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Sheng Lim: “Grazie a ricerca e piccole start up un giorno sarà possibile ricorrere alla vista virtuale”


Il professor Sheng Lim è un oftalmologo del St Thomas’ Hospital di Londra, di cui dirige la ricerca oftalmologica.

Qual è la differenza tra un oculista, un oftalmologo e un optometista?
«Oculista è un vecchio termine tradizionale, in genere sostituito oggi da “oftalmologo”, anche se viene tuttora utilizzato (per esempio, l’oftalmologo della famiglia reale britannica viene chiamato King’s Oculist). Gli optometristi sono ottici che controllano la vista e prescrivono occhiali, mentre l’oftalmologo è un medico che cura gli occhi, anche con operazioni chirurgiche».

Quando ha deciso di diventare oftalmologo?
«Nell’ultimo anno di medicina, dopo aver visto la gioia di un paziente tornato a vedere dopo la rimozione della cataratta».

Si specializza nella cura del glaucoma e della cataratta, di quali malattie si tratta?
«Sono entrambi tra le cause principali di cecità. La cataratta è un’opacizzazione del cristallino dell’occhio, che si può correggere con una operazione chirurgica relativamente semplice. Il glaucoma è invece una condizione in cui la pressione intraoculare danneggia il nervo ottico, portano potenzialmente a una perdita della vista irreversibile. La cataratta si manifesta con una visione sfocata, mentre il glaucoma spesso non ha sintomi fino a che non ha fatto gravi danni».

Oggi è più facile rimuovere la cataratta rispetto ai suoi esordi?
«Assolutamente, è una procedura ormai comune e ad alto tasso di successo. Noi usiamo una tecnica moderna che permette una incisione di due millimetri, con l’ultrasuono che spezza e rimuove il cristallino appannato, che viene sostituito da una lente plastica pieghevole iniettata dentro l’occhio».

Quanto dura e quanto è delicata?
«Di solito l’operazione si conclude in meno di 20 minuti e riesce bene. Usiamo microscopi e apparecchiature moderne che rendono la chirurgia rapida e sicura».

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Come diagnosticate invece il glaucoma?
«Il problema è che non procura sintomi fino a uno stadio avanzato. Se avete più di 40 anni, dovete fare controlli regolari con un ottico, incluso lo screening per il glaucoma, soprattutto se avete dei precedenti familiari».

Si cura con farmaci o con una operazione?
«La maggioranza dei pazienti possono venire curati con gocce o semplici procedure al laser. Se però la pressione intraoculare continua a crescere, potrebbe rendersi necessaria una operazione. In genere, il 20-30% dei malati prima o poi richiedono un intervento chirurgico».

Quali sono le differenze con la chirurgia per la cataratta?
«Per la cataratta sostituiamo il cristallino naturale con quello di plastica. La chirurgia per il glaucoma drena liquido dall’occhio, o collocando un tubicino o riducendo la pressione. È più complicata e ha un rischio maggiore di complicazione, la consigliamo ai pazienti solo dopo che hanno provato i colliri e il laser».

Cura il glaucoma in modo permanente?
«Quando riesce, l’operazione permette di ristabilire un equilibrio perfetto della pressione, che può durare per molti anni. Il nuovo canale di drenaggio però può ostruirsi per un’infiammazione o per la cicatrizzazione, e quindi la chirurgia non garantisce sempre una soluzione definitiva».

I pazienti hanno molta paura psicologica?
«Assolutamente. La vista è probabilmente uno dei sensi più intimi e importanti, e l’idea di perderla può generare molta angoscia. Il glaucoma causa danni permanenti, anche se l’intervento riesce non restituisce la vista perduta, tenta di salvarvi dalla cecità in 5-10 anni».

Curare la cecità è un sogno?
«Vorrei credere che sia possibile, ma è difficilissimo. Dovremmo trovare il modo di rigenerare le cellule che permettono la vista, che sono programmate per non ricrescere».

Si potrebbe inventare una vista virtuale grazie alla tecnologia?
«Il cervello genera immagini dai segnali dei neuroni che riceve. Esistono apparecchi che stimolano il lobo occipitale a emulare le immagini, che però per ora restano molto grezze. Credo che sarà possibile una vista virtuale, ma ci vorrà tempo per riuscire a percepire anche solo il 40-50% di quello che vedono gli umani, e per ora la tecnologia riesce a creare solo ombre ridotte».

Il suo obiettivo è che un giorno nessuno soffra di cecità?
«Assolutamente. Il mio scopo è trovare una cura per il glaucoma e prevenire la cecità. Sono pessimista sulla possibilità di poter vedere personalmente i risultati, ma sono molto ispirato dalla nuova chirurgia. I nuovi impianti però comportano ancora complicazioni e rischi».

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Cosa migliora le tecniche chirurgiche?
«Diverse cose: piccole società, start-up con idee innovative, ricercatori che sviluppano nuovi impianti».

Lo stato dell’oftalmologia è uguale più o meno ovunque, e il tasso di riuscita dipende solo dalla capacità del medico?
«Un medico addestrato è d’importanza cruciale, ma lo stato dell’oftalmologia non è uguale ovunque. A parte i Paesi con PIL basso, esistono sottili differenze qualitative, di cui la principale è la disponibilità di impianti e di colliri. In Europa e nel Regno Unito abbiamo una maggiore scelta che permette di adattarsi meglio alle necessità dei pazienti, rispetto all’America».

Esiste un fattore ambientale del glaucoma?
«I fattori ambientali possono aumentare il rischio, ma non hanno una grande influenza. Non ci sono prove convincenti che i raggi UVA e l’inquinamento possano incrementare il rischio, sono molto più importanti fattori come l’età e la genetica».

I suoi pazienti neri hanno un tipo di glaucoma simile a quello della popolazione di origine europea?
«Sì, il glaucoma primario ad angolo aperto, ma spesso lo sviluppano in età più giovane e hanno un rischio maggiore di insuccesso della chirurgia. I pazienti dell’Asia Orientale, come cinesi, mongoli e birmani, vengono invece colpiti più spesso dal glaucoma a chiusura angolare. La terapia del glaucoma è molto condizionata dall’appartenenza genetica».




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