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una scommessa dai molti volti


Sabato 18 gennaio, nel teatro Pirandello gremito di sindaci e di autorità del territorio, il Presidente Mattarella ha inaugurato ad Agrigento l’anno in cui la città è capitale italiana della cultura. 

Nel giorno tanto atteso dagli amministratori locali, le parole pacate e incoraggianti del Capo dello Stato hanno smorzato per un momento l’eco delle polemiche susseguitesi nelle ultime settimane, ma hanno anche ricordato il significato più autentico della manifestazione che impegnerà la città e la Sicilia tutta nel 2025.

In un’Italia dalle “cento capitali”, in cui l’intreccio indissolubile tra arte, natura e paesaggio si esprime con quella diversità di accenti che è la peculiarità e la  vera ricchezza del nostro paese,  Agrigento dovrà rappresentare un modello esemplare. Non  “soltanto il palcoscenico spettacolare di capitale della cultura”  con il suo programma di eventi, ma la testimonianza della capacità di integrazione , di confronto con l’altro, di “apertura alla conoscenza del mondo”, di dialogo tra le molteplicità e talora le contraddizioni della vita contemporanea, di visione illuminata del futuro, in cui consiste il valore essenziale della cultura. “La cultura cioè è la vita”, ha affermato con fermezza il Presidente. 

L’alto monito del Capo dello Stato ha risuonato soprattutto in tre concetti, calati sull’uditorio attento e silenzioso. Primo: le “inestimabili risorse”  del patrimonio di bellezza, arte e monumenti che oggi conferiscono ad Agrigento il ruolo di capitale “rischiano di deperire senza cure adeguate”, che dunque le istituzioni siciliane  e ogni singolo cittadino hanno la responsabilità e il dovere di garantire con assiduità, essendo esso un bene comune. Secondo: la cultura non è uno sterile ripiegamento, compiacente e autoreferenziale, verso un passato glorioso, rappresentato ad Agrigento dai templi greci e dalle vestigia imponenti della città che Pindaro definì “la più belle delle mortali”, ma è piuttosto capacità di azione e costruzione concreta del futuro senza il quale anche la forza della storia passata perde il suo valore. Terzo: un nuovo umanesimo è necessario per affrontare le sfide delle diseguaglianze sociali, per elaborare modelli alternativi di sostenibilità ambientale, per contenere e guidare le possibilità offerte dalla tecnologia allo sviluppo della conoscenza, per riscattare dalla marginalità e dall’isolamento le periferie “anch’esse motori di cultura e di progettualità”.  

Tra queste ultime, un saluto speciale è stato rivolto dal Presidente alla comunità dei lampedusani, “avanguardia della civiltà europea” ed “espressione di cultura solidale”  in un Mediterraneo scosso da lacerazioni strutturali e movimenti migratori. Difficile non leggere in queste parole il ricordo della visita di Mattarella a Lampedusa del 6 giugno 2016, durante la quale il Presidente incontrò la cittadinanza e inaugurò il museo archeologico delle Pelagie, dove oltre all’esposizione permanente era stata allestita per l’occasione una mostra internazionale e interdisciplinare che, nelle intenzioni dei curatori, avrebbe dovuto costituire, in isole che sono terra di confine e insieme Porta d’Europa,  il primo capitolo di un “Museo della fiducia e del dialogo per il Mediterraneo” per il quale Ministero dei Beni Culturali, Comune di Lampedusa e Regione Siciliana con la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Agrigento avevano sottoscritto un Accordo di Valorizzazione triennale, che si sperava potesse costituire la leva per un’attività culturale duratura e promettente a Lampedusa: ma che fu invece rapidamente accantonato al cambio dei rappresentanti delle rispettive istituzioni, come spesso accade. 

Sottolineando il valore del compito affidato ad Agrigento come testimone della cultura italiana, sia Mattarella che il Ministro della Cultura Giuli e infine il Presidente della Regione Schifani hanno affermato che quello assunto dal 18 gennaio è un impegno che riguarda tutta la Sicilia, una straordinaria opportunità che non può contemplare il fallimento.

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Tutto risolto dunque? E le polemiche che hanno preceduto e accompagnato la cerimonia inaugurale ad Agrigento, riempiendo ancora oggi le pagine di cronaca dei maggiori quotidiani nazionali,  sono davvero solo dovute ad una campagna di comunicazione tendenziosa e strumentale, come sostengono alcune voci istituzionali locali, oppure riflettono la preoccupazione per i ritardi e l’approssimazione con cui la città si è fatta cogliere impreparata nel momento cruciale dell’avvio delle attività?

