Come tappe d’avvicinamento all’inaugurazione della mostra, sono stati individuati cinque temi per presentare la figura del Pesarese al grande pubblico, che saranno oggetto di altrettanti comunicati. Oltre ai cenni biografici, il primo offre l’opportunità di comprendere il ruolo dell’Artista nella pittura italiana del Seicento. Dopo il grande successo ottenuto nel 2024 con la mostra dedicata a Federico Barocci, la Galleria Nazionale delle Marche prosegue nella celebrazione degli artisti marchigiani. Dal dal 22 maggio al 12 ottobre 2025 gli spazi di Palazzo Ducale di Urbino ospiteranno la monografica Simone Cantarini (1612 – 1648) detto il Pesarese. Curata da Luigi Gallo (Direttore della Galleria Nazionale delle Marche), Anna Maria Ambrosini Massari (Docente di Storia dell’Arte moderna all’Università di Urbino) e Yuri Primarosa (Funzionario Storico dell’Arte), e organizzata in collaborazione con le Gallerie Nazionali Barberini Corsini di Roma, attraverso una selezione di 54 dipinti l’esposizione, la mostra testimonierà l’estro pienamente moderno del giovane pittore.
Prima esposizione del suo genere a Urbino, città che il giovane Cantarini probabilmente frequentò, l’iniziativa è anche l’occasione per celebrare l’ingresso, nelle collezioni di Palazzo Ducale, delle opere del Pesarese che, dopo il deposito della collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro e le due grandi pale arrivate dalla Pinacoteca di Brera con il progetto 100 opere tornano a casa, presto si arricchirà di un ulteriore nucleo di opere in deposito comprendente anche cinque dipinti del Cantarini.
Cenni biografici del Pesarese
Qual è l’importanza del pittore Pesarese? «Fu il Cantarini di statura ordinaria, ben formato di membra, d’aspetto alquanto fiero, di colore olivastro, d’occhio vivace…». Così lo descrisse nel 1678 il suo biografo, il bolognese Carlo Cesare Malvasia. Simone era nato a Pesaro nel 1612, anno in cui moriva Federico Barocci; battezzato nella parrocchia di San Cassiano, fu educato in un momento di mutamenti, di transizione, di stimoli contrastanti, finendo con lo scegliere una strada tutta sua, oltre gli schemi, un po’ come aveva fatto proprio Barocci. Cantarini fu classico e naturale allo stesso tempo, seppe elaborare la lezione baroccesca, quella cromatica veneta con le eleganze di Guido Reni e la verità caravaggesca. Fu un pittore inquieto e geniale, sublime disegnatore, raffinato acquafortista con guizzi di poeta, sempre all’insegna di una incontenibile, irruente, irrequieta passione, che lo portò ad amare e odiare all’estremo. Sulle ceneri del Ducato di Urbino stava sorgendo infatti un mondo nuovo, con il passaggio alla chiesa del 1631 e il papato di Maffeo Vincenzo Barberini (Urbano VIII), tra i primi committenti dell’artista, si profilavano nuovi modelli, nuove mete, ma l’eredità della tradizione che da Barocci risaliva a Raffaello e alla grande stagione del Rinascimento urbinate restava fortissima, ineludibile per un giovane pittore come Simone Cantarini.
La formazione
Malvasia aveva sentito dalla viva voce dell’Artista, durante una visita a Pesaro, quanta ammirazione per Barocci, per la sua Beata Michelina, all’epoca nella chiesa di San Francesco a Pesaro (oggi alla Pinacoteca Vaticana), ci fosse alla base della sua vocazione artistica. Lasciò invece pochissima traccia su di lui un primissimo periodo di “apprendistato” presso l’intenso manierista pesarese Giovan Giacomo Pandolfi, elegante disegnatore, mentre ebbe un ruolo importante il rapporto con il veronese Claudio Ridolfi, diventato l’artista di riferimento del ducato dopo la morte di Barocci. Anche Ridolfi fu segnato dalla dolcezza del sedimento baroccesco, ma al tempo stesso fu portatore di novità “lagunari” che, soprattutto dopo un viaggio a Venezia attorno al 1628, contribuirono alla crescita di Cantarini, specialmente per la ricchezza dell’impasto cromatico e soprattutto nei ritratti. In parallelo però, Cantarini scoprì a Fano i capolavori di Guido Reni: fu amatissima la sua Annunciazione, in quell’enclave di pittura bolognese che divenne il tempio di San Pietro in Valle. Qui e nei dintorni nello stesso periodo fu attratto da alcuni potenti caravaggeschi: Francesco Guerrieri in primo luogo, ma anche Carlo Bononi, Mattia Preti, Orazio Gentileschi, Alessandro Turchi.
