Analisi – Per otto anni le milizie sono state un soggetto di primo piano, ma ignorato, del Donbass, in una guerra a bassa intensità tra potere politico e crimine organizzato. Spesso provenienti da organizzazioni illegali radicate nell’Ucraina orientale o comunque post-sovietiche, i loro leader hanno avuto percorsi diversi. Comprenderli aiuta a inquadrare sia lo sviluppo del conflitto russo-ucraino prima del 2022, sia i rapporti tra Mosca e quei gruppi che sono poi stati inseriti a forza nell’organismo militare della Federazione.
TRA CRIMINE E SANTA LOTTA POLITICA: ARBAT E IL SUO FONDATORE
Lunedì 3 febbraio l’ultimo (a oggi) attentato contro esponenti militari e paramilitari russi coinvolti nel conflitto in Ucraina ha eliminato Armen Sargsyan, fondatore, ma non più comandante di ArBat, il battaglione armeno attualmente impegnato nella regione del Kursk. La morte di Sargsyan apre uno spaccato su una realtà spesso ignorata di questo conflitto, che solo da tre anni vede coinvolte ufficialmente le Forze Armate russe: la galassia di milizie paramilitari sorta in Donbass a seguito della rivoluzione contro Viktor Yanukovič, da cui tutto ha preso inizio.
La storia personale di Sargsyan è tipica di molti dei leader “indipendentisti” contrari al cosiddetto “regime nazista di Kiev”. Coinvolto nel crimine organizzato del Donbass, vicino al Partito delle Regioni di Yanukovič, per conto del quale è stato accusato di avere organizzato spedizioni punitive contro i manifestanti filoeuropeisti nelle strade di Kiev, con l’inizio del conflitto si è insediato nelle aree occupate e ha assunto la guida della federazione pugilistica del Donetsk. Durante il periodo 2014-2022 Sargsyan ha espanso il proprio potere nella regione acquisendo quote azionarie di società immobiliari e altre attività imprenditoriali, oltre alla cittadinanza russa. A settembre 2022 ha fondato il Battaglione Armeno, benedetto l’anno seguente nella Cattedrale Armena di Mosca. Il Battaglione Separato delle Guardie per Incarichi Speciali “Arbat” (la definizione ufficiale in linea con la lunghissima terminologia sovietica) è formalmente inquadrato nella 51esima Armata Combinata delle Guardie “Donetsk”, al cui interno sono confluite le milizie sorte dal 2014 e il cui quartier generale è nella città di Donetsk.
Armen Sargsyan, dal canto suo, ha proseguito in Russia la propria carriera di affarista senza scrupoli, al punto che, sebbene la pista ucraina sul suo omicidio sia la più probabile, non può essere considerata l’unica. Ancora, dovesse arrivare una formale rivendicazione ucraina, è probabile che i servizi di Kiev si siano appoggiati, per la realizzazione dell’attacco, a elementi locali reclutati per denaro, ideologia o altre motivazioni personali.
Fig. 1 – I servizi di emergenza davanti all’edificio di Mosca in cui è stato assassinato Armen Sargsyan, 3 febbraio 2025
DAL DONBASS AL CREMLINO. I BATTAGLIONI PER LA CARRIERA POLITICA
Sargsyan rappresenta una delle possibili tipologie di leader filorusso, in grado di muoversi in un contesto di affari e crimine sfruttando le circostanze per accrescere il proprio potere, ma senza superare ogni limite di autoconservazione, come fatto invece da Evgenij Prigozhin con la sua folle “marcia su Mosca”. Diverso il caso di Artem Zhoga, nominato da Putin a ottobre 2024 alla carica di inviato speciale per il Distretto Federale degli Urali, al posto di Vladimir Yakushev, a sua volta nominato vicepresidente del Consiglio della Federazione Russa (il Senato). Paradossalmente, questa catena di nomine è iniziata con l’allontanamento di Andrei Turčak, uno dei principali sostenitori di Zhoga, dalla vicepresidenza del Consiglio federale.
