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“L’Europa ha bisogno di una deregulation. L’innovazione è il volano”




Mentre l’Europa fronteggia la minaccia di una guerra commerciale sui dazi e corre il rischio di perdere terreno sullo scacchiere geopolitico, l’Italia può essere un supporto fondamentale per fronteggiare la congiuntura avversa. Lo spiega Massimo Andolina, presidente Regione Europea di Philip Morris International, multinazionale che proprio nel nostro Paese ha realizzato il suo più importante stabilimento al mondo, completamente focalizzato sui prodotti innovativi senza combustione.

L’analisi del top manager parte proprio dall’attualità e dai timori legati ai ritardi strategici del Vecchio Continente.

Andolina, come si può invertire il trend?

«Il rapporto Draghi ha cristallizzato una serie di urgenze, tra cui la perdita di competitività dell’Ue, una crescita lenta, una stagnazione dei salari con conseguenze sulla popolazione. Senza una svolta, i sintomi si acuiranno. Serve un netto cambiamento di mentalità: un approccio troppo regolatorio e di sospetto ha soffocato l’iniziativa privata. È necessario iniziare a guardare all’innovazione come un’opportunità, non necessariamente come una minaccia. Prima di introdurre regole nuove, dovremmo pensare a quante toglierne di vecchie. Dobbiamo svegliarci».

Quali mosse possono aiutarci a uscire dall’impasse?

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«Dobbiamo anzitutto chiederci cosa rappresenterà un successo nel futuro e sostenerlo. Il primo passo è la deregolamentazione, che non vuol dire anarchia. Piuttosto significa avere un regime regolatorio pragmatico basato sul definire obiettivi, sul dialogare con l’industria e creare le condizioni per raggiungerli».

Sulla transizione green Bruxelles sta però ricalibrando i parametri con il Clean Industrial Deal.

«È giusto non ossessionarsi con regimi regolatori ispirati dalle ideologie, perché ottengono l’effetto opposto: il Green Deal, ispirato da un principio corretto, è poi stato applicato male. Dobbiamo concentrarci sul principio di neutralità dell’innovazione: quando c’è un’innovazione emergente, dovremmo anzitutto nutrirla e non ingabbiarla con regole».

Che ostacoli dovremmo cominciare a rimuovere?

«Qualunque startup dovrebbe avere un accesso più facile agli investimenti, come negli Usa. Dobbiamo poi risolvere il problema dell’accesso all’energia e soprattutto concentrarci sullo sviluppare le competenze rilevanti. Una recente ricerca rivela che moltissime pmi in Italia e in Francia non sono digitalizzate; penso che le grandi aziende come la nostra debbano avere un ruolo nell’accelerare un’inversione di tendenza».

In questo scenario che ruolo sta giocando l’Italia?

«Un ruolo importante e illuminato, perché se in Europa oggi si stanno mettendo in discussione alcuni approcci dogmatici e si inizia a parlare di come coniugare competitività, investimenti e sviluppo sostenibile, lo si deve soprattutto all’Italia e alle posizioni che ha portato in Europa. Il nostro Paese sta indicando la strada portando esempi di come tutelare le nostre filiere integrate. Inoltre, l’attuale stabilità politica rappresenta un tratto fondamentale per garantire l’attrazione di investimenti per riconquistare il ruolo di seconda potenza manifatturiera e agricola».

Qual è il contributo di Philip Morris a questo processo?

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«Fatti, dati e scienza attestano la nostra azienda come un esempio virtuoso. Ci siamo prefissati un obiettivo far sì che i fumatori che non smettono passino ad alternative senza combustione e lo abbiamo tradotto con investimenti in studi, ricerche e sviluppo di nuove tecnologie. Negli ultimi dieci anni abbiamo investito in Europa oltre 12 miliardi, di cui 3 solo in Italia. Questo ci ha permesso di diventare una delle aziende con il maggior numero di brevetti registrati a livello europeo e di creare un impiego indiretto di 100mila persone nella filiera, di cui 40mila in Italia, dove coinvolgiamo circa 8mila imprese.

In Europa siamo tra i più grossi contribuenti fiscali con oltre 200 miliardi e il nostro stabilimento di Crespellano (Bologna) esporta verso 50 Paesi per un valore annuo di circa 1,9 miliardi. Siamo un’azienda americana che ha il suo cuore in Europa e in Italia, con una ricaduta economica gigantesca».



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