“Gli anni ‘80 a Firenze erano come stare a New York o Parigi”, ricorda con una punta di nostalgia Regina Schrecker. Prima modella e poi fashion designer, Schrecker fu, per giocare con le parole, una delle regine di quel periodo di straordinaria creatività e vivacità del capoluogo toscano. Un decennio di vèrve e avanguardia di cui la città fu capitale trasformandolo in un fenomeno non più locale ma nazionale e internazionale e di cui la moda, intesa come stile di vita, costituì una parte rilevante che sollevò intorno a sé una serie di altre iniziative, dalla musica all’arte, ai giovani talenti, alle sperimentazioni di cui fu spesso eco e promotrice la nota rivista Westuff, alfiere del cambiamento. Nè Regina ha mai più perso quello spirito, lei che ai tempi magici era giovane e bella e ora è una signora ancora bella e continua a stare sulla scena. Anche se il mondo è cambiato. “Era già cambiato da tempo, poi è venuto il Covid e ha rappresentato la vera cesura. Dicevamo tutti che dopo saremmo stati migliori. Invece siamo peggiori. Cattivi, in un mondo pieno di guerre, senza solidarietà e cultura”.
Perché, secondo lei, a quei tempi fu proprio Firenze uno dei luoghi più vivaci in Italia, posizione che in realtà non le è così consueta?
“Non lo so con precisione. Quello che è certo è che fu lo specchio di un’Italia, anzi di un mondo diversi. C’erano stati la liberazione e il fervore del ‘68 che avevano cancellato molti vecchi residui, poi però vennero gli anni di piombo, finiti i quali, negli ‘80 scoppiò una gran voglia di leggerezza, divertimento, scintillio, novità. La moda ne fu protagonista come specchio dei tempi, quale di fatto è sempre. Non è un caso che la quella di oggi sia triste. Firenze aveva dalla sua la bellezza e la cultura ma anche il fatto che il Made in Italy fosse nato lì, nel salotto di Giovanni Battista Giorgini e poi in sala Bianca a Palazzo Pitti. Ricordo un fermento di artisti che visitavano gli amici artisti, come Annigoni, veniva Guttuso e ci soggiornava, non come ora che gli artisti vengono per la presentazione delle mostre e subito se ne vanno, c’erano cene e feste in posti bellissimi, c’erano stilisti come Roberto Cavalli, giovani talenti come Enrico Coveri, fotografi come Aldo Fallai che fu il fotografo di Armani, solo per fare alcuni esempi. Per di più iN una città piccola dove ci incontravamo tutti. E c’ero anch’io”.
Ma lei, che è tedesca, come è arrivata in Italia?
“La mia è una storia avventurosa che dimostra come si potesse vivere prima di internet o dello smartphone. Il mio desiderio era rendere il mondo più bello, più vivibile. Volevo creare una moda per una donna moderna, internazionale che lavorava e che finalmente si poteva vestire in modo frizzante, attuale e alla moda senza mai dimenticare il bon ton. Uno stile classico e innovativo, comunque anticonformista. Volevo celebrare la metamorfosi delle donne, dagli anni ’50, quando erano considerate regine del focolare e casalinghe, agli anni ‘60 – ‘70 con le lotte per la liberazione femminile, al ‘68 e l’emancipazione”.
Si, ma perché tutto questo in Italia?
“Ho sempre vissuto in tutta l’Europa. Dalla Germania i miei mi hanno mandato a scuola in college esclusivi di città diverse. In Inghilterra, dove ho anche conosciuto la regina Elisabetta perché due allieve della mia scuola partecipavano sempre ai suoi ricevimenti in giardino, in Francia, in Svizzera e poi in Italia. Anche a Firenze all’istituto Le Fleuron fondato da una contessa francese sul viale Michelangelo. Finito il liceo, mi sono iscritta all’Università Cattolica a Milano, ma è durata poco. Dopo le prime lezioni una talent scout mi propose di fare dei provini per la sua agenzia di modelle e io accettai. Pensi che al caffè Giacosa a Firenze un signore mi aveva chiesto di andare in passerella per lui e io avevo risposto che non mi interessava. Poi ho scoperto che era Emilio Pucci. Cominciai con Carosello, indossavo un abito Courrèges. Poi di Caroselli ne ho fatti tanti, con Johnny Dorelli, Walter Chiari, Jannacci. Intanto sfilavo a Parigi, Roma, in varie città . Arrivavo con la mia Alfa Romeo gialla per essere sempre indipendente . Ho vissuto momenti indimenticabili, mi sono divertita. Poi mi sono stancata della passerella e ho detto: perché non fare io quello che farei molto meglio di loro? Volevo mettermi in gioco, diventare, da oggetto, soggetto. Sognavo Mary Quant che aveva “inventato” la minigonna. La “Swinging London” era allora il posto “must be”, c’erano i Beatles, che ho conosciuto, le boutiques famose come Biba, i mercatini più divertenti come il Covent Garden. La gente veniva da tutto il mondo, non esisteva il razzismo, almeno per noi giovani. Si respirava una realtà multiculturale. Anche Prince Charles che poi sarebbe diventato re, era uno di noi, andavamo da Annabel’s o al nuovo club chiamato Playboy”.
Dunque si ribellò alla passerella?
“Decisi di inventarmi come fashion designer. Disegnare sapevo, le idee le avevo chiare: creare abiti per donne libere, colte ma sempre libere di pensare e agire con la testa propria”.
E perché ha deciso di tentare l’avventura in Italia, a Firenze?