Secondo le informazioni disponibili, Zhoga è stato un impresario nel settore ittico prima del 2014, quando assieme a suo figlio Vladimir è entrato nel Battaglione Sparta, adesso anch’esso parte della 51esima Armata come 80esimo Battaglione Separato da Ricognizione delle Guardie “Sparta”. Va specificato che Sparta non si riferisce alla città greca, ma a un noto libro post apocalittico russo pubblicato nel 2002. Artem Zhoga è stato il terzo comandante di Sparta, dopo il figlio morto in combattimento a Avdiivka nel 2022 e il fondatore Arsen “Motorola” Pavlov, assassinato a Donetsk nel 2016 da una bomba sui cui responsabili esistono diverse teorie. Nel 2023 Zhoga ha annunciato l’ingresso nel partito di Putin Russia Unita per l’oblast di Donetsk, e a dicembre dello stesso anno ha preso parte a una rappresentazione di fondamentale importanza quando – a favore di telecamere durante il Giorno per gli Eroi della Madrepatria – ha chiesto esplicitamente a Putin di ricandidarsi ancora una volta alla presidenza.
Ormai lontano dal campo di battaglia, Artem Zhoga è passato in dieci anni da proprietario di una catena di ristoranti a funzionario di fiducia del leader del Cremlino. Un’ascesa favorita da circostanze assolutamente eccezionali, ma che lascia comunque più di un interrogativo su quanto avvenga all’ombra dei rapporti tra le Istituzioni russe e i proxies più o meno ufficiali sul terreno.
Fig. 2 – Vladimir Putin assieme a Artem Zhoga durante l’evento in cui il leader russo ha annunciato la sua ricandidatura alla presidenza, 8 dicembre 2023
OMICIDI POLITICI E CRIMINE ORGANIZZATO IN UNA TERRA DI NESSUNO
Le carriere e i destini di Sargsyan e Zhoga danno una descrizione parziale della provenienza e degli sviluppi dei leader del Donbass. Il giorno di Capodanno del 2015, all’interno del territorio occupato del Lugansk, è stato distrutto il convoglio di Alexander Bednov, comandante del Battaglione Batman, la più importante milizia della regione. Le Autorità separatiste hanno legittimato ex post l’azione come un tentativo di arresto di Bednov per reati di vario genere. Con la morte del principale avversario politico della dirigenza del Lugansk, il Battaglione è stato smantellato e molti suoi membri hanno preferito trovare asilo in Russia per sottrarsi a una fine analoga. L’elenco di leader politici e militari morti in circostanze poco chiare è lungo: Arsen Pavlov e Alexander Bednov, ma anche Aleksandr Zacharčenko (capo della Repubblica Popolare di Donetsk, ucciso da un’autobomba nel 2018) o Valeri Bolotov (tra i fondatori della Repubblica Popolare di Lugansk, trovato morto a Mosca nel 2017).
Tra 2014 e 2022, velocemente naufragato il progetto di creare una realtà statuale denominata Novorossjia, le zone occupate degli oblast di Donetsk e Lugansk si sono trasformate in un’arena politico militare tra Ucraina, separatisti e Federazione Russa, con questi ultimi due non per forza allineati sulle stesse posizioni. Un report della Global Initiative Against Transnational Organized Crime descrive come, negli otto anni in cui l’attenzione mediatica sul conflitto è sparita, i territori separatisti abbiano assistito a un’esplosione di contrabbando, racket, traffici illeciti di ogni tipo di prodotto, armi, sigarette, droga, minerali e finanche esseri umani.
Un preludio alla guerra in corso largamente ignorato fuori dai confini ucraini, ma che aiuta una più precisa definizione di quelle milizie, e dei loro leader, che ne sono stati fondamentali protagonisti e hanno contribuito allo sviluppo di una crisi arrivata al primo posto nelle agende internazionali.
Lorenzo Lena
Photo by David_Peterson is licensed under CC BY-NC-SA
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