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L’alternativa ai Trump non possono essere i Biden


di Raúl Zibechi

Per una ragazza di Gaza, della Siria o del Chiapas, non esiste un “male minore” perché non
esiste una differenza fondamentale tra un Trump e un Biden. Naturalmente, dice Raúl Zibechi,
ognuno può trovare nel proprio ambiente i nomi che incarnano l’uno o l’altro…

Come andare oltre l’idea che basta sostituire i governanti per cambiare in profondità l’ordine
delle cose? Come evitare, pensando ad esempio all’America del Sud, di ripetere gli errori di
movimenti come i piqueteros argentini e i movimenti brasiliani che sono rimasti ingabbiati e
indeboliti nelle istituzioni? Insomma cosa diciamo alla ragazza di Gaza, della Siria, del Chiapas
e di molti altri angoli del mondo?

L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca sta muovendo migliaia di attivisti che osservano con
ragionevole stupore alcune delle sue misure, si rivolgono ai social network per formulare le loro
critiche e alcuni scendono anche in piazza. È un fenomeno simile a quello che accade in Argentina
sotto Javier Milei, dove centinaia di migliaia di persone hanno manifestato giorni fa in cortei
antifascisti e antirazzisti e contro il suo discorso omofobo.

È importante resistere alle politiche di Trump, Milei e di altre figure come Bukele, perché stanno
distruggendo le organizzazioni del campo popolare, limitando la capacità di mobilitarsi e persino di
esprimere le proprie opinioni, generando un clima di vendetta sessista e razzista.
La repressione contro la resistenza combinata con l’esacerbazione dell’estrattivismo dipinge
un panorama complesso che può riportare i movimenti indietro di diversi decenni.

Tuttavia, la resistenza ai Trump non può farci dimenticare le terribili politiche dei Biden, la
loro responsabilità per crimini e genocidi, l’intensificazione della repressione combinata con la
cooptazione delle organizzazioni sociali. Una precisazione: non ho dubbi che Trump, e Milei,
appartengano alla stirpe dei “mostri” a cui si riferiva Gramsci quando sottolineava che “il vecchio
mondo sta morendo e il nuovo mondo fatica a nascere”. Qui sta uno dei nodi del problema che
intendo discutere.

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Non basta opporsi ai mostri, senza avere una politica alternativa a quello che è stato chiamato il
“male minore”.

Per una ragazza di Gaza, della Siria, di una comunità contadina del Guerrero o del Chiapas,
non esiste un “male minore” perché non esiste una differenza fondamentale tra un Trump e
un Biden. Ognuno può trovare nel proprio ambiente i nomi che incarnano l’uno o l’altro.
La differenza principale, se non l’unica, tra queste due versioni di dominio è che sono due
modi per prolungare la vita del capitalismo.

Ognuno enfatizza un aspetto, è più o meno ipocrita e usa il linguaggio ambiguo in dosi diverse.
Si cerca di confrontarsi. L’altro coopta. In entrambi i casi con la pistola puntata alla tempia.
Non credo sia utile citare così frequentemente il concetto/aggettivo “fascista”.
Ho due obiezioni. Se tutto ciò che rifiutiamo è fascismo, in definitiva nulla lo è.

Ogni concetto o idea forte deve essere utilizzato in modo limitato a quanto descritto e analizzato.
Usarlo come aggettivo è una cattiva pratica. Anche Milei usa l’aggettivo “fascista” per riferirsi a chi
manifesta contro la sua omofobia e il suo rifiuto del femminismo e dei diritti dei dissidenti sessuali.

Il fascismo, invece, è un’esperienza europea, genocida, traumatica, forse la peggiore che le
classi popolari di quel continente abbiano vissuto nella loro storia recente. Il nostro popolo ha
sperimentato la conquista, la catastrofe demografica, la scomparsa dei gruppi etnici, la distruzione
intenzionale dei valori, degli oggetti e delle creazioni culturali dei popoli nativi.

Per questo non credo che ciò che hanno vissuto i popoli mesoamericani, andini e amazzonici in
questi cinque secoli sia paragonabile alla barbarie fascista.
È diverso, né peggiore né meno grave, ed è per questo che non dovremmo applicare concetti nati in
altre geografie. Non cadiamo nel colonialismo nell’uso delle idee.

La questione di fondo è che dietro la necessaria mobilitazione contro i Trump ci deve essere una
strategia che non si limiti a sostituire i precedenti governanti al governo, con la stessa o simile
maglia.

Kamala Harris invece di Trump è un’opzione terribile, perché è più o meno la stessa cosa, ma con
un sorriso per affascinare clienti/elettori.

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La mancanza di strategie alternative è uno dei principali tratti distintivi della crisi della
sinistra. L’altro è la scomparsa della volontà anticapitalista.
Adesso si accontentano di abbassare di qualche punto disoccupazione e povertà, approvando
alcune leggi sui diritti, ma sappiamo che il modo ciclico di funzionare di questa economia li farà
rialzare poco dopo.

Tutte le “conquiste” del progressismo sono evaporate durante la crisi post-2008, un compito che è
stato portato a termine dai governi di destra.
Se non ci sono cambiamenti strutturali, ed effettivamente al momento non ci sono, tali conquiste
vengono spazzate via dal vento dell’accumulazione per espropriazione, che funziona sotto qualsiasi
governo. Questo resta il nodo da sciogliere.

Come uscire dall’oscillazione democratico-repubblicano, progressismo-conservatorismo?
Questa logica ferrea ha intrappolato intellettuali e movimenti, che spesso non trovano risposte o non
aderiscono al “male minore”.

Se non è possibile uscire dal pendolo democratico-repubblicano e da tutto ciò che ne consegue in
ogni geografia; se non è possibile uscire dal dilemma Biden-Trump, e qualunque cosa accada in
ogni territorio, cosa diciamo alla ragazza di Gaza, della Siria, del Guerrero o del Chiapas?
Lasciamo che si accontentino dei crimini del “male minore”?

L’evoluzione dei movimenti in basso parla da sola.
La forza destituente di cui disponevano si è indebolita sotto i governi progressisti, poiché
hanno optato per programmi sociali e una parte dei loro leader si è inserita nelle istituzioni.
Poi, quando arriva l’estrema destra, non hanno più la forza di resistere e ribellarsi.
Questo è esattamente quello che è successo con i piqueteros argentini e con i movimenti
brasiliani, salvo alcune eccezioni.

Con il potere destituente indebolito, non hanno altra scelta che piegarsi alle istituzioni e
scommettere tutto sulle elezioni. Non c’è equilibrio né autocritica.
Nel frattempo, l’espropriazione si approfondisce e le basi sociali più colpite dal modello finiscono
per prendere le distanze dai movimenti e dalle forze politiche che avevano sostenuto.
Milei è figlio di questa logica.

Le alternative al dilemma Trump-Biden, o i nomi da essi preferiti, non si troveranno mai negli
interstizi delle istituzioni statali, ma nella resistenza.

L’articolo originale può essere letto qui



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