Certo, è vero che i problemi strutturali di Agrigento sono annosi -la viabilità difficile e incompleta, la mancanza di erogazione quotidiana dell’acqua, il disordine urbanistico aggravato dall’abusivismo e dai rifiuti-, e che i fondi assegnati dal Ministero della Cultura, dopo la proclamazione della capitale della cultura nel marzo del 2023, e gli altri stanziati nel bilancio della Regione Siciliana ( 4 milioni nel 2024 e 3 nell’anno in corso), non possono ovviamente essere utilizzati se non per iniziative culturali, come sottolineato  dal Presidente della Fondazione Agrigento Capitale della Cultura, creata ad hoc dal Comune per gestire la manifestazione, dimessosi solo qualche giorno fa e offerto al pubblico  quale  prevedibile capro espiatorio di fronte all’incessante divampare delle polemiche e dei distinguo. 

Ma proprio la consapevolezza di questa debolezza strutturale del territorio agrigentino, contrapposto alla solidità della tradizione storica della città che vanta con la sua meravigliosa Valle dei Templi uno dei 60 siti Unesco italiani e con il Parco archeologico la più efficiente e florida “azienda” culturale della Sicilia,  avrebbero dovuto suggerire già al momento della presentazione della candidatura maggiore cautela e un’accurata pianificazione degli interventi e delle risorse economiche da mettere i campo -certo di molto maggiori rispetto a quelle da investire per la sola realizzazione del programma di eventi- per la piena riuscita di quest’anno straordinario: affinché davvero diventasse un “volano di sviluppo” per Agrigento e l’intera regione siciliana, come viene stucchevolmente ripetuto.     

È perciò  sorprendente la mancanza di programmazione che ha contraddistinto fin qui la gestione del titolo e delle attività: ne è una prova la cabina di regia insediatasi a Palermo due giorni dopo l’inaugurazione celebrata nel teatro Pirandello, con la quale il Presidente della Regione e gli Assessori addetti ai vari rami dell’amministrazione  promettono di risolvere a breve le diffuse criticità che rischiano di vanificare il successo della manifestazione, una “scommessa”,  si assicura a reti unificate, “che la Sicilia non può perdere e non perderà”. E non si tratta di emergenze improvvise, bensì di esigenze basilari per qualunque città ben amministrata e a maggior ragione di quella nominata capitale per un anno:  l’approvvigionamento idrico delle strutture ricettive del centro storico, la realizzazione di aree di parcheggio e l’organizzazione di un servizio navette, la manutenzione della viabilità e dell’illuminazione stradale, la bonifica delle micro-discariche presenti in aree pubbliche urbane, la realizzazione di bagni pubblici, gli interventi sul verde e l’arredo urbano. E si potrebbe continuare, mentre le immagini dei numerosi angoli degradati nel  centro della città  scorrono impietose nei vari talk show televisivi.

Una tabella di marcia stringente e il controllo continuo delle istituzioni regionali preposte dovrebbero riuscire a dotare Agrigento, d’ora in poi, di quello che in più di un anno di attesa, e nonostante i cospicui finanziamenti già erogati, non è ancora stato fatto. 

Ce lo auguriamo tutti. Però  negli ultimi giorni si assiste allo spettacolo mortificante degli operai addetti alla manutenzione che cercano con il metal-detector i tombini scomparsi sotto il manto di asfalto steso frettolosamente -anche in questo caso, con fondi richiesti all’ultimo momento dal Comune ed istantaneamente resi disponibili dalla regione- solo due giorni prima del passaggio del Presidente Mattarella per le vie della città  toccate dal corteo presidenziale. Per ritrovare i tombini, e le caditoie che servono per lo smaltimento delle acque piovane, occorrerà scavare e ripavimentare, sperando che nel frattempo non piova troppo: un’ulteriore perdita di tempo e di denaro, come denunciato dal Codacons siciliano, e un’altra polemica che in queste ore monta nei media offuscando l’inizio delle attività culturali, cominciate piuttosto in sordina. 

