Il creatore della Rainbow: «È stata durissima per l’incoscienza di voler fare uno studio in Italia 30 anni fa, era tutto affidato solo al mercato. Abbiamo dovuto lavorare sempre con lo stress di “o è buona la prima oppure non ci sarà una seconda”»
Domani, mercoledì 12 febbraio alle ore 10 nella Sala della Regina a Montecitorio si terrà un convegno dal titolo «Il caso vincente di Rainbow – la sfida italiana all’industria globale dell’intrattenimento». Ospite il fondatore di Rainbow, Iginio Straffi, 59 anni, padre delle fatine del Winx Club, una serie animata tutta italiana che è riuscita a imporsi nel mercato internazionale. Ma Winx Club non ha rappresentato altro che l’inizio di una storia di grande successo, il motore di una macchina perfetta, messa in piedi con scelte rivoluzionarie e grande audacia, un’avventura che Open si è fatta raccontare dalla voce dello stesso Straffi.
Come comincia la sua storia? Da piccolo cosa voleva fare da grande?
«Da bambino avevo la passione per i fumetti, ho scritto e disegnato decine e decine di fumetti per me e i miei amici. Finché, in quella che chiamo la mia prima vita, ho avuto anche la fortuna di pubblicare tanti fumetti per case editrici importanti e questa è stata la prima soddisfazione. Ho capito che magari la mia creatività poteva essere apprezzata. Il sogno era quello di parlare a un pubblico più ampio e quindi mi sono rivolto alla televisione e al cinema. Il fumetto si rivolge a una nicchia e purtroppo negli ultimi venti anni è in grande calo, perché i ragazzi di oggi sono più attratti dai videogiochi e preferiscono i cellulari o i tablet al fumetto»
Quando ha cominciato a lavorare con il cinema animato?
«Lì mi è venuta l’idea di provare a creare in Italia qualcosa che potesse raccontare le nostre storie a tutto il mondo. Così è nata la Rainbow, con tanti sogni e tanta incoscienza, sono partito con i risparmi dei fumetti e dei lavori fatti all’estero per andare alla ricerca di questo pubblico globale attraverso i cartoni animati prima e live action ora».
Come si arriva a creare una realtà così competitiva a livello internazionale su un campo che è sempre stato appannaggio di altri Paesi come Giappone e Stato Uniti?
«In Italia mancava completamente tutta l’addizione di prodotto seriale e sicuramente anche un prodotto che potesse essere declinato in merchandising come siamo riusciti a fare noi, quindi è stata durissima perché oltre alla competizione degli altri grossi gruppi organizzati non avevamo nemmeno la credibilità con i player importanti internazionali quindi abbiamo fatto veramente fatica. Siamo riusciti a costruirci quella credibilità grazie al successo dei nostri personaggi e all’impatto che hanno avuto con i bambini, una credibilità che ci ha portato poi a realizzare prodotti sempre più sofisticati e a conquistare il pubblico di tutto il mondo»
Quali sono state le difficoltà maggiori in quel periodo?
«È stata durissima per l’incoscienza di voler fare uno studio in Italia 30 anni fa, vuol dire che per ben altri 15-20 anni siamo andati avanti senza nessuna tax credit, senza nessun incentivo statale per le produzioni televisive. Noi abbiamo fatto soprattutto serie tv e cartoni ed era tutto affidato solo al mercato, quindi se hai successo vai avanti, se non piace non hai la possibilità di fare magari un’altra serie. Abbiamo dovuto lavorare sempre con lo stress di “o è buona la prima oppure non ci sarà una seconda”, era quella la nostra situazione»
Cosa l’ha convinta del progetto Winx Club?
«La costruzione di questa serie che ci ha preso tantissimo tempo, abbiamo cercato di impegnarci a fondo per creare qualcosa di molto originale, nuovo sul mercato e con la sofisticazione giusta per il target. A livello di storytelling era molto innovativa questa storia orizzontale per cui la protagonista cresce, ogni episodio ha una sua storia ma fa parte di un percorso molto lungo. Addirittura io avevo previsto tre serie di 78 puntate, per avere un ciclo, una serie di rivelazioni e di crescita di un personaggio che aveva bisogno di questa ampiezza di racconto. Fin dall’inizio poi la scelta di inserire 10-15 canzoni originali per ogni serie che poi andavano cantate nelle varie lingue»
Un progetto ambizioso…
«Un’altra cosa che ci ha messo difficoltà è stata la scelta di avere personaggi che si cambiassero a seconda dell’ambientazione, se vanno a scuola o vanno a fare ginnastica o da altre parti, perché questo comporta dei costi molto importanti nell’animazione. Cambiare sempre vuol dire che non si ricicla nulla, non si riesce ad usare lo stesso personaggio. Tante piccole cose che però insieme hanno formato un cocktail molto molto originale che ha fatto presa nelle bambine e bambini di tutto il mondo. Noi sapevamo che stavamo facendo qualcosa di molto molto forte, però chiaramente poi lo sforzo poteva anche non essere ripagato se questa storia, questi personaggi, non avessero fatto breccia nel cuore del pubblico»
Lei quando ha cominciato pensava di sviluppare un progetto destinato ai bambini?
