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Nelle università si prepara il futuro del nostro Paese


In questi primi giorni di febbraio l’Università Politecnica delle Marche si apre agli studenti degli Istituti Secondari di 2° grado per illustrare la propria offerta formativa, sempre più ricca. Gli ambiti della Medicina, dell’Economia, dei Sistemi Agricoli ed Alimentari, delle Scienze Biologiche e del Mare ed, infine, dell’Ingegneria, saranno raccontati ai futuri studenti universitari. Sono migliaia le ragazze ed i ragazzi che hanno già aderito all’iniziativa. Peraltro si sottolinea che anche nel 2024-2025 la Politecnica ha visto aumentare il numero di studenti iscritti al primo anno. Sempre in questi giorni numerose aziende hanno partecipato ad iniziative di Univpm per conoscere le attività di ricerca che si stanno svolgendo nei laboratori dell’Ateneo, in particolare ad Ingegneria.

I partecipanti hanno evidenziato quanto le università siano importanti per il loro sviluppo industriale. Gli elementi appena citati servono per poter affermare che tutti, dalle famiglie alle imprese, si aspettano molto dal sistema universitario ed esso, invece di essere rafforzato, viene continuamente indebolito, in termini di risorse, da parte di chi dovrebbe finanziarlo. Secondo il rapporto Openpolis del 2023 sulla “povertà educativa”, la spesa complessiva dell’Italia per l’istruzione si attesta al 4,1% del Pil, pari a circa 80 miliardi di euro. Questo dato è inferiore sia alla media europea che a quella dei principali paesi dell’Unione. Nel 2021, ad esempio, la Germania ha destinato all’educazione e alla ricerca il 4,5% del proprio Pil, la Francia oltre il 5,5% e il Regno Unito il 6,3%.

Dal 2010, l’Italia è costantemente il fanalino di coda tra i grandi paesi europei per quanto riguarda la spesa in rapporto al Pil, con una percentuale inferiore anche alla media dell’intera Unione Europea, che si attesta al 4,8%. Focalizzandoci sull’università, il quadro non migliora. Secondo il rapporto Anvurdel 2023, l’Italia investe solo lo 0,90% del Pil nell’istruzione universitaria, a fronte di una media Ocse dell’1,45%. Anche la spesa in ricerca e sviluppo è significativamente inferiore: 1,47% del Pil contro una media Ocse del 2,54%. Questo si traduce in un investimento inferiore del 30% rispetto alla media europea. Un ulteriore indicatore della disparità di finanziamento è la spesa per studente.

Secondo uno studio di Mediobanca del 2024, l’Italia spende l’equivalente di 12.663 euro per ciascuno studente a tempo pieno, mentre la Francia ne investe 18.880, la Germania 20.760, la Spagna 14.631 e la media dell’Unione Europea si attesta a 17.578 euro. Oltre alla crudezza e all’evidenza delle cifre vi è anche l’incertezza del futuro. Ossia le risorse stanziate per le Università vengono stabilite e comunicate agli Atenei con grave ritardo rispetto alla programmazione che l’ente deve fare per valutare gli investimenti e rimanere sostenibile. È come se un’azienda conoscesse i propri ricavi l’anno dopo di quello nel quale sono stati affrontati i costi.

La gestione diverrebbe impossibile. Questa carenza di risorse, crescente peraltro, ha diverse implicazioni negative per il sistema universitario.

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La scarsità di fondi limita le assunzioni di nuovi docenti e ricercatori, aumentando il carico di lavoro per il personale esistente ma principalmente riducendo le opportunità per i giovani studiosi. La mancanza di finanziamenti stabili porta a una crescente precarizzazione del personale accademico, con un aumento dei contratti a tempo determinato e delle borse di studio temporanee. La gestione dei pochi fondi disponibili è spesso complicata da una burocrazia eccessiva, che sottrae tempo ed energie alla ricerca e all’insegnamento. Le amministrazioni universitarie sono sopraffatte dalla complessità dei processi e questo rende molto difficile lo svolgimento ordinario delle attività. Ad esempio, gli acquisti di beni e servizi possono richiedere settimane, se non mesi, e se si deve svolgere attività di ricerca in laboratorio e non si hanno i materiali di consumo si è costretti a rallentare, o addirittura fermare, il progetto in corso. Le limitate opportunità e le condizioni di lavoro poco favorevoli spingono molti talenti italiani a cercare opportunità all’estero, impoverendo ulteriormente il panorama scientifico nazionale. Lo Stato italiano spende per formare i ricercatori e i “ricavi” vengono ottenuti dai Paesi dove loro si trasferiscono.

Nonostante tutti questi problemi la ricerca italiana continua a distinguersi, in modo direi miracoloso, per l’alta qualità. Ad esempio, nelle scienze cliniche, l’Italia si posiziona al secondo posto a livello globale per numero di citazioni, subito dopo il Regno Unito e prima della Francia. La stessa Università Politecnica delle Marche vede 67 docenti dell’Ateneo, circa il 10% dell’organico, inseriti nella World’s Top 2% Scientist, la classifica mondiale delle scienziate e degli scienziati con livello più elevato di produttività scientifica elaborata dalla Stanford University.

In conclusione, si può affermare che il sottofinanziamento cronico del sistema universitario italiano rappresenta una sfida decisiva per il futuro del paese. Colmare il divario con gli altri paesi europei e mondiali è necessario e richiede un impegno concreto e non più procrastinabile da parte delle istituzioni per aumentare gli investimenti in istruzione e ricerca, per snellire i processi burocratici e per permettere la programmazione di medio-lungo periodo.

* Referente Trasferimento Tecnologico e Direttore DIISM Università Politecnica 

delle Marche





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