Siamo arrivati a settantacinque anni, quelli del “Festival della Canzone Italiana”, e poiché l’Italia è un paese a crescita zero, gli anziani fanno furore.
Vale anche per il Festival che come sempre è il principale argomento di conversazione in Febbraio, per una settimana, che piaccia oppure no.
La canzonetta, la musica pop, segna il ritmo del tempo in cui si vive, con i suoi mille rivoli, le sue incongruenze e le sue fissità, che diventano certezze in moltissimi casi, tanto da non potere essere eluse.
Eppure proprio perché una canzone è un fatto privato, viscerale, nessuno ammetterà a cuor leggero di ascoltare un genere musicale piuttosto che un altro, figuriamoci se si può dichiarare sventatamemente di seguire, addirittura, il Festival, soprattutto di questi tempi che la musica italiana sembra defunta (ricordiamoci sempre che in Italia gli anziani abbondano e gli anziani si sa sono nostalgici, al punto di sembrare già dipartiti).
Eppure Sanremo rimane, dal punto di vista commerciale, uno dei programmi più importanti per la Rai, che grazie alla raccolta pubblicitaria può poi approntare altro, per soddisfare anche palati più esigenti.
Almeno cosi dovrebbe essere.
Quest’anno addirittura è stata chiamata in causa “l’Accademia della Crusca” per fare analizzare i testi e per dare così alle canzoni una “patente di rispettabilità”.
Solo che nessuna canzone è sembrata così eccezionale da superare la sufficienza.
Non c’è da stupirsene, piuttosto questo controllo dimostra quanto siamo ingessati dentro, al punto di volere ingessare la musica pop, che è la figlia ribelle e pure un po’ volubile della musica classica, e che da sempre va e fa come le pare. Spesso anche a dispetto dello stesso mercato per cui è creata, anche perché la canzonetta fa da “sottotesto” a qualsiasi vita, anche alla vita di quelli che la musica non l’ascoltano perché non hanno a cuore se stessi, figuriamoci se seguono Sanremo, ritenuto troppo “mediocre” per essere capace di accendere un’emozione. Come se le emozioni fossero sofismi, invece di essere momenti estemporanei e deliberatamente avulsi da qualsiasi altro contesto.
Il Festival anche quest’anno è nel segno di Amadeus, l’ex direttore artistico, perché Carlo Conti, il nuovo direttore artistico, per quanto lo abbia molto più conformato, con l’intento di caratterizzarlo a sua immagine e somiglianza, non ha potuto non tenere conto del fatto che non esiste solo la melodia, e la sua impostazione, abbastanza convenzionale, ma anche tanto altro.
È il suo un festival cerchiobottista. Sa di non potere tornare indietro, benché lui ci provi con la parata di vecchie glorie. Ma nel caso della musica pop le vecchie glorie rimangono tali per il mercato, forse li premieranno i teatri, più in là, la rete proprio no, c’è già troppa gioventù da capitalizzare, ma pure la vecchia gloria necessita di una ripassata di vernice e quindi largo anche a lei.
Del resto in Italia non esiste una cultura musicale, il Festival, come macchina economica, lo sa e cerca di prendere due piccioni con una fava: il nuovo che non è proprio nuovo ed il vecchio che è davvero vecchio.
In questo senso Carlo Conti e tutto il suo seguito ci sono riusciti a fare questa quadratura del cerchio, e sono perfetti nella loro fissità, una fissità che è anche non solo del modo un attimo caotico di proporsi sul palco, esiste un problema di leadership tra loro, ma che è anche dell’abbigliamento, un po’ troppo d’antan.
Ma gli italiani sono antichi e vivono come se fossero ancora negli anni ’80, quando si tratta di andare ad una serata di Gala, qual è il Festival.
Almeno questo pensa il bravo presentatore e i suoi più prossimi compagni: La Clerici e Scotti, li possiamo disilludere?
Poi che basti mezz’ora per ascoltare tutte le canzoni in gara e buttarle quasi tutte in mare è ininfluente. Ognuno, come sempre, dai tempi antichi a quelli di Pippo Baudo, si fisserà su un testo e su un cantante, e condurrà la propria battaglia, speranzoso della vittoria del proprio idolo, al netto della stessa canzone, che in moltissimi casi non supererà il terzo ascolto.
