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Suicidio assistito, Tajani attacca. E c’è il primo caso in Lombardia


di
Sara Bettoni

Il leader di FI: io impugnerei la legge toscana

Per la prima volta in Lombardia una paziente ha avuto accesso al suicidio medicalmente assistito con un farmaco letale fornito dal Servizio sanitario nazionale, secondo la procedura stabilita dalla sentenza della Corte costituzionale del 2019 sulla vicenda di dj Fabo. È il sesto caso in Italia.
Al momento non c’è una legge nazionale in materia e solo la Toscana ha da poco approvato una norma sul fine vita, che potrebbe però essere impugnata dal governo. «Se dipendesse da me, sì – risponde a questo proposito il ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia Antonio Tajani —, ne parleremo, ma è strano che chi è contro l’autonomia poi voglia fare una legge in Toscana sul suicidio assistito e in un’altra regione no». In realtà anche Eugenio Giani, presidente pd della Toscana, auspica un intervento governativo. «Mi sembra che ci abbia già pensato la Corte costituzionale a dire che è bene che il legislatore nazionale faccia una legge che sostanzialmente ricalchi quello che abbiamo fatto noi». Per Francesco Rocca, alla guida della giunta di centrodestra del Lazio, «è il Parlamento che dovrà fare il passaggio successivo».

Non mancherà di creare discussioni anche il caso lombardo. La donna era malata di sclerosi multipla progressiva. La patologia l’aveva paralizzata, tanto da costringerla ad essere assistita continuamente da un caregiver. A maggio del 2024 la paziente, accompagnata dall’associazione Luca Coscioni, aveva iniziato il percorso che l’ha portata a porre fine alle sue sofferenze a gennaio di quest’anno. Aveva chiesto all’Ats di riferimento di poter accedere all’iter previsto dalla sentenza 242 della Consulta. Quattro i requisiti fissati dai giudici: irreversibilità della patologia, dipendenza da sostegni vitali, presenza di sofferenze fisiche o psicologiche considerate intollerabili, capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli. Nel corso dei mesi i responsabili dell’Ats e dell’Asst avevano visitato a domicilio la donna, fino alla valutazione della documentazione da parte di un comitato etico, con la conferma della presenza delle condizioni. E il via libera dell’ospedale – una struttura milanese –, dopo un confronto non semplice, a fornire il farmaco letale e gli strumenti per permettere alla paziente di autosomministrarselo a casa, circondata dai suoi cari.




















































Fino all’autunno 2024 erano state presentate agli ospedali lombardi dieci domande per seguire l’iter. Tre erano state ritenute ammissibili. Ma finora non era mai stato dato il farmaco. A gennaio, il cambio di passo. Eppure la Lombardia il 19 novembre scorso ha bocciato il progetto di legge sul fine vita proposto dall’associazione Coscioni, scritto per definire tempi e procedure di quanto stabilito dalla Consulta e sostenuto da oltre 8 mila firme. Da quel testo è partita la Toscana per arrivare alla legge appena varata. La maggioranza del Pirellone, invece, ha ritenuto che la questione potesse essere disciplinata solo a livello nazionale, tesi sostenuta da FdI e a cui si è accodata buona parte del centrodestra, con alcune eccezioni.
Il governatore leghista Attilio Fontana, sebbene non abbia dichiarato il suo voto, ha più volte richiamato la libertà di coscienza sul tema. Pare che, nonostante le sue posizioni personali, un ruolo nel completamento dell’iter della paziente lombarda sia stato giocato anche da Mario Melazzini, direttore generale del Welfare. Malato di sclerosi laterale amiotrofica, vicino a Comunione e liberazione, in uno dei suoi libri ha raccontato che nel 2003 aveva prenotato il suicidio assistito in una clinica svizzera. A quell’appuntamento non si è mai presentato. In vari editoriali ha ricordato che «chiunque si trovi in condizioni di dolore estremo va aiutato a gestirlo e non a eliminare la propria vita». Ma ha anche affermato che non bisogna giudicare chi chiede il suicidio assistito.

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13 febbraio 2025

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