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Fratelli d’Italia è andato in tilt sul conflitto tra Armenia e Azerbaijan


Martedì il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, di Fratelli d’Italia, ha fatto una cosa molto irrituale. Ha scritto una mail a tutti i 200 senatori per indurli a riconsiderare il loro orientamento su una questione molto delicata di politica internazionale: la crisi nel Nagorno Karabakh, una regione contesa da più di trentacinque anni tra Armenia e Azerbaijan.

La mail è solo l’ultimo dei molti comportamenti inusuali che da settimane Cirielli sta assumendo su questa faccenda, tutti più o meno esplicitamente finalizzati a indirizzare il dibattito del Senato in favore della posizione azera. Questo atteggiamento sta creando grossi imbarazzi nella maggioranza di destra che sostiene il governo, all’interno del suo stesso ministero e infine nel suo partito, Fratelli d’Italia.

Tutto è iniziato qualche settimana fa, quando il senatore di Italia Viva (quindi all’opposizione) Ivan Scalfarotto ha elaborato una mozione sul Nagorno Karabakh. Una mozione è un atto d’indirizzo, per la verità piuttosto simbolico, con cui il parlamento esorta il governo a prendere certe decisioni. Il testo della mozione è estremamente cauto, e dà conto della complessità decennale della crisi: il Nagorno Karabakh è una regione all’interno del territorio dell’Azerbaijan, che fino a un anno fa era abitata principalmente da persone di etnia armena e si governava in modo indipendente.

A settembre del 2023 l’esercito dell’Azerbaijan aveva conquistato il Nagorno Karabakh con una breve guerra e costretto 120mila persone armene ad andarsene, con un’operazione definita di pulizia etnica da molti esperti e istituzioni. Il 1° gennaio del 2024 la repubblica separatista del Nagorno Karabakh è stata ufficialmente sciolta. Contestualmente, il governo autoritario dell’Azerbaijan ha avviato un massiccio piano di ripopolamento dell’area coi propri connazionali.

– Leggi anche: È la fine del Nagorno Karabakh?

La mozione di Scalfarotto di fatto si limita a impegnare il governo di Meloni a favorire il dialogo in corso per arrivare poi a colloqui di pace tra Armenia e Azerbaijan, «rendendo l’Italia parte attiva di un processo di normalizzazione e pacificazione della regione che rinunci all’uso della forza, garantisca l’incolumità dei cittadini, assicuri il rispetto della dignità dei prigionieri e i loro diritti».

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Anche per il sostanziale equilibrio che la caratterizza, la mozione ha raccolto subito molte adesioni anche all’interno della maggioranza: oltre a Scalfarotto, l’hanno sottoscritta la presidente della commissione Esteri Stefania Craxi, di Forza Italia, il suo vice Roberto Menia di Fratelli d’Italia, il leghista Marco Dreosto. Poi via via vi hanno aderito in totale 72 senatori di quasi tutti i gruppi parlamentari. In questi casi, è prassi che il governo esprima un parere favorevole o che al massimo, prendendo atto della trasversale condivisione, si rimetta al parere dell’aula, cioè in sostanza assecondi il voto espresso dai senatori senza interferire.

Il senatore Ivan Scalfarotto, di Italia Viva, interviene in aula al Senato, il 16 ottobre 2024 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Invece il 28 gennaio scorso, quando l’aula del Senato è stata chiamata a votare, Cirielli è intervenuto a nome del governo in maniera critica. Ha proposto una riformulazione della mozione: è ciò che il governo fa quando subordina il proprio parere favorevole ad alcune modifiche del testo. Cirielli aveva anticipato informalmente la sua intenzione di apportare qualche correzione, e al di là di qualche piccola lamentela nessuno si era opposto. Solo che nel momento in cui ha esposto la riformulazione si è generato un certo subbuglio: i senatori si sono subito accorti che le modifiche che Cirielli proponeva erano notevoli, numerose e invasive, e di fatto sbilanciavano la mozione verso le posizioni dell’Azerbaijan.

