Mercoledì scorso, come noto, la giunta regionale della Campania ha approvato una delibera che programma un investimento di 130 milioni di euro per finanziare il raccordo ferroviario per il Polo logistico di Valle Ufita, lì dove sorgerà la stazione Hirpinia della Alta Velocità – Capacità Napoli – Bari. Un’opera fondamentale, un’infrastruttura strategica non solo per le aree interne ma per l’intera Campania e per l’intero Mezzogiorno peninsulare, inserita da Palazzo Santa Lucia nelle schede del Pnrr ai tempi del governo Draghi, poi finita nel dimenticatoio e stralciata in ragione dei ritardi accumulati, quindi recuperata sui fondi di sviluppo e coesione grazie alla spinta del governo, dunque finanziata con quei fondi attraverso la delibera approvata mercoledì.
Il primo a darne notizia è stato il consigliere regionale irpino Maurizio Petracca, riferimento del Pd, con poche righe volte a sottolineare i meriti della Regione, che avrebbe avuto la volontà politica di finanziare l’infrastruttura a dispetto dell’immobilismo del governo e del centrodestra. Il primo a replicare è stato il senatore e neo commissario provinciale della Lega, Cantalamessa, che ha addirittura messo in discussione l’esistenza stessa dell’importo per l’investimento da parte della Regione, parlando di illusione ottica e sottolineando che a determinare le condizioni per lo sblocco dell’opera è stato il governo, in primo luogo il Ministero delle Infrastrutture guidato da Matteo Salvini. A far saltare completamente il tavolo, manco a dirlo, ci ha poi pensato De Luca in persona, arrivato giovedì mattina presso lo stabilimento Bredamenarini di Flumeri, proprio nel cuore dell’area industriale di Valle Ufita: non commento Cantalamessa – ha detto il governatore – ne nego l’esistenza. È una realtà virtuale.
Dopo di che – ha chiosato – i fondi stanziati per la piattaforma logistica sono fondi di sviluppo e coesione della Regione Campania, il resto sono solo chiacchiere a ruota libera».
A quel punto si è scatenato l’inferno, una pioggia di dichiarazioni volte a smantellare la tesi del governatore e ad esaltare i meriti del governo nazionale, la reazione di Cantalmessa che ha definito virtuali le palle di De Luca, e le difese d’ufficio di Palazzo Santa Lucia da parte dei riferimenti del Presidente. Non una parola sui ritardi accumulati, sul cronoprogramma, sui tempi di realizzazione dell’opera, sulle prospettive che la medesima aprirà per lo sviluppo della Campania interna, sui vantaggi e le opportunità che offrirà al comparto produttivo, sugli interventi ulteriori e necessari per sostenere questa sfida.
Una vergogna, uno spettacolo indecoroso che dà conto, meglio di qualsiasi analisi e di qualsiasi editoriale, della pochezza delle classi dirigenti a cui abbiamo affidato il nostro futuro. I fondi sviluppo e coesione sono fondi europei, che vengono formalmente stanziati dalle regioni in ossequio a vincoli di spesa stabiliti dal governo centrale. Dunque siamo dinanzi ad una vittoria dello Stato, dell’intera filiera istituzionale, del governo, della regione e dei territori.
L’opera in questione, come detto, ha una valenza strategica fondamentale, non solo per le aree interne, ma per il Mezzogiorno, perché cambierà il volto dei territori a cavallo tra la provincia di Avellino e la provincia di Benevento, perché la logistica è l’asset decisivo per lo sviluppo. Il polo intermodale nel cuore della Valle Ufita, connesso direttamente con la linea dell’Alta Velocità Capacità Napoli Bari cambierà la geografia e le dinamiche dell’economia campana e meridionale, avvicinerà i mari, favorirà nuovi investimenti e la crescita dell’intero tessuto produttivo. Un obiettivo a cui si lavora incessantemente da quasi vent’anni, nel corso dei quali sono cambiati molteplici governi nazionali, di centrodestra, tecnici o di larghe intese e di centrosinistra, e almeno due governatori. Un obiettivo fortemente voluto dai territori, attraverso un lungo e faticoso percorso di concertazione istituzionale, che oggi, incredibilmente, diventa oggetto di disputa tra consorterie in guerra. E quando questo accade, quando dinanzi ad una vittoria dello Stato prevale la logica dello scontro, vuol dire che lo Stato non c’è più, che non esiste più un destino comune. Esiste solo la logica dello scontro tribale funzionale alla conquista del consenso. E allora l’unico dialogo possibile è quello della reciproca delegittimazione, che sfocia inevitabilmente nell’insulto.
Non molti anni fa l’intera filiera istituzionale, a prescindere dalle appartenenze, si sarebbe ritrovata unita nel celebrare questa conquista e nel programmare il futuro muovendo dalla consapevolezza dei ritardi accumulati e dal presupposto che non basterà il polo logistico e il treno veloce per sottrarre le aree interne alla marginalità dello spopolamento. Quei fondi non appartengono né alla Regione né al governo ma ai cittadini, a tutti noi, perché il meccanismo democratico si alimenta nella reciprocità. Quando si vincono le elezioni poi si governa nell’interesse di tutti, si esercita il ruolo a cui si è stati chiamati dismettendo gli interessi di parte, ricercando il dialogo nella diversità con gli altri livelli istituzionali.
Quando invece accade che la dimensione elettorale si dilata sino a trasformare le istituzioni in partiti allora non esiste più l’interesse collettivo, non esistono più i cittadini ma esistono solo gli elettori. Il mercato della democrazia, in una parola la barbarie.
Si dirà che siamo in piena campagna elettorale, ma questa considerazione non fa null’altro che avvalorare quello che stiamo dicendo. Si fosse votato per le regionali fra due anni quella delibera sarebbe stata approvata a febbraio del 2027.
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