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Depistaggi – La Sicilia dei Rutilius dove non esiste il doppio binario


Se tutto è relativo in Sicilia lo è ancora di più, dove anche ciò che è normato diventa oggetto di libere interpretazioni al di fuori di ogni regola e persino della logica.

La stessa cosa accade per quanto riguarda le attività tradizionali a cui preposte le forze di polizia e i compiti dei servizi di informazione, il cosiddetto doppio binario che dovrebbe operare un distinguo tra le attività di diversa natura rispetto le quali ai servizi spetterebbero quelle relative alla tutela della sicurezza della Repubblica.

Ciò che apparentemente sembra chiaro, non lo è più nel momento in cui si parla di compiti “operativi” che diventano causa di problemi rispetto l’individuazione di uno specifico fondamento costituzionale.

Nei giorni scorsi mi sono trovato a riflettere sulla rete di spionaggio degli Stati Uniti che monitorava anche le conversazioni di leader di paesi amici.

Attività “poco  ortodosse” svolte un po’ da tutti i servizi d’informazione, come raccontò a suo tempo l’ex contractor della NSA Edward Snowden,  aprendo il cassetto dei “lavori sporchi” di Germania, Francia, Spagna e Svezia.

Unici a uscire indenni da quella storia furono i servizi italiani, giudicati dall’intelligence inglese troppo “litigiosi e incapaci”  per poter partecipare a progetti di carattere internazionale.

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Pronta la risposta italiana secondo la quale i nostri servizi segreti “sono più garantisti” di quelli di altri Paesi e “non sono disponibili ad andare al di là di quanto previsto dall’ordinamento”.

Siamo sicuri?

In Sicilia il confine tra forze di polizia e forze di sicurezza è stato sempre effimero, così come prova il doppio ruolo di Arnaldo La Barbera, appartenente alla Polizia di Stato, fonte Catullo per il Sisde, e poi Rutilius nella doppia veste di poliziotto e di appartenente ai servizi segreti.

Non esiste più il doppio binario, e l’uomo dei servizi segreti è quello che contemporaneamente coordina le indagini su gravissimi fatti di sangue.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Lo stesso a cui subito dopo la strage di Capaci  viene consegnata la borsa di Giovanni Falcone, della quale successivamente non si avrà più notizia; lo stesso nel cui ufficio il sovrintendente della Polizia di Stato Francesco Paolo Maggi, dopo l’attentato di via D’Amelio, portò la borsa del giudice Paolo Borsellino, che avrebbe dovuto contenere la famosa agenda rossa, mai più ritrovata.

Senza dimenticare il ruolo di Arnaldo La Barbera nella genesi del falso pentito Scarantino – a cui si deve quello che forse fu il più grande depistaggio della storia italiana – seguito da processi e condanne di innocenti, le cui risultanze vennero ribaltate diciassette anni dopo da Gaspare Spatuzza nel processo Borsellino quater.

A voler smentire una dichiarazione di Spatuzza rispetto la presenza di un uomo non appartenente all’organizzazione mafiosa – probabilmente un poliziotto o un appartenente al Sisde –  nel garage in cui venne imbottita di esplosivo l’auto per la strage di via D’Amelio, è il pentito Maurizio Avola.

Avola che quasi trenta anni dopo dalle sue prime propalazioni – forse con un grande sforzo di memoria – dichiara di avere preso parte alla strage di via D’Amelio con i boss catanesi Marcello D’Agata, Eugenio Galea e Aldo Ercolano, escludendo la presenza di soggetti esterni all’organizzazione mafiosa.

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Secondo la Procura di Caltanissetta – che indaga sulle stragi del ’92 – Maurizio Avola rispetto la strage di via D’Amelio mente, avanzando il dubbio che possa anche essere eterodiretto, chiedendo dunque l’archiviazione delle indagini scaturite dalle dichiarazioni del pentito.

Maurizio Avola

Il sospetto di un nuovo depistaggio, viene avanzato in un editoriale del giornalista Fabrizio Gatti, che riporta come un’agenzia israeliana doveva salvare il super-killer mettendo a disposizione il test della macchina della verità sulla voce di Avola.

Un articolo da leggere.

Se in altre nazioni il coinvolgimento di appartenenti ai servizi di sicurezza  viene ipotizzato in alcuni gravi episodi che riguardano la nazione stessa, il famoso rispetto dell’ordinamento giuridico in Italia viene messo in discussione quotidianamente a partire dal dopoguerra  con le stragi dei sindacalisti in Sicilia, per arrivare alle stragi del ’92, con l’adesione – o la sudditanza – di talune strutture o di taluni soggetti  aderenti a un “pactum sceleris”,  che vide fin dalla sua nascita il doppio ruolo con i servizi segreti di funzionari di forze di polizia.

Catullo, Rutilius, Svetonio, Virgilio… nomi che si rifanno alla letteratura latina. Neppure Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano che con Matteo Messina Denaro ebbe uno scambio epistolare, comprese come mai l’allora latitante gli avesse dato il nome Svetonio (Intervista al minuto 9:40). Fu Matteo Messina Denaro a dare quel nome? Dei pizzini scambiati con il boss conosciamo quelli rinvenuti quando venne arrestato Provenzano, ma cosa scriveva il latitante nei pizzini a Vaccarino e da questi consegnati al Sisde, e soprattutto, cosa scriveva il Sisde nelle risposte? Con il prossimo articolo proveremo a capire cosa accadde e che fine fece quello scambio epistolare.

Gian J. Morici



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