delle sale cinematografiche”: “Le sale cinematografiche non sono semplici immobili, ma presidi culturali fondamentali per la nostra identità e per la diffusione dell’arte cinematografica. La loro chiusura o trasformazione in centri commerciali rappresenta una perdita irreparabile per il patrimonio culturale italiano e per il pubblico”, si legge nel testo sottoscritto, tra gli altri, da Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Paola Cortellesi, Pierfrancesco Favino, Mario Martone, Pietro Valsecchi, Pupi Avati. Alla denuncia di uno “sciacallaggio immobiliare” da arginare, l’appello contrappone la volontà di “intervenire per riacquistare e riqualificare le sale cinematografiche, restituendole alla loro funzione originaria e promuovendo una rinnovata partecipazione del pubblico”. Nel frattempo, lo scorso 4 febbraio, il Presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, ha incontrato diversi esponenti dell’industria del cinema e dell’audiovisivo per rasserenare gli animi, manifestando – riferiscono in un comunicato congiunto Anica e Anec – “la volontà della Regione di preservare le sale esistenti e recuperare, soprattutto nelle periferie, quelle adibite ad altro uso, riconoscendone il ruolo centrale nella vita culturale e sociale del territorio”. Pur impegnandosi a contrastare la speculazione e a sviluppare un piano regolatore, Rocca ha però ribadito che “sarà sempre il mercato a regolare le iniziative economiche”. Entro la fine di febbraio, ha aggiunto, “la Regione Lazio vuole arrivare a una proposta di legge condivisa sul cambio di destinazione d’uso per i cinema che hanno chiuso. Non c’era da parte nostra una volontà di penalizzare le sale o favorirne la chiusura. Ci sono sale chiuse dal 1990. Non l’abbiamo creato noi questo fenomeno”.

Cinema America Occupato

Speculazione o abbandono? Due strade alternative entrambe pericolose

In numeri, solo a Roma, la nuova legge permetterebbe di intervenire senza troppi vincoli su 44 sale chiuse da tempo, con il caso dell’ex Metropolitan di Via del Corso – già da qualche anno in procinto di essere riconvertito in centro commerciale (ancorché con una sala cinematografica) da una nuova proprietà, però bloccata proprio dalla legge regionale vigente – diventato vessillo di chi si oppone al cambio di rotta.
E si inserisce nella vicenda anche il recente acquisto di nove sale cinematografiche romane, alcune chiuse da anni e in stato di abbandono (Reale, Excelsior, Empire, Royal, Ambassade), da parte della società olandese Hadrian’s Wall, che per 50 milioni di euro ha ottenuto gli asset immobiliari partecipando a un’asta legata alla procedura di concordato fallimentare dell’ex presidente della Sampdoria, Massimo Ferrero, ex proprietario delle sale. L’obiettivo, fanno sapere i vertici della società, è quello di riportare in vita spazi dedicati alla cultura cinematografica creando spazi culturali che siano economicamente sostenibili. Ma, se non fosse possibile riattivare le sale già chiuse, la nuova proprietà chiede di poter procedere con la diversificazione, per evitare che gli immobili restino nelle attuali condizioni di degrado. Un’eventualità consentita dalla legge in approvazione, che materializzerebbe gli incubi di chi vi si oppone.

cover cinema impero credits barbara scipioni Il futuro dei cinema italiani, le soluzioni della Regione Lazio e il grosso rischio ideologia
Cinema Impero, Roma. Photo Barbara Scipioni

La necessità dell’intervento pubblico per salvare i cinema

Sul dibattito, che continuerà a imperversare nelle prossime settimane, è intervenuto con un editoriale decisamente centrato Alessandro Trocino sul Corriere della Sera (Cinema, perché resuscitare le sale morte significa lottare contro il mercato):Sostenere l’immutabilità perenne della destinazione d’uso per le sale è una tesi ideologica, con pochi effetti positivi. Si possono costringere i venditori di macchine fotografiche a tenere aperti negozi se nessuno le compra più, causa smartphone? Ha senso? Costringerli farebbe ripartire il mercato di macchine fotografiche? Naturalmente no. Lo stesso vale per il cinema. Anche se, si dirà, la speculazione fa chiudere posti che potrebbero tranquillamente stare in piedi, magari con margini ridotti. Ma” si legge ancora nell’articolo “pensare di salvare le sale obbligando i proprietari a stare aperti, anche se affogano nei debiti, pare contrario non solo alle vituperate leggi del mercato, ma anche al buon senso, oltre che ai legittimi interessi dei proprietari”.
E allora, nella necessità di salvaguardare il ruolo culturale, sociale, ma anche imprenditoriale delle sale cinematografiche, arginando al contempo l’immobilismo provocato da luoghi dismessi che da presidio culturale sono destinati a trasformarsi  (e si sono trasformati in molte città) in ricettacolo di degrado, torna attuale una riflessione pubblicata su Artribune nel 2023, a firma di Massimiliano Tonelli.

