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Unicredit: il mutuo ai Riina del Banco di Sicilia e il ricorso (respinto) in Cassazione


di
Mario Gerevini

Il finanziamento del 2005 alla nipote e al fratello di Totò Riina. L’appartamento a Mazara del Vallo. La sentenza: quel mutuo non doveva essere erogato. Fonti Unicredit: nostra prassi tutelare i crediti fino in fondo

Unicredit è andata fino in Cassazione (sentenza pubblicata il 27 gennaio scorso) per veder riconoscere correttezza e buona fede di un mutuo fondiario da 120 mila euro erogato nel 2005 dal Banco di Sicilia a una donna, con garanzia ipotecaria e fideiussione del padre e della madre. La donna era Maria Concetta Rita Riina, il padre Gaetano Riina, ovvero nipote e fratello di Totò Riina, il più sanguinario mafioso della storia. Il Banco di Sicilia (Bds) nel 2005 era del gruppo Capitalia-Banca di Roma che si è fuso con Unicredit nel 2007. La Cassazione ha dato torto a Unicredit e respinto la richiesta della banca di essere ammessa con il suo credito alla ripartizione dell’attivo patrimoniale dopo che lo Stato aveva confiscato a Gaetano Riina l’immobile di Mazara del Vallo insieme a una serie di altri beni. 

Il difetto di buona fede

Le motivazioni, che svelano l’inedito ruolo della banca nella vicenda giudiziaria, ratificano in maniera perentoria un’altrettanto inedita decisione dello scorso aprile del tribunale di Palermo che confermava l’esclusione di Unicredit dai creditori ammessi allo stato passivo anche a causa del «difetto di buona fede» di Bds nel finanziare membri della famiglia Riina. L’eco della sentenza comincia a filtrare negli studi legali e ai piani alti di Unicredit, insieme a una domanda: c’era bisogno di arrivare fino in Cassazione nel 2025 su una questione così spinosa, avallando la correttezza di un credito del Banco di Sicilia ai Riina? Secondo fonti legali vicine a Unicredit è prassi del gruppo agire in giudizio in ogni grado per difendere il credito, la buona fede al momento dell’erogazione e il rispetto delle regole sulla valutazione del merito creditizio. Prassi che viene applicata sempre, ogni volta che c’è una situazione creditizia da recuperare.





















































Quel giorno dal notaio 

Tutto comincia il 18 ottobre 2005 in uno studio notarile. Il funzionario della filiale di Mazara del Vallo eroga 120mila euro di mutuo prima casa, il notaio redige l’atto e Maria Concetta acquista un appartamento di 10 vani. Nel contratto intervengono formalmente anche i genitori di Maria Concetta come fideiussori, cioè garantiscono alla banca il pagamento del debito, rata dopo rata. Anni dopo sarà accertata dalla magistratura l’intestazione fittizia dell’immobile alla figlia da parte di Gaetano Riina.

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Gli ergastoli dei Riina

Il peso del cognome dei contraenti non può sfuggire al funzionario della banca. Nel 2005 Totò Riina, arrestato nel 1993 e morto a 87 anni nel 2017 con 26 ergastoli sulle spalle, è nel carcere di Opera (Mi) e sempre nel 2005 anche il suo secondogenito, Giovanni, finisce all’ergastolo per quattro omicidi. Gaetano Riina, parte del contratto come garante con la moglie fino alla cifra di 190 mila euro, era invece “pulito”? O era ravvisabile un collegamento diretto, “strumentale”, tra la concessione del mutuo e la sua attività illecita?

La linea di Unicredit

Nessuna strumentalità secondo la linea espressa nel procedimento dai legali di Unicredit, perché il fratello del boss era stato oggetto di misure di prevenzione nel lontano 1994 («la banca non poteva conoscerle non avendo accesso alle banche dati della polizia giudiziaria») mentre un’ulteriore misura sarebbe stata irrogata solo nel 2017, molto dopo il mutuo. Quindi come si poteva pensare nel 2005 che il signor Gaetano, “Zú Tano”, coltivasse attività criminali? Ma anche perfetta buona fede perché Maria Concetta era incensurata, titolare di un proprio reddito autonomo e «mai è emerso un collegamento con le attività illecite dello zio».