“Perché mi era piaciuta quando ci studiavo e soprattutto perché a Firenze avevo messo su famiglia con tanto di tre figli”.
Torniamo al suo inizio da designer.
“Nel giro di pochi mesi ho presentato la mia prima collezione, piccola, tale che oggi si chiamerebbe una capsule collection. Ma così ho trovato collaborazioni con diverse industrie per le quali da principio ho disegnato, firmando già con il mio nome. Così ho imparato la modellistica, come cercare i tessuti e gli accessori giusti, il taglio dei tessuti, come piazzare il modello sul “materasso” per utilizzare anche l’ultimo millimetro delle materie prime e come smacchinare un filato particolare.Bisogna essere curiosi, avere voglia di imparare: la moda non è solo fare degli schizzi belli, non la si fa senza sapere come si costruisce un modello”.
Arriviamo al brand Regina Schrecker.
“Debuttò nel 1980. Era un modo di essere, non solo di apparire, rappresentava la voglia di stare bene con se stessi. E siccome la moda rispecchia i tempi, la mia moda era quella di un decennio sregolato, segnato dalla voglia di vivere, di leggerezza, di piccole pazzie, di lusso e di glamour. Una tendenza ultramoderna e molto femminile, a metà tra una nuova avanguardia futuristica e le tradizioni. Un trionfo di fantasie animalier, filati soffici misti a lino e tweed, pelle scamosciata, pizzi delicati e tessuti stretch laminati, broccati fatti a mano, paillettes scintillanti e ricami preziosi, passamanerie. Un misto di eleganza sportiva, chic mitteleuropeo e sensualità mediterranea. Simbolo di indipendenza e sicurezza. E fu subito successo.
Si creò a quei tempi anche un allegro e festoso asse tra Firenze e l’industriosa Prato, tra i suoi colori e le paillettes di Enrico Coveri.
“Lui era un grande. Non solo uno straordinario designer ma anche una persona eccezionale, con un’energia fantastica. Eravamo veri amici. Non ci siamo mai copiati ma per una qualche recondita ragione alla fine le nostre creazioni avevano lo stesso spirito. Era un gran tempo, lo ripeto”.
A proposito di grandi, lei è stata ritratta addirittura da Andy Wharol,
“Lo avevo conosciuto negli Usa quando lavoravo come fotomodella, verso la fine degli anni ’70. Facemmo subito una grande amicizia, io ero entusiasta del suo stile ironico e provocante, lui del mio modo molto personale di incedere sulle passerelle e poi, quando passai a creare moda, era affascinato dal mio modo di mischiare i materiali più diversi. Nei primi anni ’80, andai di nuovo a New York per ritirare il premio “The Best” (le 10 donne e i 10 uomini più eleganti dell’anno) e tornai a trovare Warhol nella sua famosa Factory dove lui, uno dei mostri sacri dell’arte del ventesimo secolo, si congratulò con me per la carriera lampo da modella a designer. Lui con me. Poi mi convocò un giorno nella Factory, mi voleva ritrarre. Il truccatore mi dipinse il volto con un fondotinta bianco da geisha, il parrucchiere mi fece una pettinatura alla David Bowie, e Andy mi scattò 12 polaroid dalle quali ne avrebbe scelta una per realizzare due serigrafie su tela, una su fondo bianco e una su fondo rosso. Le altre 11 polaroid sono state comprate dall’Art Institute of Chicago che ne ha pubblicato una in un booklet in mostra, in cui ci siamo ci siamo Marilyn, Elisabeth Taylor, Liza Minelli, io. Una grande emozione” .
Dopo lo scintillio degli anni ‘80 non sembra essersi messa a riposo.
“No, non mi è mai venuto in mente. Quando la nostra azienda diventò troppo piccola per soddisfare le richieste, verso la metà degli anni ‘90 cominciammo con le licenze, allora una novità. Borse, occhiali, profumi per cui mi feci fare anche un flacone a piramide da Arnaldo Pomodoro fino all’ultima collezione odierna, battezzata Le carte di Corte perché mi piacciono molto le Corti medievali. Adesso creo abiti da sposa e da sera che sostanzialmente hanno lo stesso mercato. Così porto la moda italiana in paesi lontani come l’Argentina, il Giappone, la Russia, l’Ukraina, la Cina , fino a Ulaan Bator, su invito della Banca Nazionale Mongola. Mi sono occupata del sociale creando abiti per spettacoli di Veronesi, per persone con disabilità motoria, ho fatto le divise per le donne operate al seno che remano sull’Arno con le Dragon Boat e per altri progetti. Mi sono improvvisata costumista per l’opera lirica. Il 25 marzo del 2021, per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante, ho creato l’installazione, presentata la prima volta in Regione, “Le tre Dame di Dante”: Francesca da Rimini , Pia dei Tolomei e Beatrice, quest’ultima vestita di rosa come la tonalità del raggio di sole che esce dalle nuvole, Pia, che va sposa con un maremmano, dei colori della Maremma, il giallo delle ginestre e il verde della campagna, Francesca, giovane e appassionata, di rosso su una gonna verde acqua. L’ installazione sta continuando a girare.
Attualmente il mio impegno maggiore è rivolto a mostre dove quasi sempre fanno la parte del leone i famosi ritratti fatti da Andy Warhol. Ma la cosa che mi ha emozionato di più è stata quando, il 2 giugno 2017, ho ricevuto l’onorificenza di Commendatore della Repubblica italiana, in piazza della Signoria a Firenze”.
In foto Regina Schrecker. In basso con Andy Warhol
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