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zero comunicazione e la guerra a Mantovano


In un impeto di onnipotenza la presidente del Consiglio ha sferrato il suo attacco più duro alla magistratura. Con la frase «indagarmi è un danno alla nazione», Giorgia Meloni prova a legare il suo destino politico alle sorti della patria come novella Silvio Berlusconi.

Una propaganda che prova a sfruttare la vicenda dell’iscrizione nel registro dei reati fatta dalla procura di Roma e delegittimare una magistratura già indebolita. Per avvisare tutti che il manovratore non va disturbato, e che sulla riforma della giustizia e la separazione delle carriere non si faranno sconti.

Un paradosso. Perché il potere giudiziario non solo è fragile, ma da tempo assai più ossequioso di un tempo rispetto agli equilibri politici e governativi attuali. E, seppure l’Associazione nazionale magistrati fa il suo e prova a difendere le toghe dalle frecce scagliate da Palazzo Chigi, è un fatto che gli uffici giudiziari più importanti sono guidati da procuratori conservatori, provenienti da correnti di destra della magistratura come Magistratura indipendente. La stessa da cui provengono il sottosegretario con delega ai servizi segreti Alfredo Mantovano e la capo gabinetto del ministro della Giustizia Carlo Nordio, Giusi Bartolozzi.

Anche Francesco Lo Voi, procuratore capo di Roma, è di Mi: è lui che a innescato – suo malgrado – il nuovo scontro tra giustizia e politica. Per colpa di Meloni, senza dubbio. Ma anche a causa di mosse ingenue e azioni discutibili da parte di Lo Voi, che si sono trasformate in un grandioso assist per le destre.

L’avviso di iscrizione sul registro degli indagati è stato usato per colpire un procuratore isolato persino dentro la sua stessa procura; e per distrarre i media sia dal favore fatto alla Libia (liberando un torturatore ricercato dalla Corte penale internazionale) sia dal pasticcio dentro Palazzo Chigi per lo spionaggio dei servizi segreti dell’Aisi ai danni del capo di gabinetto di Meloni.

Il procuratore isolato

Lo Voi, magistrato prudente, amico di Giovanni Falcone, è arrivato a capo della procura capitolina dopo una lunga battaglia legale. Proposto in commissione del Csm dal laico di Forza Italia, Alessio Lanzi, ha preso il posto di Michele Prestipino grazie a un pronunciamento del Consiglio di stato, che sentenziò che aveva più titoli del collega.

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Lo Voi sta di fatto alle “toghe rosse” come il diavolo all’acqua santa. Vero che ha chiesto – ha differenza dei pm che hanno condotto le indagini, di chiedere il rinvio a giudizio del sottosegretario Andrea Delmastro, ma in questi anni è stato pure molto attento alle istanze dei ministri e della maggioranza, che a suon di esposti hanno chiesto di individuare le fonti dei giornalisti sgraditi al governo, come nel caso delle denunce contro la Rai o quelle di Guido Crosetto o Gaetano Caputi nei confronti di Domnani.

Da tempo in procura a Roma il clima è difficile. Nelle ultime ore, infernale. «Certi passi vanno calibrati e condivisi, altrimenti si rischia lo scontro tra poteri», racconta chi frequenta il palazzo di giustizia romano. «Alcune vicende delicate e complesse vengono gestite in assoluta autonomia da Lo Voi, e, nel quotidiano, spesso non ha tempo neanche di interloquire con sostituti e polizia giudiziaria», spiegano più fonti.

Il caso Almasri

Sul caso specifico della denuncia contro Meloni e contro i ministri Matteo Piantedosi e Nordio e il sottosegretario Mantovano, le poche parole che filtrano dal fortino giudiziario della Capitale raccontano dell’irritazione di molti: Lo Voi non avrebbe condiviso con nessuno la scelta di iscrivere la premier perché temeva la violazione del segreto. Nemmeno con gli aggiunti, che dovrebbero godere della fiducia del capo.

Non è l’unico errore veniale contestato al procuratore: la comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati, infatti, per quanto fosse un atto dovuto e previsto dalla legge, poteva senz’altro essere accompagnata da una comunicazione per le vie brevi a Palazzo Chigi, spiegando che l’atto non era ostile così da sminare possibili strumentalizzazioni. Cordialità cui poteva seguire un comunicato ufficiale per informare la stampa dell’ “atto dovuto”. In questo modo si sarebbe levato ogni arma a Meloni per colpire gli uffici e l’intero il potere giudiziario.

C’è, inoltre, nella scelta di chi iscrivere tra gli indagati un potenziale conflitto di interessi che avrebbe dovuto suggerire a Lo Voi scelte più mirate: firmare l’indagine su Mantovano per peculato sull’autorizzazione a usare il volo di stato (dei servizi segreti) per riportare in Libia il ricercato Almasri è stato, secondo molti, inopportuno. Lo Voi, infatti, ha avuto uno scontro durissimo con il sottosegretario, che ha deciso di negargli l’utilizzo i voli di stato per la tratta Roma-Palermo.

«L’iscrizione di Mantovano è così diventata un boomerang», dice un principe del foro che conosce ogni angolo di Palazzo di giustizia, e che pure evidenzia come sia stato grave che qualcuno da Palazzo Chigi abbia girato le carte al Tg1 per fare macchina del fango su Lo Voi.

«Ha senso una battaglia per usare aerei di stato con un costo elevatissimo per le casse dello stato? Ci vuole misura», è la riflessione che restituiscono diverse toghe di varia estrazione all’interno del Csm.

Caputi affair

Non solo. La bomba Almasri è deflagrata nei giorni in cui Domani ha pubblicato i documenti sulle verifiche effettuate dai servizi segreti (Aisi) su Gaetano Caputi, capo gabinetto di Meloni. Un’indagine per riscontrare «rumors» su collegamenti tra il braccio destro della premier e non meglio specificati «target» dell’intelligence. Una scoperta fatta dalla procura di Roma nell’ambito di un’indagine per rivelazione di segreto a carico di questo giornale.

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Negli atti di chiusura indagine sono però finiti anche i carteggi tra Lo Voi e i vertici dei servizi. Il primo chiedeva conto di questi accertamenti, che nulla hanno a che vedere con le notizie pubblicate su Caputi a febbraio scorso da Domani. I secondi rispondevano con un resoconto per indicare le motivazioni ufficiali con tanto di nomi degli agenti e autori delle ricerche.

Documentazione “riservata” su uno spionaggio interno che è finita per errore a disposizione delle parti, quindi non più coperta da segreto. Di chi è la colpa? Il pm incaricato è Maurizio Arcuri, ma la notifica dell’avviso di conclusione indagine è firmata anche da Lo Voi in persona.

La notizia ha creato un grosso problema per Palazzo Chigi: chi era al corrente dello spionaggio dell’Aisi, che risponde al Dis e dunque a Mantovano? Perché indagare sul capo di gabinetto della presidente del Consiglio? Mantovano andrà al Copasir a riferire settimana prossima, e cercherà di chiarire la faccenda. Mentre Lo Voi e Arcuri rischiano che – da destra – qualcuno faccia un esposto contro di loro alla procura di Perugia.

«Chi sbaglia deve pagare», spiegano adesso da Palazzo Chigi, dove spiegano che «chi sbaglia paga». La guerra è solo all’inizio.

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