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Un’autentica lezione civile l’audizione di Salvo Palazzolo in Commissione parlamentare antimafia





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L’audizione in Commissione parlamentare anti mafia del giornalista Salvo Palazzolo, recentemente sottoposto a misure tutorie a causa della manifesta ostilità della mafia palermitana nei suoi confronti, è stata una autentica lezione civile che è bene restituire senza alcuna pretesa di obiettiva esaustività.

Il ragionamento di Palazzolo ha continuamente tenuto insieme due piani distinti ma fortemente intrecciati tra loro ed è poi efficacemente approdato ad una conclusione-appello rivolta alla politica ed alla società civile.

I due piani distinti ma intrecciati hanno riguardato da un lato la strategia “alta” delle mafie in Sicilia e non soltanto, dall’altro una collezione di esempi puntuali su cui riflettere.

La strategia “alta” di Cosa Nostra e non soltanto, ruota attorno a due parole: RITORNO e RELAZIONI. Il “ritorno” è rappresentato per quanto riguarda nello specifico di Cosa Nostra dal rientro a Palermo degli “scappati” dalla mattanza corleonese dei primi anni ’80 del secolo scorso, ma anche dal ritorno in libertà di tanti boss e gregari, questa volta non soltanto di Cosa Nostra, che stanno a fine pena o che in ragione di percorsi carcerari “virtuosi” accedono a forme attenuate di esecuzione della pena. Le “relazioni” sono rappresentate dal grande capitale sociale, fatto di antichi legami ed odiose, quanto inossidabili, reputazioni che garantiscono ai sopravvissuti di riallacciare frequentazioni altolocate con professionisti, imprenditori, politici ed offrirle in dote alle nuove reclute, sedotte dalla mala vita.

Questa strategia “alta” ha, secondo Palazzolo, due sviluppi inquietanti, il primo fatto di sofisticate mosse legali volte a sfruttare al massimo le previsioni normative che consentono di abbreviare la pena detentiva o comunque di viverla in condizioni di parziale libertà, il secondo fatto di una vera e propria campagna di comunicazione mediatica volta a rafforzare la legittimazione sociale delle organizzazioni mafiose.

A corredo di questa strategia “alta”, Palazzolo ha inanellato una sequenza di esempi puntuali che impongono una riflessione attenta a chi ha responsabilità pubbliche. Esempi: la “chat” adoperata dai presunti mafiosi arrestati nella maxi operazione di Palermo, “chat” che avrebbe rappresentato una sorta di riedizione digitale della Commissione provinciale di Cosa Nostra, è rimasta inviolata, quindi i mafiosi dispongono di tecnologie così avanzate da neutralizzare gli investigatori del Paese con l’armamentario antimafia più avanzato al Mondo. I “ritornanti” che creano sgomento nei quartieri più difficili, dove lo Stato invece fa fatica ad essere percepito, come all’Acquasanta dove torna a passeggiare Raffaele Galatolo, già killer spietato di quel mandamento, mentre nemmeno una targa ricorda l’eroica ribellione della giovane Lia Pipitone. Gaetano che, pur avendo avuto la grande opportunità del cinema e di una nonna irriducibile, è finito tra i 181 arrestati dell’operazione di Palermo: dove abbiamo sbagliato, si domanda Palazzolo. I faldoni ritrovati nei sotterranei del tribunale di Palermo che raccolgono la monumentale ed attualissima inchiesta “Spatola +” firmata da Giovanni Falcone e imbevuta di riferimenti ai mafiosi-massoni, che bisognerebbe salvare dalla muffa, digitalizzandoli ed offrendoli allo studio degli interessati. La inadeguatezza pericolosa di un farraginoso circuito informativo tra Istituzioni preposte alla valutazione della pericolosità sociale dei mafiosi incarcerati e del loro successivo monitoraggio, per non parlare della insostenibile situazione dell’alta sicurezza, che come ha evidenziato l’operazione più volte citata, fa acqua da tutte le parti, consentendo ai mafiosi di vivere il carcere come una specie di smart-working. Eccetera.

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L’appello conclusivo di Palazzolo?

Basta “bavagli” all’informazione!

I freni ed i filtri messi dall’attuale maggioranza al rapporto tra inquirenti e stampa, pur motivati dalla tutela della presunzione di innocenza, finiscono col fare il gioco delle mafie che vogliono il silenzio della cronaca e la gran cassa della (loro!) propaganda.

Palazzolo ha quindi concluso invocando, proprio con le parole di Paolo Borsellino, che si parli di più e meglio di mafie, ovunque, raccontando quello che sta succedendo e contemporaneamente valorizzando e tutelando coloro che raccontano, spesso in condizioni di grave vulnerabilità.

Grazie Salvo! Dio e la Repubblica proteggano i giornalisti-giornalisti. Sempre.


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