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Majorana 1 di Microsoft: il quantum computing entra in una nuova era


Con il lancio del processore Majorana 1, Microsoft compie un passo significativo verso la democratizzazione del quantum computing. Questo innovativo chip quantistico, basato su qubit topologici, promette di rivoluzionare il settore grazie alla sua stabilità e resistenza agli errori, aprendo nuove possibilità per applicazioni pratiche in vari campi scientifici e industriali.

Esploriamo le potenzialità di questa tecnologia e il suo impatto futuro.

Majorana e topoconduttori: un nuovo stato della materia

Ho una curiosità che mi porto dietro dai tempi in cui, leggendo le intuizioni di Richard Feynman, mi appassionai all’idea che la meccanica quantistica potesse essere utilizzata per risolvere problemi che i computer “classici” non sarebbero mai stati in grado di affrontare in maniera esaustiva. Feynman, già negli anni Ottanta, sosteneva che “per simulare la natura, che è quantistica, abbiamo bisogno di computer quantistici.”

Erano riflessioni pionieristiche, difficilmente comprensibili al primo impatto, che all’epoca sembravano quasi fantascienza: Feynman si rendeva conto di quanto fosse complicato riprodurre le interazioni tra particelle subatomiche con i calcolatori tradizionali e ipotizzava che solo macchine basate su principi quantistici avrebbero potuto gestire in modo efficiente tali simulazioni.

Il 19 febbraio 2025, dopo circa vent’anni di ricerche (in parte silenziose), Microsoft ha annunciato qualcosa che pare segnare un punto di svolta concreto: il processore Majorana 1, un chip quantistico fondato su una “Topological Core Architecture” completamente nuova.

Le parole chiave di questa architettura sono due: “Majorana” e “topoconduttori”. Il nome Majorana fa riferimento ai cosiddetti fermioni di Majorana, particelle di carica neutra teorizzate nel 1937 dal fisico catanese Ettore Majorana, scomparso misteriosamente un anno più tardi. Erano rimaste a lungo “solo” un’ipotesi: non esistono come particelle libere in natura, nel senso che non le troveremo vagare spontaneamente nel cosmo, ma possono emergere come quasi-particelle in particolari stati della materia (quelli che Microsoft ha definito “topoconduttori”).

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Con il nome “Majorana 1” si è proprio voluto fare una dedica evidente al nostro scienziato.

Tornando alle particelle, oggi possiamo dire che “esistono” perché è stato possibile crearle e osservarle, anche se si manifestano unicamente in condizioni estremamente specifiche, entro materiali appositamente ingegnerizzati.

La particella di Majorana ha la curiosa proprietà di essere la propria antiparticella. Per capire cos’è un’antiparticella, immaginiamo che ogni particella elementare (come l’elettrone) abbia una “controparte” con stessa massa ma carica opposta (l’antielettrone o positrone, per esempio). Due particelle-antiparticelle, incontrandosi, possono annichilirsi a vicenda. Nel caso di Majorana, essendo neutra, la particella coincide con la sua controparte: ciò offre peculiarità che la rendono interessante per costruire qubit stabili e resistenti agli errori.

Il qubit topologico e la sfida dell’errore quantistico

La scommessa di Microsoft è stata quella di decidere di usare i fermioni di Majorana per realizzare i cosiddetti qubit topologici, in cui l’informazione quantistica (il “qubit”, dal termine coniato dal fisico Benjamin Schumacher) viene protetta da una sorta di “scudo” naturale a livello di hardware.

Perché questa enfasi sui qubit stabili?

Uno dei limiti principali dei computer quantistici è la fragilità dei qubit, facilmente disturbati dall’ambiente circostante (rumore termico, elettromagnetico e così via). Se esiste un meccanismo di protezione “intrinseco” — come nel caso di certi stati topologici della materia — il sistema diventa meno soggetto a errori e, quindi, più adatto a scalare verso numeri elevati di qubit.

Non a caso, Microsoft ha lavorato a lungo su un “nuovo materiale” ibrido tra semiconduttore e superconduttore, l’indio arsenico unito all’alluminio: questo materiale, che abbiamo chiamato “topoconduttore”, fornisce l’ambiente in cui le particelle di Majorana possono apparire e venire controllate elettricamente. Il risultato è il processore Majorana 1, il cui obiettivo dichiarato è arrivare a un milione di qubit su un singolo chip, in un form factor grande quanto il palmo di una mano.

Coerenza quantistica e criostati: perché serve il “super-frigorifero”

Per ottenere un comportamento quantistico stabile, il chip Majorana 1 deve essere raffreddato a temperature prossime allo zero assoluto, all’interno di un criostato.

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Non può essere altrimenti.

