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Sassari, Nuoro, Isernia e Genova tra le province più penalizzate da una stretta tariffaria Usa generalizzata


In attesa di capire quali saranno davvero le eventuali nuove imposizioni tariffarie introdotte da Trump (nel suo ultimo annuncio il presidente Usa ha detto di avere dato mandato al suo staff affinché valuti la possibile applicazione di dazi ‘reciproci’, a ogni paese che li impone sulla merce di origine statunitense), Prometeia ha diffuso una analisi in cui ne stima l’impatto sulle varie regioni d’Italia, secondo due possibili scenari.

Nel primo, il centro di studi ipotizza un aumento di 10 punti percentuali delle tariffe sui prodotti già daziati, mentre nel secondo si valuta un aumento generalizzato di 10 punti su tutti i prodotti diretti negli Stati Uniti.

Nel primo scenario, Liguria, Molise, Basilicata e Sardegna sarebbero le regioni più esposte all’impatto dei dazi, per effetto di due elementi di vulnerabilità: il peso del mercato statunitense per l’export regionale e la concentrazione delle esportazioni nei settori soggetti a dazi. In Liguria in particolare i dazi andrebbero a incidere per l’11% sull’export diretto negli Usa, mercato che assorbe quasi un terzo dell’export regionale, ed è rilevante in settori chiave del territorio come cantieristica navale e prodotti petroliferi raffinati.
Subito dopo verrebbe il Molise, che dirige verso gli Usa oltre un quarto delle proprie esportazioni e su cui i dazi peserebbero per l’11%, dato l’eventuale aggravio di costi di chimica e automotive.

Su altre regioni più esposte all’eventuale shock – come Campania e Umbria oltre a Basilicata e Sardegna – la propensione all’export, spiega Prometeia, è comunque inferiore alla media nazionale, cosa che per certi versi le mette più al riparo dalle turbolenze. La stretta tariffaria tuttavia metterebbe a rischio quei processi di internazionalizzazione che questi territori hanno intrapreso negli ultimi anni.

Restando nello scenario A (un aumento di 10 punti percentuali delle tariffe su prodotti già daziati), a essere esposta sarebbe l’Emilia-Romagna, che verso gli Usa esporta meccanica, automotive, ma anche piastrelle, chimico-farmaceutico e agroalimentare. Se da un lato
l’elevata internazionalizzazione potrebbe amplificare l’impatto negativo, secondo la società anche però ragionevole attendersi da un tessuto produttivo solido e ben inserito nelle catene internazionali anche capacità di reagire mettendo in campo misure che vadano a compensare l’aumento delle tariffe.

Passando allo scenario B (aumento di 10 punti percentuali su tutti i prodotti), la graduatoria della vulnerabilità, scrive Prometeia, “si modifica, pur non subendo stravolgimenti” e crescerebbero in particolare l’esposizione di Abruzzo e Toscana.
L’aumento generalizzato in particolare penalizzerebbe quei territori le cui esportazioni verso gli Stati Uniti si concentrano in settori con dazi ad oggi sono bassi o assenti. Secondo lo studio quindi in ogni territorio l’impatto dello shock sarebbe articolato nei diversi settori di specializzazione, quindi ad esempio in Lombardia – la regione che pagherebbe il conto più salato – si potrebbe arrivare a 1,8 miliardi di euro di dazi per l’export verso gli Stati Uniti, con il sistema moda e la meccanica tra i settori più colpiti.

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Lo sguardo di Prometeia si è poi avvicinato ulteriormente, andando ad analizzare la vulnerabilità di singole province, sempre nell’ambito del cosiddetto scenario B. A essere particolarmente a rischio, tra queste, sarebbe quella di Sassari, esposta in entrambi gli scenari per via delle esportazioni verso gli Usa di prodotti lattiero-caseari che rappresentano oltre il 30% dell’export provinciale. Tra le prime 5 province impattate figura poi Nuoro (sempre per il lattiero-caseario), Isernia (chimica) e Genova (cantieristica navale e prodotti petroliferi raffinati). Anche Grosseto mostra un’esposizione elevata, in virtù di una specializzazione nell’agroalimentare, così come Belluno, a differenza della media del Veneto, per la forte esposizione nell’occhialeria.

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