Evitare che le vittime di violenza di genere subiscano un’ulteriore sofferenza nel percorso giudiziario e istituzionale è stato il tema centrale del seminario “Vittimizzazione secondaria: modalità operative di prevenzione”, tenutosi ieri presso la Sala Rossa del Palazzo San Bernardino a Rossano Centro Storico. L’evento, organizzato dall’Associazione Mondiversi Ets – Centro Antiviolenza Fabiana, ha coinvolto professionisti del settore giudiziario, sanitario e sociale in un confronto sulle criticità che spesso aggravano la condizione di chi ha subito violenza. L’obiettivo dell’incontro è stato quello di fornire strumenti operativi per prevenire il fenomeno e garantire un supporto adeguato alle vittime. Durante il seminario, gli esperti hanno approfondito le dinamiche della vittimizzazione secondaria e il ruolo di chi opera a stretto contatto con chi ha vissuto situazioni di abuso e maltrattamento. Il procuratore capo del Tribunale di Castrovillari, Alessandro D’Alessio, è intervenuto sul tema, sottolineando l’importanza di un approccio operativo efficace per tutelare le vittime e ridurre gli impatti traumatici dell’iter giudiziario. Secondo il procuratore D’Alessio, la vittimizzazione secondaria può essere contenuta solo da una magistratura capace di individuare e ridurre gli elementi superflui che possono causare ulteriore sofferenza alla vittima. A Castrovillari, come in altre sedi del distretto, si è stabilito un metodo chiaro per la gestione delle denunce di violenze di genere. «Abbiamo dato precise indicazioni agli attori della giustizia, magistrati e polizia giudiziaria, su cosa fare quando una vittima denuncia un reato» ha precisato il procuratore. «Ma serve anche un impegno collettivo per far emergere quella che chiamo la “percentuale in nero”, ovvero i casi di violenza che restano sommersi. Qui è fondamentale il ruolo di scuole, parrocchie e centri antiviolenza».
Confisca beni e misure cautelari nei reati di genere
D’Alessio ha infine affrontato il tema dell’aggressione al patrimonio dei presunti colpevoli, un aspetto che potrebbe incidere sulla prevenzione dei reati di stalking e maltrattamenti. «Per questi reati è prevista l’applicazione delle misure di prevenzione, come la sorveglianza speciale, che possono includere il sequestro e la confisca dei beni» ha spiegato. Tuttavia, ha espresso perplessità sulla possibilità di applicare concretamente tali strumenti alla violenza domestica, evidenziando un vuoto normativo: «Ho dei dubbi che l’attuale quadro legislativo lo consenta». La magistratura di Castrovillari si distingue per un’alta percentuale di accoglimento delle richieste di misure cautelari e una quasi totale assenza di annullamenti. Secondo i dati esposti dal procuratore, quasi tutte le denunce di violenza di genere portano all’applicazione di misure cautelari, con una percentuale molto bassa di assoluzioni. «Abbiamo una percentuale vicina allo 0% di annullamenti di misure e un’altissima percentuale di accoglimento delle richieste» ha dichiarato D’Alessio. La terza sezione della procura, che si occupa dei reati di genere, gestisce un elevato numero di misure cautelari, che vengono generalmente convalidate senza eccezioni. «Non conosco casi di non convalida di arresto o di allontanamento disposto dalla polizia giudiziaria» ha aggiunto il procuratore, sottolineando la solidità delle richieste presentate. Il procuratore ha evidenziato che il rischio di recidiva è talmente alto che la gran parte dei casi, compatibilmente con la proporzionalità della pena, viene trattata con misure cautelari o custodiali. «Nel 95% dei casi le denunce di violenza di genere finiscono con l’applicazione di misure cautelari» ha precisato, sottolineando la necessità di anticipare la fase della prevenzione rispetto alla durata stessa della misura cautelare.