Questo “super-frigorifero” non è opzionale: serve infatti a minimizzare il “rumore termico”, cioè la vibrazione e l’agitazione termica delle particelle che, a temperature più alte, disturberebbero pesantemente i qubit. Quando un qubit perde coerenza, si dice che subisce decoerenza: in pratica la sua fragile sovrapposizione di stati quantistici si distrugge o si “mescola” con l’ambiente, rendendo impossibile il calcolo quantistico desiderato.
Per fare un esempio semplificato, è un po’ come se una delicata melodia finisse coperta dal frastuono di una strada trafficata: la musica non si percepisce più e non possiamo “leggerla” correttamente.

Alcuni si chiedono come sia possibile parlare di “chip tascabili” se poi servono ingombranti sistemi criogenici. La verità è che oggi quasi tutti i dispositivi quantistici funzionano così, e ci vorrà tempo prima che nascano alternative che riescano a tollerare temperature più elevate. L’obiettivo di Microsoft è quello di rendere il criostato sufficientemente compatto da poterlo installare come un modulo speciale nei suoi data center, permettendo all’utente finale di usufruire della potenza quantistica senza doversi occupare fisicamente del “frigorifero quantistico”.

I dubbi della comunità scientifica e il non-Abelian braiding

Il cammino verso un vero qubit topologico è (naturalmente) ancora in corso e alcuni ricercatori, come Jason Alicea del Caltech, invitano alla prudenza. Prima di dichiarare “missione compiuta”, occorrono prove più approfondite delle varie proprietà che rendono così speciale la particella di Majorana. Una di queste è il cosiddetto non-Abelian braiding: è il fenomeno secondo cui, scambiando due fermioni di Majorana, lo stato quantistico complessivo cambia a seconda dell’ordine con cui li si intreccia, come se “nodi” differenti di un filo producessero risultati diversi. Questo permette di codificare l’informazione in modo robusto agli errori.

Nell’annuncio si parla anche di un effetto noto come “charge island” nei nanofili di indio arsenico e alluminio. Senza scendere nei dettagli più complessi, si tratta della misurazione di discreti salti di carica elettrica in un minuscolo circuito superconduttore, un indicatore importante ma non ancora una prova completa di tutte le proprietà topologiche.

Quello che si farà, con test ripetuti e condivisi da più laboratori, è la dimostrazione che nel processore Majorana 1 avvenga effettivamente l’intreccio non-Abeliano. Se così sarà, l’intera comunità scientifica potrà dire di aver davvero creato qubit topologici “puri”.

Le cosiddette “proprietà magiche” di cui si parla sono proprio la robustezza intrinseca del qubit e la capacità di resistere alle perturbazioni esterne, riducendo drasticamente il tasso di errore e semplificando il controllo su larga scala. È ciò che renderebbe le architetture topologiche così appetibili per superare i limiti dei qubit tradizionali.

Il ruolo di DARPA e la corsa verso il “quantum utility-scale”

A conferma del fatto che Microsoft non è sola a credere in questa tecnologia, c’è la partecipazione al programma US2QC (Underexplored Systems for Utility-Scale Quantum Computing) della DARPA, l’agenzia statunitense per progetti di ricerca avanzata in ambito difensivo. In questo programma, Microsoft è stata scelta – insieme a un’altra azienda (ufficialmente non nominata nei comunicati) – per passare alla fase finale: creare il primo computer quantistico “utility-scale”, cioè con un numero di qubit e un’affidabilità tali da offrire vantaggi concreti in applicazioni reali, su vasta scala.

Non si parla, quindi, di un prototipo buono per le dimostrazioni accademiche, ma di un sistema da installare nei data center. In pratica, quello che vogliamo fare è integrare il quantistico con la potenza del calcolo classico e le risorse di Azure, ponendosi come fornitore di servizi cloud “completo”.

AI e quantum: la visione di Satya Nadella

Satya Nadella, in una recente intervista, ha sottolineato la sinergia tra intelligenza artificiale e calcolo quantistico.

L’idea è che, usando un computer quantistico, si possano generare dati sintetici estremamente precisi in campi come chimica, fisica dei materiali o biochimica. Questi dati, “parlando la lingua della natura”, permetterebbero all’AI di addestrarsi su modelli molto più accurati.

Questo è un punto cruciale: gran parte dei problemi più complessi nel design di farmaci, nella ricerca di nuovi materiali o nell’ottimizzazione industriale coinvolgono interazioni quantistiche difficilissime da simulare con i metodi classici.
Un esempio immediato: se volessimo trovare la miglior combinazione molecolare per un nuovo farmaco, un computer quantistico potrebbe fornire informazioni precise su come le molecole reagiranno, molto prima di passare alla sperimentazione reale. Questo consentirebbe un approccio “first-time-right” (riuscire al primo tentativo), radicalmente diverso dagli attuali metodi di “tentativi ed errori” che possono costare anni di ricerche e miliardi di investimenti.

L’integrazione nei data center

La materia “topologica” di cui si parla, e che permette di intrappolare questi fermioni, si basa su legami matematici che definiscono proprietà altrimenti inaccessibili. È un concetto lontano dalla fisica tradizionale (stato solido, liquido, gassoso), perché qui non si osserva il materiale tanto per la sua forma macroscopica, quanto per il modo in cui gli stati elettronici si organizzano a livello quantistico.

