di ALDO BELLI – Intervista. Oltre gli 8000 metri senza l’utilizzo delle bombole d’ossigeno, il primo toscano, uno dei pochi al mondo.
Venerdì 6 dicembre alle ore 18,30 presso il Grand Hotel Guinigi sarà inaugurata la mostra fotografica Oltre i limiti di Riccardo Bergamini. 100 foto suddivise in 10 pannelli, ognuno dei quali rappresenta una diversa scalata affrontata da Bergamini sulle catene montuose più alte del pianeta in Nepal, Tibet, Pakistan, Perù, Alaska, Cina e Kirghizstan.
La mostra è stata sponsorizzata da TFP Whatch, l’orologio del Lusso Sostenibile. Di solito, i credits si mettono a fine articolo. Un’azienda privata che mette il proprio marchio su un evento culturale e sportivo merita, invece, le prime file. Una forma di partecipazione alla promozione del bello e del buono della vita che purtroppo è diventato sempre più raro, niente a che vedere con le ristrettezze economiche dei tempi, piuttosto pare a me, anche questo, il segno della progressiva perdita di piacere della partecipazione, del sentirsi parte di una comunità al di là dei propri prodotti.
Riccardo Bergamini, dunque. Ci sentiamo per telefono in occasione della sua mostra. Prima ho cercato di spigolare in rete per non farmi trovare del tutto impreparato. Ciò che scopro, confessandogli poi la mia ignoranza, è un altro di quei pezzi di eccellenza toscana chissà, forse più conosciuti fuori che in “patria”.
Alpinista. Vive a Lucca dove è nato e cresciuto, e dove ha iniziato a svolgere la sua attività di scalatore che lo ha portato sulle più alte catene montuose del pianeta. “Ho raggiunto senza l’utilizzo delle bombole d’ossigeno montagne di oltre 8000 metri in Tibet e Nepal, diventando il primo toscano ad aver salito una vetta di oltre 8000 metri ed essendo ancora l’unico toscano nonché uno dei pochi alpinisti al mondo che scala senza l’utilizzo di respiratori artificiali”. Ha scalato anche montagne oltre i 6.000 e i 7.000 metri.
Come ci si sente lassù?. Mi rendo conto che la domanda è banale. “A me piacciono le montagne innevate, preferisco l’inverno, per questo in estate mi sposto sulle Alpi occidentali”. Il massimo che mi risponde, non scadendo nello poetico, è che si tratta “di un fatto istintivo, sono sensazioni che ogni volta si ripetono ma sempre in modo diverso”.
Dopo lo stop causato dal Covid19, Bergamini ha organizzato due nuove spedizioni alpinistiche in Nepal e in Pakistan: nel novembre 2021 ha raggiunto una vetta inviolata in Himalaya mai conquistata prima da nessun uomo; nell’ottobre 2022 ha scalato il Khosar Gang (6.401 metri) nella Shigar Valley, nella regione del Gilgit Baltistan, nel periodo autunnale, stagione non adatta in quell’emisfero per le scalate, diventando il primo italiano insieme al suo compagno di cordata a raggiungere la cima.
L’esposizione fotografica allestita all’Hotel Guinigi di Lucca racconta tutto questo.
Dove è nata questa sua passione, figlio d’arte?. I casi come quello di Riccardo Bergamini, classe 1976, rinnovano l’indefinibile sorpresa sulle combinazioni tra genetica e formazione, o forse rappresentano le eccezioni che confermano la regola scientifica. “La mia famiglia trascorreva le vacanze estive, come usava allora, quindici giorni al mare e quindici in montagna sulle Dolomiti, nessun scalatore in famiglia, solo lunghe passeggiate tra i boschi. Fin da quelle estati ho sempre provato un’attrazione particolare, una passione che poi è diventata professionale”.
Si è mai trovato in pericolo di vita? “La montagna è sempre un risico di probabilità. Arrivare sulla cima non è mai scontato. Esistono pericoli oggettivi, dalla caduta di un sasso a una valanga, ho perso amici in montagna. Una volta sono caduto in un burrone di trenta metri. Ma insieme ai pericoli oggettivi occorre sempre tenere presente l’anima della montagna, che probabilmente è valida per tutti gli sport dove il fisico e la mente sono spinti all’estremo, e non riguarda solo la preparazione tecnica, ma l’umiltà quanto è necessario di dirsi stop e tornare indietro”.
Allenamento costante. “Sulla Pania della Croce sarò salito più di mille volte! Non disdegno i panorami che sono più vicini a dove vivo. Sì, mi alleno sei giorni su sette. E…”. Pausa dall’altro capo del telefono. “Sono capace di uscire di casa al mattino presto, salire sul Monte Bianco e per le 2 di notte essere di rientro a Lucca”
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