il 10 Febbraio 2025 si è tenuta la conferenza “Detenzione amministrativa e CPR – istituti patogeni che violano i diritti delle persone migranti”. Un incontro organizzato da FP GGIL Lombardia in collaborazione con Mai più lager – No ai CPR che, nel susseguirsi degli interventi, si è rivelato essenziale per un ritratto dal vero dei luoghi e del sistema di detenzione amministrativa.
“In questo momento”, ha esordito Bruno Zecca (Segretario FP CGIL Medici e dirigenti SSN Lombardia), “crediamo che i binari su cui far scorrere questo nostro dibattito siano quello dell’informazione, quindi apprendere quelli che sono i termini giuridici della detenzione amministrativa, ma anche capire quali sono i limiti, i diritti, e i doveri dei professionisti sanitari che si dovessero trovare a fronteggiare situazioni in cui viene richiesta l’idoneità all’ingresso in questi CPR”.
Tra le numerose argomentazioni, tutte connotate da un peso specifico e significativo, ne è emersa una che, in precedenza, era rimasta nell’ombra: la responsabilità di medici e infermieri all’interno di questo sistema. Una responsabilità che, prima di sfiorare motivazioni sanitarie, si radica in questioni di responsabilità etica e civile.
Le scelte operate dal personale sanitario assumono, in questo contesto, una rilevanza determinante nel futuro dei soggetti costretti alla detenzione. Pertanto, il personale che opera all’interno dei processi di reclusione amministrativa ha, il qualche modo, il potere decisionale riguardo le potenziali sorti psicofisiche delle persone migranti.
Ma in che modo è possibile affermare e confermare tali constatazioni? Al fine di comporre una risposta che esaudisca in modo coerente l’intera questione è prima necessario tratteggiare gli snodi portati alla luce dagli interventi di Teresa Florio (Rete mai più lager-no ai CPR) e Nicola Cecco (infettivologo penitenziario, SIMM, rete mai più lager- no ai CPR).
Contesto giuridico della detenzione amministrativa
La conferenza, come sottolinea Florio al principio del suo intervento, si rivolge all’intero comparto sanitario, e si propone di fornire “gli strumenti per poter valutare l’approccio nei confronti di questo istituto (…) in modo di poter agire con consapevolezza, in scienza e coscienza”.
Florio, il cui discorso ha il compito di chiarire il contesto giuridico di CPR e detenzione amministrativa, ci ricorda che “in realtà è difficile anche collocare l’istituto nel corpo del nostro ordinamento” . Infatti l’unico articolo che si occupa dei CPR è l’articolo 14 conosciuto come turco Napolitano 1998 il quale ha introdotto quelli che allora si chiamavano centri di permanenza temporanea.
Questo articolo dispone che la persona immigrata illegalmente non in possesso di cittadinanza italiana sia trattenuta per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino, Una tempistica che ha subito variazioni a seconda del governo in carica e che oggi raggiunge addirittura i 18 mesi. Si tratta di una privazione della libertà in assenza di reato, nel quale le persone vengono detenute con una tempistica determinante delle condizioni psicofisiche di coloro i quali vi sono sottoposti.
Infatti, oltre al diritto alla libertà viene limitato il diritto alla salute, sicché questi centri riversano soggetti fragili da un punto di vista fisico e psichico in condizioni igieniche e sanitarie pessime.
Nel regolamento viene affrontata la questione dell’idoneità per i CPR, in cui viene esposto il principio per cui possano entrare in tali istituti solo i soggetti che sono prima stati sottoposti, in strutture pubbliche, a visite che ne accertino le condizioni psicofisiche attraverso controlli a 360 gradi. Tuttavia, queste visite non esaudiscono tali criteri e sottopongono le persone a superficiali visite della durata di pochi secondi, di fatto inadatte a giudicare lo stato di salute di una persona. L’incapacità di offrire un servizio adeguato non è da ricercarsi nelle intenzioni del personale sanitario ma nelle modalità intrinseche al sistema stesso della detenzione amministrativa.
Emerge da questi elementi una violazione dei diritti umani, alla quale, peraltro, le vittime non possono legalmente appellarsi.
CPR come istituto patogeno
Secondo gli studi effettuati per monitorare il contesto e il funzionamento dei CPR, questi luoghi si sono rivelati come patogeni, dunque come ambiente portatore di problematiche legate alla salute. Nicola Cecco ci fa sapere che a differenza di quanto si pensa il patrimonio di salute non si riduce durante il processo di migrazione ma durante la permanenza nei paesi di arrivo, e a sostegno di questo ci sono diversi recenti studi. delle All’interno del contesto della detenzione amministrativa, spiega, si presentano “determinanti sociali che contribuiscono a peggiorare gli esiti di salute”.
Tale situazione è stata anche denunciata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il cui ufficio regionale nel 2022 ha pubblicato un rapporto che afferma che all’interno dei centri di detenzione la salute delle persone migranti detenute è ha rischio per tutti gli outcam di salute, e che tali centri debbano essere considerati come ultima risorsa, come ultima soluzione.
Cecco considera quella dell’OMS una posizione molto forte che dovrebbe portare la società intera a un’attenta riflessione.
La salute all’interno dei centri di permanenza per i rimpatri non è rispettata la tutela della salute psichica e fisica: degrado igienico sanitario; degrado sociale: dove all’interno dei bagni non è garantita la privacy e gli spazi aperti sono costernati di gabbie, muri, inferriate, i quali conferiscono una sensazione di oppressione; regime di abbandono, dove le persone perdono l’orizzonte di vita: i migranti vengono lasciati all’interno delle strutture senza possibilità di comunicazione con l’esterno, non hanno svaghi, nulla che possano fare. Gli vengono somministrati psicofarmaci in modo che “non creino problemi”; Si tratta di “luoghi socialmente vuoti”, come da definizione di Cecco.
L’insieme di questi fattori porta a un alto tasso di conseguenze infettive e conseguenze psicologiche: le persone detenute, peraltro già psicologicamente fragili, vengono sottoposte a fattori di stress estremo, dove la propria persona viene annullata. Tale contesto posta a reazioni come aggressività e suicidio.
risulta evidente come come l’insieme del sistema di detenzione amministrativa non sia in grado di mantenere adeguate le condizioni di chi ci abita, ed anzi sono il maggior fattore scatenante della patologia.
Consapevolezza della responsabilità
Alla luce di queste evidenze, come sostiene Teresa Florio il personale sanitario ha “in mano uno strumento molto prezioso, e in un certo senso pericoloso, per quarto riguarda la vita di una persona”. All’interno del meccanismo di inserimento della persona immigrata nei CPR, viene convocato personale medico della struttura pubblica a partecipare alla selezione delle persone destinate a questi luoghi, e attraverso una firma ha il potere di bilanciare un peso nel futuro della persona che stanno esaminando.
la responsabilità si rivela in questo senso politica, ma può tradursi anche in responsabilità penale laddove, come già accaduto, un soggetto psicologicamente fragile viene considerato idoneo alla struttura, dove poi però sarà portato ad azioni di suicidio.
Risulta fondamentale, riconoscere tale potere, e assumere consapevolezza della responsabilità del proprio ruolo all’interno di un contesto tanto fragile e complesso. Pertanto diviene un dovere per il personale sanitario quello di mantenersi informati in modo approfondito sul contesto dei CPR, della detenzione amministrativa e di tutte le procedure che li caratterizzano.
Bisogna che ci si attivi e si operi in modo giudizioso ed etico, con razionalità e profondità d’animo: non è una questione di numeri o di mera illegalità ma di diritti fondamentali dell’uomo.
Alessandra Familari
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