Nessuna negligenza

E poi sul merito creditizio (cioè la capacità di restituire il debito) nessuna negligenza della banca – sempre secondo le tesi di Unicredit – perché a differenza di quanto affermato dal tribunale di Palermo era stato «verificato il reddito sia della mutuataria (Maria Concetta Riina, ndr) che dei fideiussori (i genitori, ndr)» e dunque «il reddito della famiglia era sufficiente per il pagamento della rata».

Il giudice ammazzato

Prima di dar conto delle conclusioni della Cassazione, riportiamo stralci di un lancio dell’Ansa («Mafia: Omicidio giudice Giacomelli, ergastolo a Riina») del 28 marzo 2002, tre anni prima dell’erogazione del mutuo: «Secondo l’accusa il capo di Cosa nostra avrebbe decretato la morte del magistrato Alberto Giacomelli, che era in pensione da più di un anno, perché da presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Trapani aveva ordinato nel 1988 la confisca di alcuni beni, fra i quali appezzamenti di terreno e case di Gaetano Riina, fratello di Totò. Un affronto che il boss non poteva lasciare impunito». La notizia ebbe ampia eco sulla stampa nazionale.

La sentenza della Cassazione

La Cassazione, quinta sezione penale, nell’udienza del 27 novembre scorso sottolinea anche questa fondamentale circostanza nel respingere il ricorso di Unicredit e nel confermare in toto il decreto del tribunale di Palermo secondo cui ci fu strumentalità del credito rispetto all’attività illecita. Per vari motivi tra cui la «già accertata appartenenza di Gaetano Riina all’associazione mafiosa Cosa nostra», «lo stretto rapporto di parentela con il noto boss di mafia Salvatore Riina», il fatto che lo stesso Gaetano «fosse stato destinatario di una confisca di prevenzione su beni situati in Mazara del Vallo …» e poi anche il fatto che il percorso criminale fosse da ritenere noto, senza particolari accertamenti, in un centro di piccole dimensioni come Mazara del Vallo.

Il prezzo dell’immobile e il mutuo

È rilevante anche la differenza tra l’importo del mutuo concesso (120 mila euro) e quello contenuto nell’atto notarile (97 mila) perché indicativa, secondo la Corte, di una diversa finalità a cui era destinata la somma erogata dalla banca: «L’accensione di un mutuo costituisce uno dei più comuni artifici per riciclare denaro di provenienza illecita», denaro che viene reimmesso nel circuito legale con il pagamento delle rate e contestualmente ci si «assicura l’acquisto di beni apparentemente “puliti”, in quanto pagati con denaro proveniente dalla banca».


«Grave negligenza»

I giudici confermano anche le anomalie e la «grave negligenza» nell’attività istruttoria. È emerso infatti che «Gaetano Riina, pur se proprietario di un immobile del valore di 10 mila euro, lo era solo per una quota del 20%» e che la moglie aveva dichiarato la piena proprietà di un altro immobile da cui percepiva 150 euro al mese di locazione ma alla banca «aveva prodotto un contratto di locazione non registrato e la cui durata era scaduta» senza «in alcun modo aver documentato l’effettiva riscossione del canone»; e comunque la signora era titolare e locatrice di quell’immobile solo per un quarto. Dunque anche la scarsa diligenza della banca e la mancata corrispondenza tra importo del mutuo e reale prezzo pagato per l’immobile hanno convinto prima il tribunale e poi la cassazione del «difetto di buona fede del creditore». 

L’appartamento ora è dello Stato

Gaetano Riina, arrestato nel 2011 e condannato per associazione mafiosa ed estorsione aggravata, dopo 10 anni di carcere è finito ai domiciliari a Mazara del Vallo dove è morto nel 2024 a 90 anni. L’appartamento, comprato e ristrutturato anche con i soldi del Banco di Sicilia, gli era stato confiscato con altri beni nel 2018. Il ricorso di Unicredit per recuperare i soldi prestati da Bds ai Riina è stato definitivamente respinto e la banca condannata al pagamento delle spese processuali.

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