Eppure al di là di quello che pensa la gran parte degli italiani oggi i brani e i rispettivi cantanti vincono o perdono non a Sanremo ma su Spotify, su Youtube, e questo è immediato, e dà da subito un’idea di cosa davvero funzioni a Sanremo per il pubblico, che sceglie ad orecchio, che nel caso della musica pop corrisponde alla pancia. Per quanto riguarda invece tutti quelli che arrancano, cantanti e testi, avranno comunque la possibilità di andare in giro per concerti e serate e quindi riusciranno a lavorare per l’anno che verrà ed è già venuto.
Se lo si legge così, questa lettura è quella più vicina alla realtà di questa macchina musicale/ commerciale, se ne comprendono le necessità e anche le urgenze, e si comprende pure come la musica pop sia un settore che cammina molto più spedito di ciò che sembra.
Il suo ritmo è quello del mondo reale, che non coincide con chi ascolta sempre e solo le stesse cose e a quelle fa riferimento ogni volta che ascolta altro. Come se fosse possibile, ma con la musica si è conservativi, proprio perché è il mezzo più rapido e privato per fare affiorare le emozioni.
Diventa quindi evidente come esistano dei cantanti macrocategoria, vedi “Giorgia” e le sue sotto emule, un discorso che vale per qualsiasi altro artista che sia sulla cresta dell’onda da tempo.
Un po’ perché i sottoemuli devono crescere anche loro commercialmente, un po’ perché serve creare l’illusione di una certa varietà, che comunque non c’è. Se così fosse la smetteremmo di ascoltare sempre le stesse lagne e le stesse voci in salse diverse, con timbri scarsamente accattivanti, arrangiati in maniera mediocre.
Un discorso a parte va fatto per l’ Hip Hop che quest’anno è rappresentato da Shablo con Guè, Joshua e Tormento, con la canzone dal titolo “Le mia parola”.
Guè ci ha preso gusto ed è tornato a Sanremo ad accompagnare Shablo, con sonorità più classiche. Venerdì duetteranno con Neffa in mash-up, una cosa questa sì nuova.
Per concludere c’è la guerra dei mondi ovvero Fedez vs Achille Lauro.
Tra i due preferisco Fedez ma stanno andando a mille entrambi in rete, e non solo per questioni di gossip, senza gossip oggi non si è nessuno, ma proprio perché piacciono.
Incarnano lo spirito del tempo e di chi la musica la ascolta tutti i momenti, con la percezione che possa fissare l’attimo e mai più l’eternità, una cosa che di questi tempi non vuole più nessuno.
Ps: il mash – up è una tecnica che consiste nella rielaborazione e nella ricombinazione di materiale eterogeneo, video/audio, per dare luogo a qualcosa di totalment nuovo, insomma Sanremo esiste è vivo e combatte insieme a noi!
Il testo del brano La mia parola di Shablo feat. Guè, Joshua e Tormento:
Testo: Cosimo Fini (Guè), Joshua Bale, Massimiliano Cellamaro (Tormento), Edoardo Medici
Musica: Pablo Miguel Lombroni Capalbo (Shablo), Vincenzo Luca Faraone, Roberto Lamanna, Ernesto Conocchia
Ed. Thaurus Publishing/JT Comunication di Giovanni Tiseo/
Krios Edizioni/Double Trouble Club
È una street song
Per dare quello che ho
Brucerò fino alla fine
Chiuso tra cemento e smog
È una street song
Qui la gente muore e vive
Senza soldi e alternative
L’unica cosa che so
24h 7 su 7 no stop
Siamo in sbatti sbatti per arrivare al top
Tu fai chatty chatty io faccio parlare il mio flow
Non ti danno abbracci qua sei da solo nel block
Io le mando baci lei che per me è la più hot
Mi dicevi taci, ora però sono il goat
Quaggiù odi e ami a giudicarmi è dio
Amo la mia mami, amo sti money e l’hip-hop
Rip. ritornello
Suona dal basso questo gospel
È la voce di chi raccoglie le forze
Nonostante tutto mette da parte i forse qui vince la legge del più forte
È rap è blues e gin & juice
Fai il mio nome tre volte beetlejuice
Suona ancora più forte bad and boujee
Rock’n’roll lo sai party & bullshit
La voce del blocco suonerà più forte
Per quelle volte che ci hanno chiuso le porte
E ho solo una word, se dico che hai la mia parola
Lo sanno i miei g, questa è la way that we live
Rip. ritornello
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