Ingolfati dalle richieste di cittadinanza italiana. E così, dalle Dolomiti (Val di Zoldo), fin quasi al mare (San Donà di Piave), passando per i capoluoghi più popolosi (Padova), i Comuni veneti stanno piazzando una tassa che arriva fino a 600 euro (varata dal governo Meloni) per cercare di frenare l’ondata di oriundi, per lo più sudamericani, che vogliono venga loro riconosciuta la cittadinanza italiana “iure sanguinis”.
In altre parole, persone residenti in mezzo mondo che, avendo avi italiani emigrati dal terra italiana in un tempo che fu (fino al 1871), chiedono il passaporto italiano, ritenuto più forte del loro.
Solo a Padova sono oltre 2 mila le richieste arrivate negli ultimi tre anni all’anagrafe comunale per il riconoscimento della cittadinanza italiana.
Per capire la situazione, è sufficiente bussare alla porta del tribunale civile di Venezia, sede distrettuale per tutto il Veneto: a fine 2024 pendevano 24.400 richieste.
Arrivano da Brasile e Argentina, ma anche dal Venezuela.
Si tratta dei Paesi dove nei secoli sono arrivati più immigrati italiani, lasciando ora ai discendenti la possibilità di acquisire un passaporto ritenuto più forte.
Una corsa allo ius sanguinis per dimostrare di avere un parente e quindi una discendenza italiana che fa gola soprattutto ai sudamericani, i quali non possono muoversi agilmente come gli europei e che con un passaporto italiano avrebbero una chiave per volare ovunque.
E le politiche nei loro confronti del nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, potrebbero anche esasperare la situazione, contribuendo ad affollare ulteriormente gli uffici.
Con la manovra di bilancio del governo Meloni, i Comuni ora possono assoggettare le domande di riconoscimento della cittadinanza al pagamento di un contributo fino a 600 euro.
E in Veneto le amministrazioni stanno deliberando l’adozione della tassa, perché fioccano le richieste e gli uffici anagrafe finiscono in ginocchio.
Qui Padova: duemila richieste in tre anni
«Siamo stati travolti dalle richieste» conferma l’assessora comunale all’Anagrafe padovana Francesca Benciolini, «ma spesso la documentazione è scritta ancora a mano, le domande non sono precise e quindi bisogna ricercare su più anni, pagina per pagina.
L’ulteriore contributo che chiederemo non è per far desistere dalle richieste, anche se poi il fenomeno avviene automaticamente, ma per pagare il lavoro che viene svolto. In più, parliamo di persone che non vivono in Italia, spesso non ci sono neanche mai venute, mentre chi vive qui da una vita non può ottenere la cittadinanza».
Tassa anche nel Bellunese
«Con la nuova Finanziaria lo Stato ha voluto darci un contentino», afferma il sindaco di Val di Zoldo Camillo De Pellegrin, «la possibilità di introdurre il contributo da pagare per le pratiche di cittadinanza e le ricerche anagrafiche. Questa cosa non farà venire meno le richieste, le farà solo risultare più costose a chi le presenta, ma comunque lo applicheremo e valutiamo di farlo con l’importo massimo previsto». Stessa decisione è stata presa anche da altri comuni bellunesi, da Borgo Valbelluna a Longarone.
Si paga pure nel Trevigiano
Anche il Comune di Treviso ha deciso di applicare il «contributo amministrativo» di 600 euro, cui si aggiunge il pagamento di 300 euro per le domande di certificati ed estratti non corredate dell’identificazione esatta dell’anno di formazione dell’atto e della data di nascita e del nominativo della persona cui l’atto si riferisce; e il pagamento di 250 euro per domande di certificati fatte con «identificazione esatta» della persona.
E il regolamento è molto stringente: «Qualora non si riuscisse a individuare nessun parente secondo le indicazioni date» specifica infatti il regolamento del tariffario, «non vi sarà alcun rimborso».
L’obiettivo è sempre lo stesso: scoraggiare l’assalto allo Stato Civile registrato negli ultimi anni.
A Treviso, pur a fronte di una sola ventina di cittadinanze riconosciute ogni anno, i dipendenti si sono trovati davanti fino a 20 domande di rilascio di certificati al giorno, il tutto «a fronte di un rilascio circa i 250 estratti ogni anno».
Altri comuni trevigiani come Spresiano e Cornuda hanno rivisto a rialzo i loro costi anticipando la decisione di Treviso. Stessa decisione ha adottato anche il Comune di Castelfranco Veneto.
Allineati i Comuni del Veneto orientale: «Si paga»
Anche i 22 Comuni del Veneto orientale hanno deciso di “tassare” queste richieste, approfittando della possibilità concessa dall’ultima Legge di bilancio. «Tutti i 22 Comuni del Veneto orientale hanno aderito a questa possibilità offerta dal relativo decreto», conferma Alberto Teso, sindaco di San Donà e presidente della conferenza, «Tutti gli amministratori hanno condiviso questa scelta. Abbiamo molti uffici oberati da richieste di certificati che possono risalire anche alla seconda metà dell’Ottocento.
Servono per ricostruire la genealogia di immigrati da ora ad allora, per arrivare a dimostrare il diritto di sangue dei discendenti di avere la cittadinanza italiana. Come sindaci, riceviamo tutti segnalazioni di questo tipo dagli uffici.
È facile intuire che dispendiosa ricerca d’archivio viene imposta agli uffici per ricostruire certificati di nascita o magari di matrimonio che risalgono a un secolo e mezzo fa».
Oltre 24 mila richieste in tribunale a Venezia
Non solo sono i Comuni a essere subissati di richieste. Dire che il Tribunale civile di Venezia sia oberato da richieste di riconoscimento della cittadinanza italiana – avanzate da chi in Italia non ha mai messo piede, ma vanta avi con sangue “veneto” fino alla settima generazione – è un eufemismo.
«Al momento la Sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale ha iscritto 24.400 richieste, quasi tutte provenienti da cittadini residenti in Brasile: rappresentano la metà di tutte le richieste presentate in Italia per il riconoscimento della cittadinanza “ius sanguinis”, di sangue, ovvero da chi ha nel suo albero genealogico avi veneti», osserva il presidente del Tribunale, Salvatore Laganà.
Dal giugno 2022 – ovvero da quando è entrato in vigore il decreto legge 206/2021, che ha stabilito la nuova procedura che prima passava per i Comuni – la Sezione Venezia è sede distrettuale per tutto il Veneto e di quelle 24 mila pratiche e oltre è riuscita a smaltirne 5.800. Ma man mano ne arrivano di nuove.
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