Tra le altre cose, la riformulazione di Cirielli chiedeva di rimuovere il passaggio che parlava dei 120mila armeni costretti a lasciare le loro case e soprattutto, nell’incipit della premessa, voleva specificare che il Nagorno Karabakh è una regione «internazionalmente riconosciuta come parte integrante della Repubblica dell’Azerbaijan»: avrebbe significato proporre fin dall’inizio una visione molto di parte e piuttosto controversa.

Anche per questo Scalfarotto non ha accettato la riformulazione. Ma oltre a lui, hanno protestato anche altri senatori, compresi quelli di maggioranza. Tra gli altri, il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo ha preso la parola per dichiarare che «noi siamo in grossa difficoltà – lo diciamo al governo – a votare contro la mozione che anche noi stessi abbiamo sottoscritto». Per gli stessi motivi anche Craxi si è risentita: un viceministro degli Esteri che esprime parere contrario su una mozione firmata dalla presidente della commissione Esteri è un cortocircuito piuttosto raro e notevole, che tra l’altro può essere visto come una delegittimazione proprio della presidente della commissione competente.

Soprattutto però – ed è il fatto politicamente più rilevante – si sono arrabbiati gli stessi compagni di partito di Cirielli, come Menia e Andrea De Priamo, da sempre sensibili alla causa armena. A quel punto, con un certo imbarazzo, il capogruppo di Fratelli d’Italia Lucio Malan ha proposto e ottenuto di rinviare la discussione, per evitare spaccature troppo plateali nel suo partito e nella maggioranza.

Menia, del resto, esprime una posizione storica e ben radicata dentro FdI: quella di chi si batte per i diritti delle minoranze cristiane in giro per il mondo (e gli armeni sono in grandissima maggioranza cristiani). In virtù di questo principio, Meloni è arrivata a sostenere anche regimi sanguinari e dittatoriali: nel dicembre del 2018 elogiò Bashar al Assad, Hezbollah e l’Iran perché era grazie a loro «se è ancora possibile fare i presepi» e «difendere la comunità cristiana». Anche per questo Meloni ha sempre abbastanza convintamente preso le difese del popolo armeno, denunciando con nettezza le operazioni militari condotte nel Nagorno Karabakh dall’esercito azero.

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Cirielli è invece dichiaratamente sensibile alle ragioni dell’Azerbaijan. Non solo per gli interessi economici che l’Italia ha con quel paese (dalle coste azere del Mar Caspio parte la rete del TAP, il gasdotto che arriva fino in Puglia; e recentemente l’Azerbaijan è stato coinvolto in alcuni investimenti legati al Piano Mattei per l’Africa promosso dal governo di Meloni), ma anche per sua personale convinzione.

Secondo Cirielli, la questione storica è «molto semplice», perché la repubblica seperatista del Nagorno Karabakh «è paragonabile a quella della Transnistria» (al confine tra Ucraina e Moldavia), nel senso che sarebbe uno stato fantoccio creato e protetto militarmente dalla Russia dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Sempre a suo modo di vedere nel 2023 è stato abbandonato dagli armeni «non tanto per l’intervento militare degli azeri, ma perché la Russia non aveva più interesse a proteggerlo».

Per questo, spiega Cirielli, è scorretto parlare di un «territorio conteso», come dice la mozione di Scalfarotto, visto che «ormai neppure il governo armeno lo rivendica» (l’Armenia ha di fatto rinunciato al territorio, denunciando però il “tentativo di pulizia etnica” dei cittadini di origine armena). Quanto alla difesa della minoranza cristiana, per Cirielli «non possiamo discriminare in base alla religione e ignorando il diritto internazionale solo perché alcuni sono cristiani e altri no». Insomma, per quanto ci tenga a ribadire la sua simpatia per il popolo armeno, per Cirielli «nella vicenda specifica hanno ragione gli azeri da tutti i punti di vista». Anche in virtù di questi convincimenti Cirielli ha contestato con un notevole zelo le prese di posizione dell’Unione Europea e i pronunciamenti a favore dell’Armenia da parte del Parlamento Europeo, e ha polemizzato nel merito anche col governo francese.