Del programma è stato detto che è corposo e di qualità: articolato sui 4 elementi – acqua, terra, aria e fuoco- che nel V secolo a.C. furono individuati dal filosofo agrigentino Empedocle come nucleo essenziale della sua cosmogonia, promette con tono altisonante eventi di natura internazionale che dovrebbero alternarsi da qui alla fine dell’anno. 

Intanto una campagna di comunicazione divulgata con grande ritardo a ridosso dell’inaugurazione propone, con un copia-incolla pubblicitario escogitato a quanto pare dall’Intelligenza Artificiale, l’immagine non particolarmente originale di una statua in marmo, in realtà orrendamente plastificata, che davanti al tempio della Concordia, accuratamente iscritto in un formato cartolina,  “abbraccia” nel nome della cultura una giovane e in alternativa un immigrato di colore, in omaggio alla parità di genere e ad uno dei temi portanti della manifestazione -il confronto con l’altro, la tragedia e insieme l’opportunità delle migrazioni-. Che si tratti di patrimonio culturale, oppure di una nota marca di mozzarella bavarese da usare per fare la pizza, il concetto di “unione fra diversi” ha le fattezze della stessa finta statua di marmo, un’iconografia appariscente ma generica che la foggia dell’abbigliamento e della barba collocano in un’indistinta fascia temporale, a metà tra il rinascimento e la saga dei cavalieri templari in difesa del Sacro Graal: a testimonianza dei miracolosi prodigi di cui è capace l’IA. 

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Ma è già tanto che sia stato accantonato, a vantaggio della grande “A” che abbrevia il nome della città  e mostra campiti graficamente i simboli dei 4 elementi fisici empedoclei, il logo con l’inquietante telamone sopravvissuto in alcuni vecchi manifesti, un feticcio frutto di una maldestra ricostruzione che ha assemblato -con un discutibile effetto Frankenstein- vari pezzi sparsi di altrettanti vari telamoni dell’antico tempio di Zeus, un’operazione scientificamente arbitraria contro la quale l’anno scorso si è espressa l’intera comunità nazionale degli archeologi.    

In realtà è stato osservato  (Helga Marsala in  www.artribune.it del 15 e del 24 gennaio  2025) che la programmazione appare fiacca e raccogliticcia, recuperando la sequenza delle sagre e delle feste locali che costituiscono gli appuntamenti previsti nel corso dell’anno  -dalla sagra del mandorlo in fiore alla festa di  San Calogero, dalla celebrazione della Vergine patrona dell’Arma dei Carabinieri al Carnevale di Sciacca e alle Giornate Europee del patrimonio – e nonostante le residenze artistiche e i progetti site-specific che declinano i vari temi della sostenibilità ambientale e delle identità delle comunità più densamente toccate dalle migrazioni -un approccio che predilige il taglio socioculturale e l’attenzione verso il paesaggio piuttosto che la vera performance d’autore-, pure mancano i grandi nomi dell’arte contemporanea. Ricordiamo che a Pesaro, capitale italiana della cultura 2024, sono arrivati Marina Abramovic’ e per l’ambito musicale l’omaggio dedicato a Ryuichi Sakamoto da Todd Eckert e il suo collettivo Tin Drum, mentre ad Agrigento ci si è accontentati della  facile scelta di Banksy, profeta della street art la cui notorietà arriva senza scossoni al grosso pubblico e che circola da anni con varie mostre– a Mestre nel 2024, a Parma fino al prossimo  25 marzo e a Palermo nel 2021 al Loggiato S.Bartolomeo e a Palazzo Trinacria- replicate attraverso le raccolte di alcuni collezionisti.

Analogamente, incomprensibilmente povera per la città che è patria di Luigi Pirandello è l’offerta letteraria, che non prevede al momento appuntamenti di rilievo; mentre è ancora incerto il destino del Convegno di Studi Pirandelliani, esule da Agrigento da molti anni, in cerca di una sede stabile e di fondi adeguati.  

Né va meglio con Leonardo Sciascia, che a Racalmuto ha dedicata una importante Fondazione che conserva libri, manoscritti e quadri del nostro intellettuale più volterraniamente europeo. E neppure con Andrea Camilleri, di cui il 2025 celebra il centenario: nessun evento in programma, per uno scrittore che ha sdoganato nel mondo il siciliano come lingua e ha fatto conoscere ovunque le bellezze e le suggestioni di un territorio che, pure, annovera tra i pochi itinerari letterari esistenti nell’isola quella che pomposamente viene chiamata “La Strada degli Scrittori”  

 

Anche l’archeologia, che in considerazione della peculiarità del patrimonio culturale agrigentino ci si aspettava costituisse un focus specifico e un fattore di connotazione qualificante del programma, delude le aspettative della vigilia. 