Vittimizzazione secondaria: un ostacolo alla giustizia
La normativa italiana sulla tutela delle vittime di violenza è in costante aggiornamento per adeguarsi agli obblighi delle fonti sovranazionali. Ne parla Francesca Salimbeni, neolaureata in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano: «Le forme di vittimizzazione secondaria sono molteplici» spiega Salimbeni. «Un esempio è la perdita dell’affidamento dei figli minori in sede civile, quando la madre viene ritenuta corresponsabile per non aver denunciato tempestivamente la violenza subita». Un altro problema è la derubricazione dei maltrattamenti a semplici conflitti di coppia, che può portare alla loro esclusione dall’ambito penale. «Questo accade sia in sede civile, quando si discute dell’affidamento esclusivo, sia in sede penale, quando la qualificazione del reato viene ridimensionata. In questi casi, l’assoluzione dell’imputato diventa una conseguenza diretta della mancata qualificazione del fatto come penalmente rilevante» sottolinea Salimbeni. La vittimizzazione secondaria è ancora poco conosciuta, ma rappresenta un problema concreto per chi ha subito violenza. Spesso, la mancanza di formazione di operatori e professionisti porta a formulare domande inadeguate o a mettere in discussione la credibilità della vittima, rendendola vittima una seconda volta. A sottolinearlo è Stefania Figliuzzi, avvocata e presidente del centro antiviolenza Attivamente Coinvolte, nonché referente nazionale di IRE per l’Assemblea delle Regioni. «Uno degli strumenti più efficaci per contrastare la vittimizzazione secondaria è il supporto legale specializzato offerto dai centri antiviolenza. «Fare rete è essenziale» sottolinea Figliuzzi. «Noi lo chiamiamo linguaggio comune, perché è solo attraverso un approccio condiviso e basato su buone prassi che possiamo aiutare una donna non solo ad affrontare il percorso giudiziario, ma anche a ritrovare un reinserimento sociale e lavorativo».
Sinergia istituzionale e prevenzione contro la violenza
Alla discussione sul tema hanno preso parte il presidente della terza commissione sanità Pasqualina Straface, l’assessore alle politiche sociali Marinella Grillo e il tenente colonnello Marco Filippi, i quali hanno evidenziato l’importanza di un approccio istituzionale più strutturato e di una maggiore sinergia tra enti locali, forze dell’ordine e centri antiviolenza. Collegati da remoto hanno partecipato anche Francesco Venditti, procuratore della Repubblica di Tivoli, e Maria Elena Balbi, infermiera presso l’ospedale spoke di Corigliano Rossano. La vittimizzazione secondaria rappresenta un freno nel percorso di uscita dalla violenza per molte donne accolte nei centri antiviolenza. Spesso, dopo aver trovato il coraggio di denunciare, si ritrovano vittime di colpevolizzazione e giudizi che ostacolano il loro processo di ricostruzione. Lo spiega Barbara Lavorato, assistente sociale del Centro Antiviolenza Fabiana e responsabile della Casa Rifugio Libere Donne. «Molte donne iniziano un percorso di ripresa che poi viene bloccato dalla vittimizzazione secondaria» spiega Lavorato. «Noi lo notiamo chiaramente nei colloqui settimanali: smettono di parlare del loro vissuto legato alla violenza subita e iniziano a raccontare come si sono sentite trattate dalle istituzioni». Questo aspetto evidenzia quanto sia importante un approccio consapevole da parte di operatori, magistrati e forze dell’ordine nel gestire le denunce e il percorso di giustizia delle vittime. «La nostra presenza è fondamentale» sottolinea Lavorato. «Noi interveniamo spesso nelle scuole, perché è lì che inizia il vero lavoro di prevenzione» spiega Lavorato. «Le attività con i giovani partono dagli stereotipi e dai pregiudizi, che sono la base culturale della vittimizzazione secondaria. Educare le nuove generazioni è l’unico modo per creare un cambiamento duraturo». L’andamento dei dati sulle donne accolte dal Centro Antiviolenza Fabiana e dalla Casa Rifugio Libere Donne dimostra la costante necessità di intervento. «Dal 2013 ad oggi abbiamo seguito più di 300 donne, mentre nel solo 2024 abbiamo accolto circa 35 donne» dichiara Lavorato. I numeri rimangono costanti, segno che il fenomeno non accenna a diminuire e che il lavoro dei centri resta indispensabile per garantire protezione e supporto alle vittime di violenza. Il 2025 si apre con la consapevolezza che occorre rafforzare ulteriormente la rete di prevenzione e assistenza, per rendere più efficace la lotta contro la violenza di genere e la vittimizzazione secondaria.
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