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Passato, presente e futuro delle Aggregazioni laicali nell’Arcidiocesi di Sassari | Arcidiocesi di Sassari


Domenica 16 febbraio l’aula Mons. Isgrò dell’Arcivescovado di Sassari ha ospitato l’incontro intitolato “Passato, presente e futuro delle Aggregazioni laicali nell’Arcidiocesi di Sassari”, promosso dalla Fondazione Accademia, Casa di Popoli, Culture e Religioni.

L’appuntamento, moderato da Giangavino  Dettori, si è aperto con il saluto di Barbara Casu, segretaria delle Aggregazioni Laicali di Sassari: «Il convegno di quest’anno vuole essere la prosecuzione di un appuntamento – che ci auspichiamo possa diventare annuale – sulla storia delle aggregazioni laicali della nostra Diocesi di Sassari. Come Consulta delle Aggregazioni Laicali, con la collaborazione e il sostegno della Fondazione Accademia, abbiamo iniziato già dal precedente convegno questo progetto, che consiste nel fare memoria, attraverso dati storici, della nascita della Consulta diocesana e di tutte le aggregazioni laicali che ne fanno parte.

Questo desiderio nasce principalmente dalla volontà di riscoprire il ruolo del laico in una Chiesa in fase di cambiamento e trasformazione, facendo memoria di ciò che è stato attraverso avvenimenti e tradizioni. Da qui nasce anche la curiosità di rivedere le radici storiche di tutte le aggregazioni laicali all’interno della nostra diocesi, proprio in questo preciso momento di cambiamento della Chiesa, orientato verso un nuovo stile, quello sinodale. Il tutto avviene volgendo lo sguardo al futuro, favorendo il sostegno reciproco nella missione di annuncio del Vangelo».

Don Giuseppe Virgilio, esperto in Storia della Chiesa, ha tenuto una relazione sul tema dell’associazionismo cattolico laicale prima e dopo il Concilio Vaticano II. Nella sua introduzione, prima di soffermarsi sulla specificità del caso dell’Azione Cattolica, ha voluto delineare i tratti comuni di queste associazioni: «Di queste associazioni laicali, alcune sono costituite di uomini e donne, altre di soli uomini o di sole donne, riflettendo senza dubbio alcune caratteristiche pedagogiche della società di allora, ma talvolta anche evidenziando un principio educativo che tiene conto della peculiarità dell’educando, anche in ambito di formazione religiosa.

Basterebbe leggere, a tale proposito, un bel libro di Edith Stein (Santa Teresa Benedetta della Croce), La donna: il suo compito secondo la natura e la grazia. Queste associazioni mirano tutte alla perfezione dei membri associati. Il termine “perfezione” è analogo a quello a noi oggi più familiare di “santificazione” o “santità”. Da questa cura della vita spirituale nasceva, come ridondanza, l’apostolato. La prima era causa del secondo, e il secondo era conseguenza del primo. Il principio spirituale seguito era lo stesso talvolta indicato ai chierici, sintetizzato in questa esortazione di San Paolo VI: “San Bernardo di Chiaravalle, per dimostrare che l’uomo apostolico deve continuamente rinnovarsi in Cristo, gli ricorda: ‘Si sapis, conchamte exhibebis, non canalem’ (Serm. 18 in Cant.). Se sei saggio, sii un serbatoio e non un canale, perché il canale lascia semplicemente scorrere l’acqua che riceve, senza trattenerne una sola goccia; il serbatoio, invece, prima si riempie e, senza svuotarsi, anzi rinnovandosi sempre, versa fuori il di più nei campi, rendendoli fertili” (Discorso al Pio Collegio Brasiliano, 28 aprile 1964).