«Noi siamo partiti con le Winx più di vent’anni fa, all’epoca i cartoni per adulti erano fatti solo in America e in Giappone e avevano poco spazio nei vari broadcaster europei, quindi all’epoca abbiamo fatto un prodotto pensato per un target di bambini 8-12 anni. Adesso c’è una maggiore propensione a produrre serie per grandi, in Italia c’è l’esempio di Zerocalcare, noi abbiamo qualche progetto in cantiere, però i prossimi che usciranno saranno ancora prodotti per ragazzi»
È vero che ha cestinato la puntata pilota della serie?
«Sì, questo è un esercizio folle che però ogni tanto bisogna fare. Perché il problema di chi produce è che essendo molto coinvolto ogni giorno, non vedi più i difetti, non riesci a capire gli errori, né tuoi né dei tuoi collaboratori. Quindi ho avuto questo momento di lucidità dovuto al fatto che avevo passato un paio di settimane lontano dal progetto e ho avuto questo flash in cui ho capito che quello che avevamo era bello ma non abbastanza. Quindi siamo ripartiti da zero e ho coinvolto nel team anche una disegnatrice di moda professionista che ha dato input importanti per migliorare soprattutto la parte visiva della serie. Abbiamo rifatto anche il design delle scenografie, che non erano più in linea con il look dei personaggi rifatti, quindi è stato rifatto tutto a livello di visual»
Lei nel corso degli anni è andato anche a recuperare molti talenti italiani che per lavorare in questo ambito erano emigrati all’estero…
«Sì, questo è stato un grande vanto per noi, essere riusciti a convincere dei talenti che già erano persi per il mondo a rientrare in Italia tra Loreto e Roma. Così siamo riusciti a formare un team molto forte tra i ragazzi locali e questi che avevano già fatto esperienze di lavoro all’estero. Si è creato un bel clima e soprattutto noi abbiamo rispettato l’impegno verso queste persone che avevano il dubbio della continuità. Pensavano: “ci fate tornare e poi magari perdiamo tutte le opportunità che ci siamo creati in America”»
L’America è ancora la terra dei sogni per chi vuole occuparsi di animazione?
«In America ci sono molte opportunità, ma sono tutti lavori come il mio nella mia esperienza parigina di nove mesi: un anno, un anno e mezzo, a seconda della durata della produzione. A differenza dell’Italia fanno tutti i contratti a progetto, sono pochissimi i tempi indeterminati, noi diamo un lavoro fisso ben pagato per anni, non per nove mesi o un anno, ci siamo impegnati per riuscire ad avere questa continuità e così è stato, abbiamo appunto persone che sono rientrate da più di vent’anni che ancora lavorano con noi»
Altra cosa interessante: lei ha sempre reinvestito ciò che guadagnava per far crescere l’azienda ancor prima che arricchirsi lei personalmente…
«Già, altri imprenditori si prendono i dividendi e se li mettono in tasca e si assicurano il futuro, io invece ho poco interesse a far crescere il mio conto in banca, preferisco la soddisfazione di vedere crescere il team. Con i primi guadagni abbiamo formato la Rainbow a Roma e la Rainbow Academy. Poi abbiamo costruito il quartier generale Rainbow qui da noi (Gualdo, nelle Marche), con piscine, campi da tennis, palestre e quant’altro, per i collaboratori, un campus su misura per questo tipo di attività che facciamo noi. Poi con la cassa generata dalle Winx abbiamo investito tante decine di milioni nell’acquisto della società nordamericana Bardel Entertainment, che ha aggiunto qualità e quantità al nostro gruppo. E poi altri utili li abbiamo investiti nell’acquisto della Colorado Film, questa realtà tra Roma e Milano che produceva soprattutto programmi e film con comici e nel corso degli ultimi otto anni l’abbiamo trasformata in una produzione di tanti generi diversi tra le prime a livello di successi in Italia nel live action»
Oggi il caso Rainbow viene discusso in un convegno a Montecitorio in cui si “analizzeranno in profondità i motivi del successo internazionale di Rainbow”…saprebbe dirci in due parole quali sono i motivi del successo internazionale di Rainbow?
«Io credo che il nostro successo sia sicuramente dovuto alla grande passione del sottoscritto ma anche del team molto valido che si è formato in questi anni. Questa passione si è poi tradotta in metodo, in attenzione al dettaglio e nella ricerca di una qualità che può competere con i progetti dei primi della classe, che siano americani o francesi o altri. Mettiamo grande passione e amore in quello che facciamo e questo alle volte ci porta ad andare oltre quelli che sono i limiti di altri, che magari si accontentano»
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link