Tutti la vogliono, tutti la desiderano, tutti aspettano la sua apparizione dall’Olimpo di Palazzo Chigi; tutti attendono il suo verbo per esistere, indignarsi, segnare le sue frasi con la matita rossa. Questa ossessione psichiatrica da parte della sinistra si veste sempre di un’ipocrita motivazione: le eventuali responsabilità della premier (per i ritenuti fallimenti del governo), e il sogno nemmeno sottaciuto di metterla in difficoltà di fronte a una sorta di Tribunale del Popolo, che Pd e grillini, con gli ascari di Alleanza Verdi e sinistra, amerebbero organizzare quotidianamente.
Lo scopo? Consumare dall’interno la compattezza dell’esecutivo, che gode di numeri lusinghieri (basta vedere i sondaggi), e minare una leadership riconosciuta non solo a livello nazionale, ma anche sul piano internazionale.
Non c’è evento, non c’è notizia, non c’è novità che non spingano la Schlein, Conte e compagnia cantando, a pretendere la presenza del “corpo fisico” della Meloni in Aula.
Ormai, siamo dentro un’infinita lista di proscrizione ideologica, di messa al bando totale, di campionato delle dimissioni chieste un giorno sì, l’altro pure. Alla faccia del garantismo e della civiltà parlamentare, che presuppone la dialettica e anche nel confronto-scontro, duro ma corretto, tra avversari e non nemici.
C’è il caso Almasri, il caso Santanchè, il caso Delmastro, la visita a Trump, le frasi di Salvini, solo per ricordare la cronaca, che l’opposizione non prepari una gogna in Aula.
Un’attesa, va detto, delusa, frustrata, repressa, che si aggiunge alle mancate rituali conferenze stampa che avevano abituato male o bene i giornalisti e gli osservatori, in primis del mainstream a diventare attori “protagonisti della democrazia”.
Da quando si è insediata la Meloni i giornaloni (Repubblica, Corriere e Stampa) hanno contato con grande rabbia e impotenza le volte che ha saltato gli appuntamenti canonici e istituzionali.
L’accusa è nota, trita e ritrita: scappa, è un coniglio, ha paura delle domande, è arrogante, non è democratica, non rispetta la legalità, i diritti dell’informazione e dei cittadini. Bene che vada, la narrazione è che bluffa; male che va, dice bugie, racconta fake, descrive un’Italia irreale, fantasiosa, successi inesistenti, numeri economici, occupazionali taroccati.
Ma al di là della logica politica, se non c’è il “corpo fisico” della Meloni pronto e disponibile a farsi divorare, sbranare dall’opposizione che attaccandola direttamente, in realtà la legittima, come unica vera interlocutrice, nel nome di un bipolarismo radicale e mediatico assoluto, il suo “corpo mistico”, invece, è altamente presente. Ossessiona i suoi alleati e gli stessi antagonisti.
L’irruzione del suo “corpo mistico”, infatti, ha tante declinazioni: quando meno te lo aspetti, appare dall’alto e spiega al popolo, anticipa le notizie, come egregiamente ha fatto con il noto avviso di garanzia per il caso Almasri. Dice la sua in modo unilaterale, senza timore di smentita e non cade nella trappola delle domande già commento politico, che fanno certi giornalisti trincerandosi dietro la libertà di opinione e il pluralismo.
E dimostra non solo l’attualità, ma anche l’efficacia di una comunicazione politica-via social, confinando al passato mediatico la sinistra.
Non è l’avvento di una democrazia diretta, di un premierato de facto che ha già sostituito il monopolio delle caste e delle oligarchie consuete?
E inoltre, una tragica verità: la sinistra non sa gestire il “corpo mistico” della Meloni.
Il suo rifiuto a farsi smembrare dalla gogna dell’opposizione non è mancanza di spirito democratico, perché quando vuole la premier sa affilare le sue armi e rispondere senza tema di smentita. La verità è che, con la sua postura, rispedisce al mittente la superiorità etica della sinistra, quel razzismo ideologico da rappresentanti del bene, dell’etica, del progresso, della cultura, della morale, da professionisti autoreferenziali dell’umanità, sconfitti ormai dalla storia e da quel vento di destra che si sta imponendo dagli Usa all’Europa.
Non c’è cosa più insopportabile per chi giudica quello di essere giudicati; per chi legittima quello di essere delegittimati, usando lo stesso metro.
Si chiama “eterogenesi dei fini”. E questo la sinistra non riesce proprio a digerirlo.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link