Spicca ovviamente l’unica iniziativa archeologica di spessore in programma: la piccola ma preziosa mostra inaugurata nel museo Griffo il 15 dicembre 2024, come appetitosa ouverture dell’anno di Agrigento capitale, che illustra una bella pagina monografica della storia agrigentina, riguardante gli splendidi vasi delle necropoli della colonia greca venduti nel 1824 dal canonico Giuseppe Panitteri a Ludwig I re di Baviera, da allora conservati nel museo di Monaco.  E tuttavia colpisce che l’occasione di Agrigento capitale non abbia favorito la creazione di una rete di iniziative culturali nei siti archeologici che con l’Akragas greca  ebbero molteplici e spesso  antagonistici  rapporti storici,  da Himera a Selinunte e a Siracusa. Forse anche la vocazione solitaria del Parco Archeologico, abituato a giocare in casa forte delle ingenti risorse economiche a disposizione ma poco incline a intrecciare connessioni con le altre istituzioni museali siciliane, ha pesato nell’assenza di un coinvolgimento di altri possibili attori. In ogni caso, non risulta siano state previste esposizioni collaterali in quei musei isolani che tuttora includono nelle loro collezioni reperti molto significativi di Agrigento antica: dai  busti in terracotta dal santuario di Demetra sulla Rupe Atenea, i più belli e antichi di una produzione largamente diffusa in altri santuari sicelioti dal V secolo all’età ellenistica, ai  preziosissimi xoàna lignei da Palma di Montechiaro, piccole statue che costituiscono una testimonianza unica di una tipologia votiva della scultura greca arcaica, tutti conservati al museo Orsi di Siracusa. E, ancora, ai “5 vasi da premio” , tra i quali il magnifico cratere del pittore di Orizia che raffigura il mito di Demetra, Kore e Trittolemo, forse il più bel vaso attico della prima metà del V secolo a.C.  proveniente da Agrigento,  tutti recuperati  dalla necropoli agrigentina dal poliedrico artista Raffaele Politi, conterraneo e coevo del già citato “ciantro” Panitteri, custoditi al museo Salinas di Palermo al quale furono affidati da re Ferdinando di Borbone nel 1841. Un’occasione perduta per mettere davvero e autorevolmente in rete i tre maggiori musei archeologici esistenti in  Sicilia, tra i più importanti dell’Italia meridionale, mentre a parole  si decanta una trasversalità di intenti e di iniziative che dovrebbe essere estesa  non soltanto al territorio della provincia agrigentina ma a quello dell’intera isola.

A scorrere la brochure del programma, abilmente impaginata in una sequenza che alterna le locandine degli eventi alle ricche biografie degli autori e della loro attività, si ha quasi l’impressione che in vari casi quelli elencati costituiscano solo dei titoli, e non reali impegni calendarizzati già per tempo. E il dubbio deve essere fondato se nelle sue ultime dichiarazioni il presidente dimissionario ( o dimissionato?) della Fondazione Agrigento Capitale paventa che la programmazione culturale possa subire adesso, con la sostituzione della governance politica e in assenza di un riconoscibile comitato scientifico responsabile delle scelte progettuali, modifiche sostanziali, cosa che sarebbe impossibile ipotizzare qualora gli eventi fossero oggetto di accordi contrattuali stringenti.

Ma anche questo si vedrà, nelle prossime settimane e nei mesi a venire. 

Noi continuiamo a sperare, con l’ottimismo tenace della volontà, che tutto procederà per il meglio. Ma resta il disagio di trovarsi immersi in una nuova novella pirandelliana inedita, in un continuo scambio di protagonisti e di prospettive, e in quel perenne “così è se vi pare” che rende in fondo la cifra di Agrigento immobile e sempre uguale a sé stessa.

                                                                                        Caterina Greco  

 

L’autrice, archeologa, ha diretto il museo archeologico Salinas di Palermo, il parco di Selinunte, ed è stata soprintendente ai beni culturali e ambientali di Agrigento dal 2013 al 2016.

 

Per la foto: http://Di Japs 88 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=19839880

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