(Aldo Pigoli docente di Storia dell’Africa contemporanea, Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Brescia e Milano)
Grande complessità e dinamismo, con scenari evolutivi caratterizzati, al contempo, da speranza e pessimismo. È la fotografia del contesto africano contemporaneo. Dei 33 Paesi considerati dalle Nazioni Unite a “basso sviluppo”, 32 sono Paesi dell’Africa subsahariana. Un terzo della popolazione di quest’area (circa 400 milioni di persone) vive in povertà estrema e la regione ha il più alto tasso di esclusione scolastica al mondo (il 20% nella scuola primaria; il 60% nei ragazzi tra i 15 e 17 anni). Inoltre, circa 600 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità e una parte significativa di Paesi africani fatica a rimanere «on track» per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile stabiliti dall’ONU.
Tuttavia, le risorse a disposizione dei Paesi africani per uscire da tale situazione sono enormi. Da un lato, una dotazione eccezionale di risorse minerarie, energetiche ed agricole presenti nel continente, in buona misura ancora minimamente sfruttate e con un alto valore strategico ed economico per gli scenari produttivi e commerciali del futuro. Dall’altro, una popolazione in costante crescita, con circa 2,5 miliardi di persone entro il 2050, e Nigeria, Repubblica Democratica del Congo e Etiopia tra le prime dieci potenze demografiche al mondo. Qui emerge con forza la complessità dei contesti africani. Da un lato grandi stimoli alla crescita economica, testimoniati dal fatto che oggi alcune economie africane crescono a ritmi significativi e con tassi ampiamente sopra la media mondiale: è il caso del Ruanda, che a seguito del genocidio del 1994 aveva perso oltre un terzo del Pil, e che oggi cresce a una media annua del 6-7% e si sta progressivamente trasformando da Paese dipendente dall’export di materie prime a produttore di beni manifatturieri, servizi e tecnologia. Dall’altro si prospettano sfide enormi a cui le leadership politiche ed economiche dei Paesi africani sono chiamate a rispondere fin da ora, per garantire un futuro di stabilità, pace e prosperità, allontanando gli spettri di tensioni, conflitti e guerre: il contesto del Sahel e in particolare Paesi quali Burkina Faso, Mali e Niger sono una testimonianza di quanto negli ultimi anni la stabilità politica non sia assicurata. In tutto ciò i Paesi africani devono confrontarsi con un sistema internazionale in rapido mutamento e caratterizzato da complessità e competizione.
Il continente africano benché ancora ai margini delle principali dinamiche produttive e commerciali a livello mondiale, è sempre più interessato dalla proiezione di interessi geoeconomici delle potenze emergenti. Oltre alla Cina, che nel corso degli ultimi due decenni ha sviluppato e rafforzato la sua posizione di principale partner economico e commerciale della maggioranza dei Paesi africani, India, Brasile, Turchia, Emirati Arabi Uniti ed altri Paesi puntano a incrementare i legami con il l’Africa, per non parlare del crescente attivismo di Mosca, che ha visto radicare la presenza militare ed economica russa in ogni regione africana. Paesi europei e Stati Uniti vedono queste dinamiche con preoccupazione e mettono in guardia da forme di nuovo colonialismo economico-finanziario da parte dei propri competitor, perpetrando una visione delle realtà africane come oggetto e non soggetto delle relazioni internazionali. Un atteggiamento che le leadership africane non tollerano e criticano in maniera manifesta, potendo oggi confrontarsi con i Paesi occidentali in maniera più libera e indipendente, contando sul fatto che ci sono decine di Paesi interessati a incrementare i rapporti sulla base di nuovi e più equilibrati modelli di relazione. L’Agenda 2063 dell’Unione Africana prevede l’obiettivo di sviluppare un piano strategico cinquantennale al fine di trasformare l’Africa nella “great powerhouse” del futuro, non solo in termini di materie prime ma di “energie” sociali, economiche e politiche che è in grado di mettere in campo dialogando a livello planetario e non più solamente con Washington, Parigi o Londra. Si tratta di una sfida il cui successo non è garantito ma che vede oggi i Paesi africani sempre più soggetto attivo e non mero obiettivo di politiche esterne.
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