Salvo rare eccezioni, si tace o si dà per scontata la ragione ontologica di questo dovere di santificazione (o perfezione), come la realtà battesimale sulla quale insisterà invece il Concilio Vaticano II. La dottrina della santità per tutti è conosciuta e ribadita, ma con effetti non sempre confortanti. Prevale, infatti, la preoccupazione della santificazione dei chierici, forse anche in reazione alla propaganda anticlericale del nascente protestantesimo prima e dell’illuminismo rivoluzionario poi. Questa preoccupazione è sintetizzata nel canone 124 del Codice di Diritto Canonico piano-benedettino del 1917, riguardo all’obbligo dei chierici. Primo fra i doveri dei chierici, secondo quel codice, era l’eminente santità: “Clerici debent sanctiorem prae laicisvitam interiorem et exteriorem ducere eisque virtute et recte factisin exemplum excellere”, sostituito nel nuovo Codice dal canone237: “I chierici sono tenuti per un obbligo speciale a prestare rispetto e obbedienza al Sommo Pontefice e al proprio Ordinario”.Tuttavia, non mancavano affermazioni solenni di uomini di peso, teologi e Dottori della Chiesa, riguardo alla santità dei laici. In primis, San Francesco di Sales, che nella sua Filotea afferma: “Pretendere di eliminare la vita devota dalla caserma del soldato, dalla bottega dell’artigiano, dalla corte del principe, dall’intimità degli sposi è un errore, anzi un’eresia. (…) Ovunque possiamo e dobbiamo aspirare alla devozione”. E ancora, San Roberto Bellarmino scrive: “È dunque insegnamento dello Spirito Santo, pervenutoci dalla bocca di Cristo e degli apostoli, che non solo i chierici e i monaci, ma anche i laici sono tenuti a questa perfezione” (Il gemito della colomba, Libro II, n.70)».

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Paola Melis, Coordinatrice regionale del Rinnovamento nello Spirito, nella sua testimonianza si è soffermata sulla storia e sul significato del Rinnovamento Carismatico Cattolico, partendo dalle origini negli Stati Uniti negli anni ’60 per arrivare ai giorni nostri: «Il movimento è stato riconosciuto dalla Chiesa con Paolo VI, che nel 1975 gli conferì la “cittadinanza ecclesiale”, definendolo una grande opportunità per la spiritualità cattolica. In Italia, il Rinnovamento arrivò nel 1971, prima a Cesena e poi a Roma. Nel 1977, su indicazione del cardinale Suenens, una parte di questo movimento prese il nome di Rinnovamento nello Spirito Santo (RNS), per evitare il rischio di enfatizzare i carismi più del Donatore, lo Spirito Santo stesso.

In Sardegna, il Rinnovamento si diffuse a partire dal 1977-78, con gruppi attivi sia a Cagliari che a Sassari. A Sassari, il primo gruppo nacque nella parrocchia di San Vincenzo, seguito da altre comunità in diverse chiese della diocesi».

Marcella Raffattellu, già Presidente diocesana dell’Azione Cattolica, ha chiarito il ruolo e il senso del movimento, capace di adattarsi ai tempi moderni e di collaborare con le altre realtà del territorio: «L’Azione Cattolica non è mai stata un’associazione chiusa o elitaria: chiunque può partecipare, anche senza aderire formalmente. Tuttavia, l’iscrizione e la tessera rappresentano un segno di impegno e appartenenza a un cammino comune.

Nonostante il cambiamento dei tempi e la diminuzione numerica dei soci, l’Azione Cattolica continua a essere una realtà viva e significativa. La nascita di nuovi movimenti non deve essere vista come una perdita, ma come un arricchimento per la Chiesa. Il nostro compito è valorizzare ciò che di buono è stato fatto, adattandoci alle nuove esigenze pastorali. Questa è la nostra storia, una storia che continua e che siamo chiamati a costruire insieme».

In conclusione, l’arcivescovo Gian Franco ha sottolineato l’importanza del lavoro delle associazioni a livello diocesano: «La prima cosa che desidero porre in rilievo è un ringraziamento perché state portando avanti con dedizione quella che nel nostro cammino pastorale, alla luce del Magistero del Santo Padre, abbiamo chiamato “la cura delle radici”. E questa è una cosa molto importante: saperci connettere, nella Chiesa, alle radici vitali. Alle associazioni dico di ricomporsi nell’unità. Questo lavoro è in corso e, infatti, vi ringrazio per il grande apporto che state dando al cammino sinodale: siete costantemente presenti e comprendo quanto questo rappresenti un grande sacrificio. Ritengo che questo impegno si inserisca pienamente in quella che Papa Francesco definisce la sfida dell’intergenerazionalità: una generazione che trasmette all’altra».

L’evento è stato accompagnato dagli interventi musicali del Gruppo di Servizio del Rinnovamento nello Spirito.



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