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Finanziamenti e contributi

La sanzione per infedele dichiarazione assorbe anche l’omesso versamento dell’imposta


La sanzione per infedele dichiarazione assorbe anche il mancato versamento dell’imposta. Lo ha precisato la Corte di Cassazione

Laddove il mancato versamento dell’imposta sia diretta conseguenza della omessa indicazione nella dichiarazione dell’importo dell’imposta effettivamente dovuto, tale comportamento integra dichiarazione infedele, per la quale è prevista la sanzione più grave che copre, pertanto, non solo la violazione formale dell’infedele dichiarazione, ossia di una dichiarazione errata, recante un importo inferiore a quello realmente dovuto, ma anche il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta.

Con questi termini si è espressa la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 4187/2025.

La sanzione per infedele dichiarazione assorbe anche l’omesso versamento dell’imposta

Nel caso in esame una società, con riferimento ai redditi del 2008, presentava, in data 30 settembre 2010, dichiarazione integrativa a sfavore con cui indicava un maggiore imponibile ai fini IRES rispetto a quello indicato nella dichiarazione originaria, presentata il 29 settembre 2009.

In ragione di ciò, nella medesima data, avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso, versava la differenza a saldo, gli interessi dovuti e la sanzione per infedele dichiarazione di cui all’art. 13 Dlgs n. 472 del 1997 nella misura ridotta di 1/10.

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L’Ufficio, procedendo al controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi del 2009, riscontrava, tuttavia, il tardivo versamento degli acconti versati rispetto a quanto indicato con la dichiarazione in rettifica relativa all’anno 2008. Per l’effetto, notificava alla contribuente la cartella con la quale intimava il versamento delle sanzioni previste dall’art. 13 Dlgs n. 471 del 1997 per tale ipotesi.

Con il ricorso la società ha assunto l’illegittimità della sanzione irrogata con la cartella di pagamento perché, tramite il ravvedimento operoso per l’infedele dichiarazione del 2008, aveva già sanato la propria posizione. Osservava, infatti, che gli acconti IRES dovuti per il 2009 erano stati corrisposti nei termini e nella misura dovuta con il metodo storico in ragione della dichiarazione originaria di redditi presentata il 29 settembre 2009.

Il ricorso stato respinto in entrambi i gradi di giudizio.

La CTR, in particolare, confermava che si trattava di due diverse violazioni, anche temporalmente distinte; che per la prima, relativa all’anno 2008, di infedele dichiarazione, la società si era avvalsa del ravvedimento operoso; che per la seconda, relativa all’omesso versamento degli acconti effettivamente dovuti – che la contribuente aveva versato in ragione di quanto originariamente dichiarato e non di quanto oggetto di successiva rettifica – la società avrebbe dovuto e potuto ricalcolarli, evitando, così, di incorrere in nuova sanzione.

La Corte di Cassazione ha invece ritenute fondate le doglianze della società.

Il parere della Cassazione

Il Collegio, pronunciandosi dapprima in materia di IVA, ha già precisato che l’art. 5 del Dlgs n. 471 del 1997 punisce la dichiarazione infedele, che si realizza quando il contribuente indica un importo inferiore a quello dovuto; mentre la disposizione di cui all’art. 13 del Dlgs citato punisce il mancato pagamento, alle scadenze stabilite, delle somme indicate dal contribuente nella dichiarazione, senza che rilevi al riguardo la loro indicazione nella contabilità.

Ne deriva che, in caso di omessa indicazione, nella dichiarazione annuale IVA, dell’importo effettivamente dovuto, il mancato pagamento dell’imposta costituisce diretta conseguenza dell’omessa dichiarazione, integrandosi in tal modo la fattispecie sanzionatoria di cui all’art. 5 del Dlgs. n. 471 del 1997, che copre sia la violazione formale, sia il conseguente ed inevitabile mancato pagamento dell’imposta dovuta, con conseguente assorbimento della sanzione meno grave di cui all’art. 13 del Dlgs citato. (Cass. n. 7436/2023, Cass. n. 27963/2020).

Il principio è stato successivamente ripreso in tema di imposte dirette – con riferimento alle quali sono previste analoghe sanzioni – precisando che si tratta di affermazione espressa a definizione di una controversia in tema di IVA, ma formulata con generale riferimento ad ogni ipotesi di violazione di disposizioni tributarie (Cass. n. 483/2022 e Cass. n. 35066/2022).

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Si è osservato, infatti, che la disposizione in esame non sanziona il mero “omesso versamento” dell’imposta ma, piuttosto, la mancata esecuzione, in tutto o in parte, dei versamenti dell’imposta risultante dalla dichiarazione e presuppone, pertanto, che dalla dichiarazione redatta dal contribuente emerga un preciso importo come imposta dovuta e che l’importo dichiarato non sia stato successivamente versato.

Da ciò discende che, laddove il mancato versamento dell’imposta sia diretta conseguenza della omessa indicazione nella dichiarazione dell’importo dell’imposta effettivamente dovuto, tale comportamento integra dichiarazione infedele, per la quale è prevista la sanzione più grave che copre, pertanto, non solo la violazione formale dell’infedele dichiarazione, ossia di una dichiarazione errata, recante un importo inferiore a quello realmente dovuto, ma anche il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta, non potendo ovviamente, in tal caso, la parte contribuente provvedere materialmente al versamento dell’importo corretto, atteso che il pagamento corrisponde al dato indicato nella stessa dichiarazione.

Sulla base di tali principi la Corte di legittimità ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha accolto l’originario ricorso del contribuente.



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