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Migrazione sanitaria, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto le migliori



Si chiama migrazione sanitaria il fenomeno che porta milioni di italiani a spostarsi in un’altra Regione per ricevere cure adeguate alle loro patologie. La migrazione interregionale è in crescita; nel 2022 è costata 5 miliardi, nel 2021 si era fermata a 4,25 miliardi.

La Fondazione Gimbe nel suo report sulla migrazione sanitaria rivela che il divario Nord Sud si aggrava, le Regioni che accolgono più pazienti da fuori regione sono Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, che raccolgono da sole il 94,1% del saldo attivo della mobilità sanitaria, “ovvero la differenza tra risorse ricevute per curare pazienti provenienti da altre Regioni e quelle versate per i propri cittadini che si sono spostati altrove.” Le Regioni col maggiore saldo negativo si trovano al Centro e al Sud: Abruzzo, Calabria, Campania, Sicilia, Lazio e Puglia, che insieme rappresentano il 78,8% del saldo passivo. Un regalo alla sanità privata infatti “più di 1 euro su 2 speso per ricoveri e prestazioni specialistiche fuori Regione finisce nelle casse della sanità privata accreditata.”

-Romagna e Veneto, si confermano le Regioni più attrattive. Questi numeri – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – certificano che la mobilità sanitaria non è più una libera scelta del cittadino, ma una necessità imposta dalle profonde diseguaglianze nell’offerta dei servizi sanitari regionali. Sempre più persone sono costrette a spostarsi per ricevere cure adeguate, con costi economici, psicologici e sociali insostenibili».

Oltre alla fuga da Sud a Nord esiste anche una mobilità di prossimità: le Regioni maggiormente interessate sono: Lazio (11,8%), Campania (9,6%) e Lombardia (8,9%), “da sole rappresentano quasi un terzo della mobilità passiva, con un esborso per le Regioni, che devono ripagare le spese sostenute dai propri residenti in altre Regioni, superiore ai € 400 milioni ciascuna.Tra Nord e Sud secondo GIMBE non c’è più solo un divario ma una frattura strutturale.

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Il presidente di GIMBE mette in guardia sulle conseguenze della legge sull’autonomia differenziata che finirebbe con acuire le differenze già insostenibili tra prestazioni e qualità della sanità pubblica: “Il divario tra Nord e Sud non è più solo una criticità, ma una frattura strutturale del Servizio Sanitario Nazionale – avverte Cartabellotta – che rischia di aggravarsi con la recente approvazione della legge sull’autonomia differenziata. Una riforma che, senza adeguati correttivi, finirà per cristallizzare e legittimare le diseguaglianze, trasformando il diritto alla tutela della salute in un privilegio legato al CAP di residenza”.

Il fenomeno ha implicazioni sulla vita dei pazienti e dei familiari costretti a lungi spostamenti e a un declino della qualità della vita. Di fatto si creano così cittadini di serie B per i quali il diritto alla cura è ostacolato a causa del luogo di residenza.

“Garantire il diritto alla tutela della salute su tutto il territorio nazionale significa evitare che intere aree del Paese continuino a esportare pazienti e miliardi di euro, mentre altre consolidano i propri poli d’eccellenza, spesso rappresentati da strutture private accreditate. In assenza di investimenti mirati, coraggiose riforme, in particolare su Piani di rientro e commissariamenti, e politiche di riequilibrio, la mobilità sanitaria finirà per penalizzare sempre più i cittadini più fragili, minando alle fondamenta l’universalità del Servizio Sanitario Nazionale. Infine, senza adeguate misure correttive, l’autonomia differenziata affosserà definitivamente la sanità del Mezzogiorno, con un effetto boomerang sulle Regioni del Nord più attrattive, che potrebbero trovarsi in difficoltà nel garantire un’adeguata erogazione dei LEA ai propri cittadini residenti”, conclude Cartabellotta.





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