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Gas e nucleare, l’Italia punta su energie che ci rendono dipendenti dall’estero


La risposta fossile alla crisi energetica, quella basata su petrolio e metano, è lenta e incapace di affrontare in modo strutturale i problemi: non è un caso, forse, se ieri il governo si è trovato a discutere di un bonus per ridurre le bollette energetiche delle famiglie, nello stesso giorno in cui è arrivata al largo del porto di Ravenna la nave rigassificatrice Bw Singapore: è una delle infrastruttura che era stata acquistata nel 2022, a seguito dello scoppio del conflitto in Ucraina, per affrontare l’emergenza gas, in grado di stoccare 170mila metri cubi di gas liquefatto e rigassificarlo per una capacità complessiva di 5 miliardi di metri cubi l’anno.

Quando il progetto di Snam diventerà operativo saranno passati oltre tre anni dall’avvio del conflitto, anni persi rinunciando ad affrontare la questione della dipendenza dell’Italia da Paesi terzi: al posto della Russia, i nuovi «padroni del gas» sono gli Usa, grazie allo sfruttamento dei giacimenti di gas di scisto attraverso il fracking, la fratturazione idraulica che comporta (ovviamente) l’emissione in atmosfera di gas climalteranti. Il contributo di 200 euro a famiglia, quindi, rappresenta il tentativo di nascondere l’incapacità di «affrontare un problema sistemico», come evidenzia in una nota il Wwf: «La soluzione bonus una tantum se in minima parte tampona la grave condizione di disagio di moltissime famiglie italiane, di certo non offre soluzioni di medio-lungo periodo. Il tema della povertà energetica e del caro bollette necessita di politiche pubbliche di sistema, che puntino ad affrontare i veri problemi del costo dell’energia elettrica».

Ieri in consiglio dei ministri è stata avanzata una risposta a questa obiezione che però è sempre la stessa e si ripete dagli anni Ottanta, bocciata da due referendum e oggi ammantata da un’aurea di novità: il nucleare. Che sarebbe, però, una nuova «energia nucleare sostenibile» o anche il «nucleare di nuova generazione», secondo il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, anche grazie alla «creazione della newco tra Ansaldo Nucleare, Enel e Leonardo» che avrà come obiettivo «ricerca e sperimentazione nell’ottica di una produzione». Le nuove centrali, secondo alcune stime diffuse ieri, potrebbero essere disponibili a partire dal 2030. La delega approvata in consiglio dei ministri prevede intanto che il governo adotti una serie di decreti legislativi, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge approvata ieri, per disciplinare in maniera organica l’intero ciclo di vita del nucleare, con un Programma nazionale che affronti i temi della sperimentazione, della localizzazione, della costruzione e dell’esercizio dei nuovi «moduli», che non si chiamano più reattori per non ricordare gravi episodi del passato.

Poco importa ai pasdaran del nucleare che secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (non estremisti ambientalisti, basti pensare che il direttore viene da un passato all’Opec, l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), l’energia elettrica prodotta attraverso la tecnologia della fissione nucleare costa più del triplo di quella prodotta con il solare e l’eolico, anche gli impianti di terza o quarta generazione (di cui si riempiono la bocca i membri dell’esecutivo) producono rilevanti quantità di rifiuti altamente radioattivi e pericolosi come il plutonio, la cui radioattività si dimezza dopo 24 mila anni e hanno causato incidenti devastanti a Chernobyl e a Fukushima. Non è un caso, forse, se nel decreto delega si parla esplicitamente del fatto che i promotori dei progetti nucleari devono fornire adeguate garanzie finanziarie e giuridiche per coprire i costi di costruzione, gestione e smantellamento degli impianti e per i rischi, anche a loro non direttamente imputabili, derivanti dall’attività nucleare. Il dibattito su dove trasferire le scorie degli impianti chiusi dopo il referendum del 1987 è ancora aperto.

«È possibile, più ecologico ed economicamente conveniente decarbonizzare l’elettricità puntando solo sulle rinnovabili, come sta facendo la maggioranza dei Paesi europei» sottolinea in una nota la coalizione 100% Rinnovabili Network, formata da Università e centri di ricerca, imprese, sindacati, terzo settore, Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Greenpeace Italia, Kyoto Club, Legambiente e Wwf. Anche perché sole, vento e acqua sono risorse nazionali, mentre l’uranio no e al pari dei combustibili fossili metterebbe l’Italia in condizione di dipendenza da Paesi terzi, come l’Australia, il Kazakistan e il Canada, che ne detengono le maggiori riserve. Eppure, per l’esecutivo il nucleare sostenibile servirebbe a «favorire il raggiungimento dell’indipendenza energetica».



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