Ma al di là dei convincimenti personali, l’atteggiamento di Cirielli in questi giorni sta generando tensioni e sospetti. Opporsi in maniera così risoluta alla mozione di Scalfarotto è molto sorprendente per diverse ragioni. Da una parte perché il testo, oltre a essere condiviso da tutti i gruppi, è molto equilibrato («Semmai va detto che è talmente lieve che non si capisce quale significato concretamente poi riesca ad avere», ha osservato Casini, che pure l’ha sostenuta). Dall’altra perché una mozione ha un peso politico per lo più simbolico, e il governo non è tenuto a seguire rigidamente quell’indirizzo, anche se in politica estera questi pronunciamenti sono sempre delicati perché vengono poi analizzati con attenzione dalle varie diplomazie.

Eppure Cirielli non si è arreso, e martedì scorso ha inviato la mail a tutti e 200 i senatori con due allegati. Uno, scritto su carta intestata del ministero degli Esteri, informava che, «temendo di non poter essere personalmente in aula per il prosieguo del dibattito, desidero condividere con Te (…) una ricostruzione puntuale del dossier sotto il profilo storico e del diritto internazionale»; l’altro file, una «nota di inquadramento», offriva in tre pagine una sintesi della annosa questione del Nagorno Karabakh.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il suo viceministro Edmondo Cirielli discutono nell’aula della Camera, il 20 dicembre 2024 (MASSIMO PERCOSSI/ANSA)

Nel frattempo, per salvare il compromesso raggiunto, i vari proponenti della mozione avevano deciso di accogliere almeno in parte alcune delle obiezioni di Cirielli, così da evitare ogni pretesto di conflitto. Scalfarotto, Menia e Craxi hanno lavorato in tal senso. Così mercoledì mattina si è arrivati a una nuova versione condivisa della mozione, ma siccome l’aula era stata impegnata più del previsto su altri provvedimenti la discussione è stata rinviata alla prossima settimana.

Cirielli ha deciso di insistere ancora, nell’attesa. Tra giovedì e venerdì i senatori che promuovono la mozione sono stati nuovamente contattati da alcuni colleghi di Fratelli d’Italia, i quali hanno sollecitato, a nome del viceministro degli Esteri, ulteriori modifiche al testo già rimaneggiato. Tra le proposte di Cirielli c’è anche un’aggiunta in cui si suggerisce una sostanziale equiparazione tra il trattamento subìto dagli oltre 100mila armeni costretti a lasciare le proprie case nel Nagorno Karabakh e le «centinaia di migliaia di azeri» a cui secondo Cirielli «è impedito di tornare nelle proprie case» in Nagorno Karabakh «a causa dei territori minati». Nell’area ci sono moltissime mine, perlopiù collocate dagli armeni per impedire il reinsediamento degli azeri, ma in parte anche eredità dei conflitti precedenti. Cirielli dice di essere convinto che questa mozione non si può approvare, e che Scalfarotto dovrebbe ritirarla per consentire di scriverne una nuova tutti insieme, coinvolgendo lo stesso viceministro.

In tutto ciò, il ministro degli Esteri Antonio Tajani non ha ritenuto di intervenire, nonostante sia stato sollecitato a farlo da vari senatori. Cirielli garantisce di aver agito d’intesa e su mandato di Tajani: «Altrimenti non avrei inviato una lettera su carta intestata del ministero», spiega, aggiungendo peraltro come non sia casuale che su una vicenda spinosa il ministro abbia delegato proprio lui a intervenire in aula, essendo il più esperto dei tre sottosegretari e l’unico con la carica di viceministro. Lo staff di Tajani, a cui il Post ha chiesto da giorni un chiarimento, venerdì ha detto di non avere ancora studiato la faccenda.

– Leggi anche: L’episodio di Globo sul Nagorno Karabakh



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