Cantarini e Reni
La vena naturalista nutrì da subito la fantasia di Simone Cantarini, in parallelo al classicismo di Guido Reni, che rappresentava tra gli anni Venti e Trenta del Seicento la via maestra in questa area e ben oltre; e non sorprende che “il Pesarese” si spingesse a Bologna già in apertura del quarto decennio, anche se – secondo le fonti – bisogna datare il vero e proprio trasferimento nella scuola di Guido Reni qualche tempo dopo, sull’onda dell’impressione enorme ricevuta dalla visione della Pala Olivieri (oggi Pinacoteca Vaticana) che il maestro bolognese aveva appena inviato al Duomo di Pesaro. Sono poche le date che aiutano a fissare tappe, relazioni, incontri e opere di Cantarini, ma certamente nel 1637 era già da qualche tempo in quella scuola quando, dopo una correzione di Reni a un suo dipinto che lui stesso gli aveva fatto affidare per il Forte Urbano dei Barberini a Castelfranco Emilia, reagì rabbiosamente e, girato il quadro verso il muro, se ne andò voltando per sempre le spalle a Guido.
Il ruolo di Cantarini nella pittura del XVII secolo
Superbo, altero, ma anche coraggioso e libero, quasi a rischio della carriera, in quella fase non ebbe pochi ostacoli e solo oggi ne vede pienamente riconosciuta la grandezza. Nel 1639 lo ritroviamo al matrimonio della sorella a Pesaro, dove peraltro gli studi hanno dimostrato che si recava spesso e dove aveva una solida base di lavoro. Le fonti e le acquisizioni dello stile, dopo questa tappa individuano un soggiorno a Roma ricco di conseguenze, se pur privo di documenti per stabilirne caratteri e durata. Sappiamo però che dopo la morte di Reni, nell’agosto 1642, dovette affrettarsi a tornare a Bologna, dove seppe avviare un fortunatissimo atelier, che rispondeva alle esigenze più avanzate del collezionismo, unendo la cifra dello stile del maestro, a una nuova bellezza che si faceva grazia, meno aulica e più leggiadra e sensitiva, una formula che diventò modello supremo per la pittura del secondo Seicento, anche grazie, dopo la sua morte, ai suoi più importanti allievi: Lorenzo Pasinelli e Flaminio Torri. L’ultimo tragico capitolo della vita e della carriera, come narrato da Malvasia, è in linea col suo carattere sprezzante e orgoglioso, tanto da giungere alla corte del Duca di Mantova per farne il ritratto, ma fallire l’impresa riuscendo a rendersi odioso a tutti e morendo poco dopo in circostanze oscure e sospette nel convento di Sant’Eufemia a Verona, dove poté almeno avere il conforto di un suo fratello, agostiniano, fino all’ultimo soffrendo per un amore disperato.
INFO MOSTRA
Simone Cantarini (1612 – 1648) detto il Pesarese
a cura di Luigi Gallo, Anna Maria Ambrosini Massari e Yuri Primarosa
22.05.2025 – 12.10.2025
Inaugurazione: 22.05.2025 ore 11.00
Orari: da MA a DO: dalle 8:30 alle 19:15 (chiusura biglietteria ore 18:15); LU chiuso
Ingresso: € 12 intero; € 2 ridotto
Catalogo edito da Officina Libraria
Galleria Nazionale delle Marche
Palazzo Ducale di Urbino
Piazza Rinascimento 13, 61029 Urbino (PU)
Telefono: 0722 2760
gan-mar@cultura.gov.it
Ufficio media - Marco Ferri
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