Creare un topoconduttore è un’impresa che implica la deposizione atomica di indio arsenico e alluminio con una precisione incredibile. Se la struttura non è perfetta, i fermioni di Majorana non “appaiono”. Questo spiega la natura fortemente sperimentale e ingegneristica dell’impresa, e perché ci siano voluti vent’anni per arrivare a questo risultato comunicato ufficialmente.

Da un punto di vista infrastrutturale, come si fa a conciliare un minuscolo chip con un sistema di raffreddamento tanto grande? La risposta è che un quantum computer, almeno secondo le tecnologie oggi note, è composto effettivamente da un piccolo processore e da un grande criostato.

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Microsoft mira a rendere quest’ultimo abbastanza compatto da poter essere ospitato (o modulato) all’interno dei suoi data center. È un po’ come avere un’unità di elaborazione speciale, dedicata al calcolo quantistico, ma resa disponibile su Azure: in azienda o a casa, l’utente vedrebbe solo un servizio, come un qualsiasi altro servizio cloud, senza dover gestire personalmente il “frigorifero quantistico”.

Decenni di attesa e la visione di un futuro post-silicio

Chi ricorda le parole di Feynman decenni fa, o chi ha seguito l’evoluzione del calcolo dai primi computer a valvole termoioniche, potrebbe rimanere a bocca aperta davanti a questi annunci.

C’è però ancora dello scetticismo, perché un milione di qubit è un numero enorme, e le sfide pratiche restano notevoli. Eppure, l’agenzia DARPA – conosciuta per aver sostenuto progetti pionieristici che in passato hanno cambiato la storia (basti pensare ad ARPANET, l’antenato di Internet) – ha scelto Microsoft come uno dei protagonisti. Segno che almeno a livello istituzionale c’è la percezione che questa ricerca possa portare a risultati concreti.

Dal mio punto di vista, trovo affascinante il voler costruire (e rendere disponibile) una piattaforma di calcolo realmente fruibile, integrando quantum, AI e servizi cloud.

Il nostro progetto di “computer quantistico utility-scale” fa venire in mente l’evoluzione che i semiconduttori hanno avuto negli ultimi decenni, passando dai grandi calcolatori a valvole, poi ai transistor, quindi ai microprocessori con miliardi di componenti.

La prudenza necessaria e la prospettiva rivoluzionaria

Resta ancora da dimostrare, con rigore sperimentale, che l’architettura topologica sia la chiave definitiva per ottenere qubit stabili e resistenti alle interferenze su larga scala. Serviranno nuovi test, conferme incrociate, pubblicazioni peer-reviewed e possibili correzioni di rotta. Ma se solo una parte delle promesse di Majorana 1 dovesse concretizzarsi, ci troveremmo di fronte a un passaggio epocale, paragonabile alla transizione dal tubo a vuoto al transistor.

Io, nel frattempo, continuo a osservare con curiosità e parecchio entusiasmo. Mi affascina la combinazione di ricerca teorica, fisica degli stati di materia, ingegneria e infrastrutture cloud che convergono in un progetto così ambizioso. Mi ricorda un po’ la rivoluzione dell’Intelligenza Artificiale: a un certo punto, tutto il lavoro accademico (nato decine di anni fa) si è unito all’evoluzione hardware e alla potenza computazionale, e da lì le idee sono diventate soluzioni alla portata di tutti.

Quando, nel 2017, mi chiedevo quanto fosse lunga la strada verso il “qubit”, non immaginavo che soltanto otto anni dopo avremmo discusso di chip quantistici da un milione di qubit in uno scenario di democratizzazione a medio termine.

Oggi, a cinquant’anni dal primo prodotto ufficiale Microsoft (una versione di BASIC per il leggendario Altair 8800), sembra davvero che stiamo entrando in una nuova era — forse potremmo già definirla “post-silicio”. Le potenzialità sono enormi, e la storia ci insegna che, in questi momenti, tutto dipende dalla capacità di unire visione e sperimentazione concreta.
In definitiva, Majorana 1 segna un passo da gigante (almeno nelle intenzioni e nei primi riscontri) verso un quantum computing che mira non solo alle dimostrazioni di laboratorio, ma a un impatto reale su settori strategici come chimica, farmaceutica, scienza dei materiali e tanto altro.

Che si tratti di creare farmaci in modo più rapido, progettare componenti industriali auto-rigeneranti o simulare reazioni chimiche con un’accuratezza finora impensabile, i prossimi anni saranno decisivi per verificare se la promessa di un “transistor dell’era quantistica” saprà davvero mantenere il suo slancio.

Che tempi meravigliosi!

Per approfondire:

Microsoft’s Majorana 1 chip carves new path for quantum computing

https://news.microsoft.com/source/features/ai/microsofts-majorana-1-chip-carves-new-path-for-quantum-computing



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