Il Tar delle Marche, nell’udienza dello scorso 12 febbraio, “ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme che dispongono il pagamento dilazionato del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici“. I giudici amministrativi hanno accolto le censure sollevate dal ricorrente, un dirigente della Polizia di Stato in quiescenza del 2022, difeso dall’avvocato di Firenze Pietro Frisani.
Al centro del ricorso, la normativa che impone una dilazione nel pagamento del Tfs per un periodo superiore a tre anni (a volte si arriva a periodi di 7 anni, ndr): il ricorrente, chiedeva il pagamento immediato dell’intero trattamento di fine servizio, oltre alla rivalutazione delle intere somme e dei relativi interessi.
“A questo punto è altamente probabile, osserva Frisani, che la Corte dichiari esaurita la propria pazienza di fronte all’inerzia di un legislatore che ignora i reiterati moniti della Corte stessa, con ciò ledendone le prerogative e l’Istituzione che essa rappresenta, dichiarando l’illegittimità delle relative disposizioni normative. Ciò consentirà a tutti coloro i quali sono andati in pensione negli ultimi anni di richiedere ed ottenere la restituzione di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme percepite a fronte di una dilazione illegittima”.
Sette sigle sindacali, tra cui Cgil e Uil, hanno rilanciato il pressing a governo e parlamento per superare una disparità che ritengono non più giustificabile e che vede “un inaccettabile sequestro” di risorse ai danni degli statali. Un tema su cui c’è l’attenzione della politica, ma su cui resta il nodo delle coperture. In due anni, considerando le cessazioni del 2022 e 2023, sono 2 miliardi e 157 milioni di euro “sottratti” ai lavoratori pubblici a causa del differimento e dell’inflazione, risorse che, sottolineano ancora i sindacati, rappresentano una perdita anche per l’economia del Paese.
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