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L’idea delle sale pubbliche comunali

A fronte dell’ineluttabile riduzione del numero delle sale italiane, come intervenire per aiutare il settore? Sostenendolo con finanziamenti pubblici, “necessari per trasformare i cinematografi in luoghi autenticamente contemporanei, dove trovare librerie, auditorium, presentazioni di libri, eventi e festival, ristorazione di qualità, il tutto attorno a sale cinematografiche tecnologicamente avanzate”. Perché di sale “ne rimangano poche ma buone, e diventino presidi culturali a tutto tondo”.
Tornando all’articolo di Trocino, “lo Stato dovrebbe aiutare, non solo a Roma, chi una sala ce l’ha a farla diventare produttiva, magari investendo direttamente, entrando in società e costruendo una rete di sale pubbliche”. In sintesi, qualora non fosse possibile per un esercente lavorare per stare a galla nel mercato attuale, perché non pensare alla possibilità di un intervento dell’amministrazione cittadina per rilevare la sala e farne un cinema comunale garantito, sul modello, per esempio, dei teatri comunali? E perché, quindi, non prevedere il diritto di prelazione da parte del Comune allo scadere dei dieci anni che d’ora in avanti dovrebbero autorizzare il cambio di destinazione d’uso delle sale chiuse?

Roma, interni del cinema Airone. Crediti Allegra Maria Girolami
Roma, interni del cinema Airone. Crediti Allegra Maria Girolami

La proposta dell’Assessore alla Cultura di Roma per salvare le sale chiuse

Massimiliano Smeriglio, Assessore alla Cultura di Roma, sembra orientarsi in questa direzione. Nell’intervista rilasciata sempre al Corriere della Sera lo scorso 3 febbraio, Smeriglio ribadisce l’intenzione di “salvare le sale e riaprirle mettendo in campo risorse e politiche pubbliche perché siamo, sì, di fronte a un mercato, ma anche a un presidio territoriale di pubblica utilità”. Dunque, dopo aver riconosciuto come unica strada percorribile per raggiungere la sostenibilità economica di un cinema l’affiancamento di attività collaterali in linea con la funzione originale – librerie, bar, spazi per la musica, sul modello della Sala Troisi – l’Assessore anticipa il lavoro che, insieme all’assessorato al Patrimonio, si sta portando avanti in Comune per recuperare cinema pubblici dismessi come l’Airone, l’Apollo e il Rialto, non escludendo il confronto con cordate locali che abbiano a cuore la riapertura delle sale.

La proposta della Federazione Aut-Autori

E un diretto coinvolgimento istituzionale è quello che chiede anche la Federazione Aut-Autori (rappresentante associazioni di categoria del cinema, dell’audiovisivo, del teatro, della radiotelevisione e delle opere letterarie). L’idea è quella di costituire una Casa degli Autori con il sostegno dell’amministrazione capitolina. Individuando e recuperando una sala da dedicare non solo a una normale programmazione, ma per crearvi uno spazio dove poter svolgere attività di didattica e formazione, gestite in collaborazione con le attuali Associate (Anac, Cendic, Anart, Aidac) in un contesto di piena socialità. “Uno spazio vivo in grado di divenire un centro culturale e artistico nel quale le associazioni di categoria vengano poste nelle condizioni di valorizzare al meglio il loro patrimonio professionale”. Dunque uno spazio polifunzionale per incontri e dibattiti, studio, prove e ristoro; e che accolga anche gli archivi di interesse culturale e storico di cui le singole associazioni dispongono, sviluppando il progetto di intesa con il Comune di Roma e con il Ministero della Cultura.
Anche il dicastero guidato da Alessandro Giuli, del resto, è stato più volte chiamato in causa negli ultimi giorni (sebbene il Dl Cultura, approvato il 6 febbraio alla Camera, sembri essersi nuovamente dimenticato dell’industria cinematografica). Mentre il produttore Pietro Valsecchi ha fatto sapere di essersi confrontato con alcuni giuristi per coinvolgere nella vicenda il ministro della Cultura affinché eserciti un “diritto di tutela” sulle sale romane, lo stesso Francesco Rocca si è impegnato a sottoporre al Ministero della Cultura il caso laziale. Con l’auspicio che questo dibattito possa sollecitare una riflessione più ampia per affrontare, finalmente, il tema sul piano nazionale. Mettendo da parte la retorica delle imprese epiche e coraggiose – leggasi Cinema America – e qualsivoglia ideologia di sorta.

Livia Montagnoli

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